Lettera aperta del primo febbraio 2015
Inserito il 30 Gennaio 2015 alle ore 17:59 da Redazione CarpinetumPubblicata lettera aperta del 1/2/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Pubblicata lettera aperta del 1/2/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Caro Don Gianni,
ho letto con interesse, come sempre, il commento di fondo su Lettera Aperta dell’1 febbraio, dove, da persona attenta quale Lei è ai grandi fenomeni economici e sociali, riporta le Sue osservazioni sulle ultime scelte europee in materia di acquisto di titoli di Stato. In particolare però viene deplorato “l’enorme apparato della burocrazia e della spesa pubblica”, che “resta in piedi”. Io sono un dipendente pubblico, lo dico subito per correttezza e per sgomberare il campo da equivoci e vista la frequenza con cui si parla di spesa pubblica, e l’impatto rilevante che questa ha sulla vita reale delle persone, ritengo utile formulare alcune riflessioni.
Bisogna però intendersi su cosa voglia dire enorme apparato della spesa pubblica, quando si da ad intendere che se ne auspica il taglio. Cosa è enorme, la spesa per le pensioni? Per gli stipendi? Per le scuole? Per gli asili, la sanità, la cultura?
Da anni è in corso una campagna mediatica per colpevolizzare i cittadini dell’alto debito pubblico, campagna che ha il suo perno nell’affermazione spesso ripetuta sui media “Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”. Niente di più falso, se è lo stesso Corriere della Sera a pubblicare il 4.8.2013 un articolo in prima pagina che afferma che il debito pubblico, che ammonta a circa 2.200 miliardi, è fatto per 1650 miliardi da interessi pagati dallo Stato dal 1993 al 2014. Se a questo sommiamo gli interessi pagati dal 1981, l’anno cruciale dello scorporo della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro che ha segnato l’inizio del boom del debito pubblico, fino al 1993, raggiungiamo praticamente la cifra totale del debito. Quindi il debito pubblico non è stato fatto da troppe scuole, ospedali, pensioni da favola, ma da interessi, pagati principalmente alle istituzioni finanziarie italiane e estere. In sostanza un trasferimento di ricchezza da chi paga le tasse a chi possiede i titoli del debito pubblico.
Quindi bisogna intendersi. Cosa bisognerebbe tagliare? Le pensioni, gli stipendi? La scuola? I contributi agli asili, gli ospedali? i salvataggi degli Italiani che vanno all’avventura nelle zone di conflitto? I sussidi di disoccupazione? La cassa integrazione? Le case di riposo o l’edilizia popolare? E’ evidente che per chi la riceve la pensione è una ricchezza, come per chi riceve un servizio sanitario lo sono gli ospedali, come l’istruzione che i bambini ricevono nelle scuole, come i centri di assistenza per gli anziani o il sostegno ai disabili o gli acquisti dello Stato dalle imprese per il proprio approvvigionamento.
Quando propongo queste riflessioni, di solito alcuni rispondono che no, non intendono questo con tagliare la spesa, trincerandosi dietro affermazioni generiche come tagliare gli sprechi, i privilegi, magari gli stipendi dei politici. Ma i politici li hanno eletti gli Italiani, liberamente! E gli sprechi devono essere indicati, quali? Quanto riportato su Lettera Aperta dell’8 febbraio, per esempio, riguardo la sistemazione di Piazza Carpenedo, dice cose precise e puntuali ed è pienamente condivisibile.
A mio avviso, invece, “tagliare la spesa pubblica improduttiva” come spesso si può leggere sui giornali, è il paravento propagandistico che è stato usato negli ultimi anni per tagliare i servizi fondamentali quali la scuola, la sanità, i bus anche nella nostra città, i contributi agli asili, ne sa qualcosa anche il centro per l’infanzia il Germoglio frequentato da mie figlie. Con questo non dico che non ci siano sprechi e privilegi, che vanno combattuti, ma che il taglio dei servizi fondamentali è una drammatica realtà con cui fare i conti, tanto più nel momento in cui le scelte politiche ed economiche fatte negli ultimi 20 anni hanno portato ad uno spiccato allargamento della forbice sociale, comprimendo i ceti medi, riportando lo sfruttamento su larga scala ed innalzando solo una sottile fascia di ricchi e straricchi. Teniamo anche conto che una certa dose di pressioni clientelari è connaturata ai sistemi democratici e forse a tutte le società umane e dovrebbe perciò essere considerata, purtroppo, inevitabile.
Mi auguro quindi di non assistere più a “tagli ingiustificati” come si è espresso anche l’ex Presidente Napolitano, e che sia salvaguardata la spesa “positiva”, creatrice di servizi per i cittadini.
Spero di aver offerto qualche utile spunto di riflessione, sapendo di non avere ragione.
Con affetto.
Mauro Stefani