Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

La preghiera non è mai tempo perso

Inserito il 16 Ottobre 2016 alle ore 10:59 da Plinio Borghi

La preghiera non è mai tempo perso. Spesso, o per effetto di qualche luogo comune (magari riferito alle suore di clausura) o perché non riscontriamo efficacia nelle nostre suppliche, tendiamo a concludere che non vale la pena di star lì tanto a pregare. È vero che servono le opere, senza le quali la preghiera sarebbe priva di significato, saremmo come bronzi vuoti, come dice San Paolo, ma è anche vero che stancarsi vale come gettare la spugna, arrendersi a priori. La liturgia di oggi è tutta incentrata proprio sulla costanza nel chiedere, sull’insistenza. Nella prima lettura un Mosè un po’ “fuori dalle righe” viene addirittura puntellato in atteggiamento di supplica con le braccia aperte, perché ogni volta che gli cadevano l’esercito capeggiato da Giosuè cedeva al nemico, mentre quando erano alzate aveva il sopravvento: un esempio di immediatezza dell’efficacia della preghiera. Nel vangelo Gesù non è meno “folkloristico” quando adduce come esempio il giudice inetto che cede alla vedova petulante, non per senso di giustizia, ma per il logorio che questa gli procura. Infatti l’esempio gli serve da predella per una domanda retorica: “E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà a lungo aspettare?”. Da questa convinzione, che “il nostro aiuto viene dal Signore” (come recita il Salmo responsoriale), scaturisce il modo incessante di chiedere. È ovvio che non potremo avere, o almeno non sempre, quel riscontro immediato che ebbe Mosè o la vedova col giudice disonesto, dato che il nostro punto di vista difficilmente ricalca il disegno di Dio su di noi, ma, se ben ricordo, al catechismo ci hanno sempre insegnato che il Signore non butta via mai nulla e che farà sempre buon uso delle preghiere, portandole a buon fine o in una direzione o in un’altra. Ben lo sapevano il santo Curato d’Ars, che passava ore a dialogare fissando il tabernacolo, e sant’Alfonso Maria de’ Liguori, che coniò il famoso assioma: “Chi prega si salva, chi non prega si danna”. Mi permetto qui un suggerimento pratico: evitiamo di metterci come destinatari delle nostre preghiere (salvo nei casi in cui peroriamo per noi crescita spirituale e promozione umana) e sprechiamoci molto di più per le necessità degli altri; lasciamo che siano gli altri a pregare per noi, come sollecita per sè papa Francesco. I riscontri saranno più frequenti e finiremo per esorcizzare il dubbio di Gesù: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

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