Inserito il 29 Luglio 2021 alle ore 18:49 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 29 Luglio 2021 alle ore 18:44 da Don Gianni Antoniazzi
Ai ragazzi piace ammirare gli animali: si incantano davanti alle marmotte, osservano il volo dei falchi, cercano le aquile senza trovarle e scappano dagli insetti. Siamo fatti per stare in relazione col creato
Durante i campi, più volte i ragazzi sono rimasti incantati alla vista degli animali. Una coppia di genitori è venuta a prendere il figlio portando in auto anche i loro due cani. È stato un successo. Gli animali fanno sicuramente parte della nostra vita quotidiana.
Fra i libri sacri, la Bibbia è quello che più sottolinea il mutuo rapporto fra uomini e animali. Menziona le bestie circa 5600 volte: uno zoo. Il profeta Isaia descrive in questo modo il tempo del Messia: «Il lupo dimorerà con l’agnello, il leopardo si sdraierà col capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà. La vacca e l’orsa pascoleranno insieme…». In Genesi c’è il serpente tentatore, segno del “delirio di onnipotenza”, ma c’è anche la colomba del diluvio, immagine di pace. Per accusare il Re Davide, il profeta Natan parla di una pecora, allevata dal povero come una figlia e usata da un ricco per imbandire la cena… C’è l’asino, mite e umile, dell’ingresso a Gerusalemme e c’è il gallo del tradimento di Pietro. Ci sono animali fantastici: il leviatano, i draghi, le chimere ad indicare la varietà del creato.
Attenzione però: i testi sacri non fanno parlare gli animali né attribuiscono alle bestie sembianze umane così come accade invece nel mondo greco o nei fumetti. Ciascun animale è apprezzato nel proprio contesto. Il rovescio di quanto accade fra noi: appena preso un cane gli si mette il cappotto, lo si castra e, d’estate, lo si abbandona. Serve recuperare la fisiologia e il comportamento naturale delle bestie, senza antropomorfizzarle… e sia detto per dare agli animali di più, non di meno.
don Gianni
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Inserito il 25 Luglio 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi
Mangiare per vivere è una delle cose che ci sembra di dare scontate nella vita, anche se poi nei fatti, con disinvoltura, spesso mettiamo il piacere della tavola al centro dell’attenzione. Non è cosa sbagliata di per sé, perché sarebbe ridicolo non godere dei momenti che dedichiamo alla nostra alimentazione e non alzare il livello del gusto, giusto veicolo per accostarci al cibo, ma quando la tendenza diventa eccessiva e quasi maniacale, fino ad arrivare a vivere per mangiare, allora diventa un problema serio. E non mi riferisco solo al tempo che si dedica alla vera e propria consumazione, ma anche a tutto quello che s’impiega in acquisti, preparazione, informazione, “formazione” alla conquista dell’abilità, studio delle diete, ecc. ecc. Il fatto che non ci sia programma televisivo o giornale o rivista che non riservino un ampio spazio all’argomento la dice lunga su quale sia il livello di coinvolgimento. Se dedicassimo il medesimo tempo al nostro nutrimento culturale e spirituale, saremmo un popolo superlativo, domineremmo il mondo, avremmo una carica interiore da far impallidire gli asceti più convinti. Se poi, nel soddisfare le esigenze anche materiali, ci premurassimo di condividere come facciamo attorno al desco, nella carità non avremmo da imparare più alcunché. Invece la realtà è ben diversa e oggi il vangelo ci richiama come sempre a mettere ordine nelle cose. Gesù era uno che amava stare con i piedi sotto il tavolo e in buona compagnia, quindi non demolisce l’impianto, solo lo qualifica, proiettandolo anche come momento di apostolato e di parificazione di tutte le esigenze degli uomini, uniti in un solo spirito, che va mantenuto nell’amore e nel vincolo della pace, come ci suggerisce San Paolo nella seconda lettura. La moltiplicazione dei pani e dei pesci, ripresa da tutti e quattro gli evangelisti, vuol dimostrare quanto ci tenga il Maestro alle esigenze fisiche della gente, anche ai fini di porla nelle condizioni migliori di ascolto, e ci insegna il modo più consono per soddisfarle: solidarietà, essenzialità, condivisione, niente sprechi, attenzione. Tutti elementi che stanno alla base dell’istituzione e della pratica dell’Eucaristia, cibo ineludibile per la nostra sopravvivenza spirituale, alla quale dovremmo approcciarsi con lo stesso criterio col quale rispondiamo alle esigenze del corpo. Recita infatti la colletta: “… aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito”.
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Inserito il 22 Luglio 2021 alle ore 13:20 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 22 Luglio 2021 alle ore 13:04 da Don Gianni Antoniazzi
Tutti sono convinti che la scienza ci allungherà la vita. Oramai qualcuno si fa chiamare giovane anche dopo i quarant’anni. Per certi aspetti, però, la tecnologia ci invecchia più che in passato.
Durante il campo di seconda e terza media, i ragazzi hanno visitato luoghi incantevoli. La capocampo non dimenticava di sottolineare la bellezza del paesaggio. Una volta si è permessa di dire che l’ambiente andava “fotografato e pubblicato sui social”. Una delle ragazze presenti ha esclamato con estrema naturalezza: “Roba da vecchi, sono immagini da Facebook”. Come a dire: chi usa il celebre social è anziano. Pensate che anche Instagram è superato. Adesso i più giovani preferiscono Tik-tok, con video brevissimi, divertenti, se non demenziali. L’ultimo grido è il nuovissimo “Poparazzi”, applicazione simile a Instagram, ma funziona alla rovescia: sono gli amici a pubblicare le foto, non noi. Significa che le immagini sono “reali”, non modificate, non in posa. Basta selfie: gli utenti diventano paparazzi che espongono le foto altrui. Funzionerà? Non si sa. Importante è capire con quanta velocità la tecnologia di internet rottama le persone: dai 35 anni in su diventiamo tutti “vecchi”, con una sentenza tanto spontanea quanto inappellabile.
don Gianni
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Inserito il 18 Luglio 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi
Una bruttissima battuta è stata quella proferita in un dibattito sulla cosiddetta “legge Zan” dal noto (o nota) quanto intelligente Vladimir Luxuria. Il conduttore aveva appena espresso solidarietà con la vittima di un episodio di intolleranza, quando il paladino dei “diversi” vessati è sbottato pressoché così: “Basta, è ora di finirla con questa solidarietà a posteriori! Ora vogliamo solo una legge..”. Lapsus palesemente freudiano: la questione appunto è politica e preme di più spostare un paletto e mettere una nuova zeppa su una rivalsa di parte piuttosto che il vero risultato. Le leggi, si sa, sono una fucina d’inventori dell’inganno, per cui nella pratica l’esito non è assolutamente garantito. Un conto è che ci sia un’evoluzione culturale già in atto e quindi una legge può servire a regolamentare ciò che è già acquisito e a mitigarne gli eccessi, altro è imporre un processo. La storia insegna che laddove si è tentato di modificare d’autorità i comportamenti sociali o religiosi, alla fine tutto implode e rifluisce: Urss, Cina e Cuba non sono che gli esempi più recenti che mi sovvengono. La realtà è che se vogliamo sul serio combattere certe forme di emarginazione e di discriminazione dobbiamo imparare a capire, a stare a fianco di chi le soffre, a provare com-passione e, più che a esprimere, a dare solidarietà. E non sono certamente le parate dei Gay pride il veicolo più consono per trasmettere il concetto, ma questo è un altro discorso. Ancora una volta è il Vangelo a offrirci lo spunto per una visione corretta delle cose e ancora una volta Gesù dà forma al concetto di compassione, ponendosi come esempio da imitare, se vogliamo essere credibili. Perché gli si stringe il cuore nel vedere la folla che lo insegue, che non gli lascia tregua nemmeno per un momento di rilassamento e di preghiera? Perché avverte che sono allo sbando, come pecore senza pastori, che hanno bisogno di una vera guida, non come i loro capi fasulli che li gravano di pesi e pensano ai propri interessi. S’immedesima nella loro situazione ed essi avvertono che Egli è un vero pastore che conosce le proprie pecore ad una ad una, ma soprattutto soffre per loro e con loro. Quanti di quelli che si stanno sbracciando ai vari livelli trasmettono questa sensazione? Qui mi si lasci una piccola critica anche alla Chiesa: non è sbandierando il Concordato e scendendo nel gioco delle contrapposizioni che convince; deve confrontarsi nel merito, difendere a ragione i principi, ma evitando chiusure preconcette.
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Inserito il 15 Luglio 2021 alle ore 14:12 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 18/7/2021. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 15 Luglio 2021 alle ore 13:50 da Don Gianni Antoniazzi
Domenica si celebra il Redentore. La festa, unendo tradizioni e fede, si inserisce nei festeggiamenti per i 1600 anni della città. Nasce da una condizione di pandemia, più dura ancora della nostra.
Negli ultimi decenni il Redentore era diventato un pretesto per la crescita del turismo e l’incremento del profitto veneziano. Da parte mia non ritenevo di dovermi occupare troppo di questo evento. Negli ultimi due anni sta acquistando un volto diverso.
Il Redentore è l’occasione per fare memoria di quando, nel 1575-77, i nostri padri hanno affrontato una condizione del tutto analoga alla nostra. Hanno vissuto per due anni la peste, un terzo della popolazione è morta, hanno cercato una strada per uscire, hanno trovato nella fede in Cristo un riferimento decisivo, hanno voluto lasciare un segno tangibile di quest’esperienza, un monumento che indicasse anche la voglia di ripresa a Venezia.
La celebrazione del Redentore può valorizzare il nostro territorio e dare vigore alla fede se saremo capaci di ripercorrere strade analoghe a quelle immaginate dai nostri padri, pur restando pienamente legati alla cultura contemporanea.
don Gianni
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Inserito il 11 Luglio 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi
Il garante e il sedicente leader sono diventati il tormentone estivo di quest’anno, del quale, a dire il vero, non sentivamo proprio il bisogno. Evidentemente la pandemia ha allentato la fantasia di parecchi settori e quindi dobbiamo accontentarci di ciò che passa il convento. Ad ogni modo come telenovela non è poi così male, perché non mancano sia attori col cliché della mediocrità sia momenti, per così dire, di suspense che già sul nascere lasciano presagire il seguito. Forzando un po’, vi sono pure similitudini bibliche: l’investito dall’alto, grillo parlante per antonomasia, contornato da apostoli racimolati dagli angoli e dalle professioni più disparate, propostosi come salvatore di una patria ‘sì bella e perduta, s’è ritrovato con un nobile solo di cognome, non proprio voluto da lui, ma poi digerito ob torto collo, sul quale porre le fondamenta del nuovo movimento. Sennonché questi non l’ha proprio tradito (un po’ sì), ma s’è ammalato di leaderismo e tenta di mordergli il calcagno. Riusciranno i nostri eroi a sopravvivere o la pietra d’angolo, diventata d’inciampo, finirà per sgretolare la torre di Babele? Quesito sul quale non vale la pena di trascorrere notti insonni! Pure la liturgia si perita di non risparmiarci tormentoni estivi, ma vuoi mettere! Questa è musica per le nostre orecchie intorpidite e soprattutto, pur invariata da duemila anni, è sempre fresca e vivace e scende simile a balsamo a ravvivare lo spirito. Non ha bisogno di momenti di suspense: tutto è già noto, ma è lì per essere riletto perché si presta a interpretazioni sempre più rinnovate e attualizzate, non solo, ma la sua diffusione è sempre in essere. È appunto il tormentone di Gesù in questo periodo: annunciare la lieta novella, il Regno che è già qui, anche se non ancora compiuto. Tale è lo zelo e la convinzione che lo animano che, l’abbiamo visto domenica scorsa, è andato a sfidare persino l’incomprensione del suo paese natio. Oggi addirittura organizza i discepoli per recarsi a due a due ad allargare l’opera redentrice, insegnando loro un metodo di approccio ben preciso, che resta valido ancora oggi per noi. Che c’azzecca ciò con la premessa? Forse è stata la risposta di Amos in prima lettura, dopo l’invito a togliersi dai piedi dalla terra di Giuda: “Non ero né profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge e mi disse: va’, profetizza al mio popolo Israele”. Per un’associazione d’idee.
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Inserito il 8 Luglio 2021 alle ore 08:47 da Redazione Carpinetum
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