Il blog di Carpenedo

Il blog di Carpenedo
La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Lettera aperta del 3 maggio 2015

Inserito il 29 Aprile 2015 alle ore 17:45 da Redazione Carpinetum

Pubblicata lettera aperta del 3/5/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.

Giornata del Seminario

Inserito il 29 Aprile 2015 alle ore 17:32 da Don Gianni Antoniazzi

Domenica 3 maggio si celebra la giornata di preghiera a sostegno del Seminario. È una invocazione rivolta a Dio per i 18 giovani che intendono dedicare la vita al Signore e alla Chiesa

Riferisco anzitutto qualche numero. Attualmente in seminario ci sono 18 seminaristi: 1 al primo anno; 4 al secondo; 4 al terzo (anche il nostro Gianpiero); 2 al quarto, nessuno al quinto e 6 al sesto (qui c’è Davide Rioda). Uno diventa sacerdote: l’attuale diacono Pierpaolo. 5 di questi vengono da fuori diocesi. Trent’anni fa avremmo detto: 18 seminaristi cioè 18 preti. Ma oggi è tutto da vedere. Siamo una società fragile e instabile. Essere prete significa giocarsi la vita intera in una proposta non scontata. Si entra in seminario per capire e col tempo solo qualcuno diventa prete. Questo è un fatto da ricordare. Perché le parrocchie domandano il parroco come fosse un diritto senza capire che oramai preti non ce ne sono quasi più.
Spazio ai laici, dicono i benpensanti. Vero, ma il vecchio rettore del seminario, mons. Cilia, ha visitato per qualche settimana una diocesi del Brasile con 700.000 abitanti e 29 preti, tra diocesani e religiosi, giovani e vecchi (anche di 96 anni); molte parrocchie superano i 50.000 abitanti. Ha toccato le conseguenze della scarsità dei preti. La Messa è ridotta a tre o quattro volte all’anno con estreme difficoltà nella catechesi e una conoscenza della fede del tutto superficiale. Da parte mia ritengo che un buon laicato quasi spontaneamente esprime vocazioni al matrimonio e alla vita consacrata. Qui mi pare il cuore della crisi che non riguarda la fede e le vocazioni, ma ben più in generale l’uomo e la fragilità delle sue scelte.

don Gianni

Domenica 3 maggio, tutte le offerte raccolte andranno a favore dei nostri seminaristi

“Stavolta se ciamemo fora…”

Inserito il 26 Aprile 2015 alle ore 12:03 da Plinio Borghi

Stavolta se ciamemo fora, xe robe che no ne toca”, verrebbe spontaneo premettere, visto l’argomento della liturgia di oggi, tutta rivolta alla figura del Buon Pastore. Sì, va bene, indirettamente c’entriamo pure, in quanto pecorelle, ma qui ci sono richiami che riguardano coloro che hanno in cura le anime, dai preti in su. È loro compito amarle, conoscerle ad una ad una, dare la vita per loro, non essere mercenari nel gestirle. Gesù parlava di sé, ma era chiaro che in quel discorso stava coinvolgendo gli apostoli e quelli che lo avrebbero poi rappresentato. Non sempre ci sono riusciti al meglio, lo sappiamo, anche loro sono uomini fallaci come tutti noi, ma quel che conta è che non demordano e che il richiamo sia sempre vivo. E poi non è Papa Francesco che continua a dire che i pastori devono portare addosso l’odore del proprio gregge, cioè farsi carico delle angosce di quanti sono loro affidati, vivendo con loro, uscendo dalle sacrestie, decentrando la Chiesa in periferia per combattere le battaglie dei diseredati. Giusto, e noi siamo qui ad attenderli per condividere la nostra povertà… bla.. bla.. bla.. Sarebbe comodo, eh?, che le cose stessero così! Troppo comodo. Talvolta ci proviamo e ci ergiamo a giudici, specie se le parole dei nostri pastori ci infastidiscono, ci interpellano, ci mettono in crisi; magari li accusiamo d’ingerenza. Quanto siamo maldestri! Il Maestro non ce l’aveva solo con alcuni, solo con la gerarchia: il dito è puntato su tutti. È pastore anche chi sotto qualsiasi forma e in qualsiasi campo ha in affidamento gli altri, a partire da mariti e mogli, dai padri (o madri) di famiglia, da chi opera nel pubblico impiego, nei servizi, nel campo sanitario, nel volontariato, nel sindacato, nella politica, nell’ordine pubblico e giudiziario, nell’Amministrazione del bene pubblico, come del condominio, insomma tutti. Tutti siamo tenuti ad aver cura gli uni degli altri, ad amarli come il Cristo ci ha amati. Siamo tutti pecorelle e pastori nello stesso tempo e di conseguenza se vogliamo essere credibili dobbiamo portarci addosso non solo il nostro odore, ma anche quello degli altri. Significa che se al nostro olfatto arriva solo il proprio odore, siamo lontani socialmente e moralmente. Allora da vili chiamiamoci pure fuori, ma abbiamo almeno il pudore di non pretendere che siano altri a doverci venire incontro.

Lettera aperta del 26 aprile 2015

Inserito il 22 Aprile 2015 alle ore 22:15 da Redazione Carpinetum

Pubblicata lettera aperta del 26/4/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.

Il peso del tornaconto fa affondare la nostra barca

Inserito il 22 Aprile 2015 alle ore 19:32 da Don Gianni Antoniazzi

La parrocchia di Carpenedo ha qualche appartamento ove si sforza di ospitare immigrati. C’è una famiglia accolta qui vicino e una a Mogliano. Sono due appartamenti grandi (circa 100 metri quadri) dove alloggiano con i rispettivi genitori 2-3 figli ciascuno. Viste le dimensioni dei locali ad uno ho chiesto di ospitare un lavoratore di Treviso che aveva bisogno di risiedere qui per 6 mesi. Avrebbe versato loro un compenso. All’altro ho chiesto di accogliere un veneziano in difficoltà, con un contributo più modesto per l’ospitalità. In tutti e due i casi, però, la risposta è stata negativa, anche se queste famiglie faticano con le bollette. Pare che una volta accomodati non ci si curi degli altri. Il lettore faccia le proprie considerazioni.

Da parte mia credo manchi la reciprocità. La parrocchia si sforza di fare spazio, ma chi è accolto non sembra disponibile a fare altrettanto. Si guarda troppo in fretta al proprio tornaconto.

LA TRAGEDIA

Ora viene la parte difficile. Siamo disperati per la tragedia dei 700 profughi di sabato notte. La più grande dalla fine dalla guerra. Mi unisco al cordoglio e con queste righe mi impegno ad accogliere anche 30-40 immigrati se serve. Cercherò gli spazi: alle mie condizioni per le regole, gli orari e quant’altro.

Bisogna però riflettere su quel che è successo.

Un barcone di profughi a 70 miglia nord dalla Libia ha lanciato una richiesta di soccorso: “Siamo in navigazione, aiutateci”, ha detto un uomo senza disperazione. È arrivato un mercantile (King Jacob) di 147 metri che negli ultimi giorni aveva già compiuto quattro soccorsi.

Gli scafisti hanno mollato la guida del peschereccio e si sono uniti ai migranti. C’è stato un contatto fra le imbarcazioni, il panico e ciascuno ha cercato di aggrapparsi ai soccorsi per primo, provocando di conseguenza il rovesciamento del peschereccio. I morti sarebbero settecento e più. Nella stiva c’erano centinaia di persone tra cui circa 200 donne e 40 – 50 bambini. Tutti chiusi a chiave perché avevano pagato di meno.

Queste situazioni sono accadute altre volte: per non farsi riconoscere chi guida molla il timone, tutti cercano la barca di soccorso e spesso il peso rovescia il proprio mezzo. Ebbene nella nostra cultura, quando arrivano i soccorsi, prima si pensa ai più deboli e poi a chi è in forze. Nei casi come Schettino c’è la condanna e la galera. Certe tragedie accadono quando ciascuno pensa solo al proprio tornaconto. E dunque: bisognava spendere più soldi in azioni militari o bisogna proporre l’altruismo cristiano?

IL VANGELO

Porto nel cuore il Vangelo. Ad essere sincero nella vita sono io a sentirmi nella barca sconquassata dal mare. Capisco che nel mio caso il Signore mi ha sempre dato aiuto, anche quando, come Pietro, guardavo ai miei interessi. Non mi ha portato una barca: è salito nella mia, ha messo pace e ha condiviso la mia sorte.
Per fede cerco di fare altrettanto e propongo agli altri di dare una mano ai disperati. In queste tragedie abbiamo un responsabilità: per il nostro tornaconto di ricchi soffochiamo paesi già poveri. Siamo noi, col peso dei nostri consumi, ad affondare la barca del loro mondo. Mi pare però che il problema dell’Europa sia solo sui soldi da mettere in campo e sul posto dove “stivare” gli immigrati. Si tralasciano quelle riflessioni che vanno al cuore del problema. Forse la questione sta qui: se mettiamo al centro il tornaconto personale faremo affondare la barca della storia. Quella di tutti. Chi pensa al bene dell’altro fa un cammino più sicuro.

don Gianni

Guardarsi in modo diverso…

Inserito il 19 Aprile 2015 alle ore 12:05 da Plinio Borghi

Guardarsi in modo diverso è stata la conseguenza più immediata ed evidente della strage di studenti compiuta in Kenya prima di Pasqua. Così racconta don Giacomo Basso su Gente Veneta della settimana scorsa. Da un lato il giovane sacerdote tranquillizza sulla situazione di Ol Moran, l’avamposto della nostra Diocesi in quel Paese e distante dal luogo dell’eccidio. Poi descrive come l’inquietudine sia subentrata ad un clima di fratellanza tra appartenenti a religioni differenti. Il grave episodio, ripreso e stigmatizzato anche dal Papa durante la via Crucis e nei successivi interventi pasquali, ha confermato in modo drammatico, come se ce ne fosse stato bisogno, che le persecuzioni verso i cristiani non sono cose d’altri tempi, anzi, lo stesso Pontefice ribadiva che forse oggi le vittime sono ancor più numerose di allora, con l’aggravante di una barbarie fuori contesto. Figurarsi poi la pace! Assume sempre più la consistenza di una chimera, di un’utopia che non riesce nemmeno a fungere da panacea per le nostre aspirazioni. Quel che è più grave è il rischio che s’inneschi un odio di ritorno che vada a vanificare tutti gli sforzi compiuti finora di realizzare almeno le fondamenta sulle quali costruire, con determinazione e fatica, una situazione di pace destinata a durare e a consolidarsi. È già così difficile e poco spontaneo vincere le avversità personali, razziali, tribali e di censo che ci mancano anche quelle religiose per contribuire alla nostra instabilità. Lo sapeva bene Gesù, che prima di morire si è tanto raccomandato che ci volessimo bene gli uni gli altri come Egli stesso ce ne ha voluto! Lo sapeva anche dopo la sua resurrezione, mentre appariva ai suoi col saluto di “Pace a voi!” (il punto esclamativo non è casuale). E ce l’aveva anche detto che il suo nome sarebbe sempre stato una sorta di provocazione, la quale, come tutte, avrebbe acceso reazioni e persecuzioni. Che noi dobbiamo sopportare umilmente, affermava il Santo Padre la domenica di Pasqua, ma non con codardia: dobbiamo continuare a mostrare i muscoli senza guerre sante, bensì manifestando la forza della Verità nel nostro comportamento, come dice anche Giovanni nella sua lettera di oggi. Se ciò farà andare in bestia qualcuno, pazienza, ma non ci possiamo permettere che sia stato vano il sangue versato dai cristiani trucidati.

Lettera aperta del 19 aprile 2015

Inserito il 15 Aprile 2015 alle ore 18:07 da Redazione Carpinetum

Pubblicata lettera aperta del 19/4/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.

Finalmente almeno uno

Inserito il 15 Aprile 2015 alle ore 16:50 da Don Gianni Antoniazzi

È ufficiale, a Dio piacendo: domenica 3 maggio alle ore 16.00, Gianpiero Giromella presenterà la sua candidatura al sacerdozio in San Marco. È un giovane della nostra parrocchia. Da quanti anni nessuno?

Gianpiero è nato nel ‘92, da una famiglia di via Goldoni.
Dopo le elementari e le medie ha studiato alberghiera e, conseguita la maturità, a settembre 2011 è entrato nella comunità vocazionale del Seminario di Venezia.

Ero appena giunto a Carpenedo e lui, timidamente, è venuto in sacrestia a presentarsi come nuovo seminarista. Ha fatto con noi qualche campo invernale e due estivi. Ha poi prestato servizio a Venezia in quella che fu la mia prima parrocchia di S. Antonio del Lido. Ora, dopo 4 anni di seminario, è giunta la  tappa della candidatura al sacerdozio.

Di fatto continuerà gli studi di teologia come è stato fin qui, ma il suo cammino non sarà più di verifica vocazionale: è una preparazione al sacerdozio e per questo già fin d’ora vestirà da prete.

Resta sempre libero nella sua scelta e solo fra tre anni, se Dio vuole, sarà diacono. In quel momento e non prima compirà un passo decisivo con delle promesse irrevocabili.

La nostra comunità parrocchiale lo accompagna con l’affetto e con quella stima che è dovuta a chi si compromette in un progetto esigente. Di più: con la preghiera gli è vicina come ad un figlio carissimo e lo sostiene nel cammino.

Da decenni non avevamo un seminarista vero e proprio. L’ultimo “nostro” sacerdote diocesano è stato don Luigi Battaggia, ora parroco ai Santi Apostoli di Venezia, ordinato 53 anni fa.

Dopo di lui vi fu solo il carissimo don Vincenzo Pavan (nato nel 44 e ordinato nel ’70) missionario del Pime in Brasile. Sono certo che il Signore chiama molti.

Visto che la strada è aperta spero che qualcun altro accolga l’invito di Dio e si faccia avanti in questo cammino arduo ma pieno di vita.

don Gianni

Il rilancio della Misericordia

Inserito il 12 Aprile 2015 alle ore 12:11 da Plinio Borghi

Il rilancio della Misericordia divina è uno degli argomenti che sta più a cuore a Papa Francesco e il motivo sembra abbastanza comprensibile: desidera una Chiesa spiritualmente e strutturalmente aperta, una Chiesa che sappia stemperarsi nelle periferie, con pastori che portino addosso l’odore delle pecore. Non c’è nulla di nuovo in questo, dato che è stato lo stesso Gesù a rivelarci un Padre amorevole che prevalesse sulla figura del Dio immanente, tanto che la lieta novella è tutta imperniata proprio sull’amore, unico comandamento che riassume tutte le leggi. Una prerogativa del vero amore, poi, è che è per sempre, come recita lo stesso salmo responsoriale di oggi, per cui nulla e nessuno saranno in grado di interferire, nessuna colpa sarà mai così grande da non poter essere perdonata e nessuno saprà essere così becero da scalfire l’amore di Dio per la sua creatura. E quand’anche ci fosse chi non vuole pentirsi e volontariamente rifiuta il suo coinvolgimento, non per questo sarebbe meno amato. È questa l’opportunità che chiunque, peccatore o non credente, tiepido o appartenente ad altre correnti religiose, deve avvertire nell’approccio alla nostra realtà ecclesiale. E forse proprio per questo scopo il Pontefice ha voluto un giubileo straordinario sul tema della Misericordia divina. Diceva Mons. Vecchi in una delle sue omelie: “Il peccato si distrugge cosi. Non dicendo che non esiste; non parlando di inibizioni o tabù; non con la spavalda sfida a Dio. Dio è più grande del tuo peccato e la Sua misericordia più del tuo dolore”. E subito dopo aggiunge: “Gesù, perdonando, non legalizza il male” e ancora più avanti continua: “Dio non approva il male, ma vuole ricostruire l’uomo, ricuperarlo perché lo ama. La Grazia è un intervento creativo di Dio, che carica l’uomo di nuova vita e nuova responsabilità”. È un’omelia che, analogamente a tante altre, andrebbe letta completamente per afferrarne la pregnanza (da “Il Signore ti chiama”, edito l’anno scorso dal Marcianum Press), ma anche per capire l’esigenza dell’inversione di un atteggiamento da parte di tutti, Chiesa compresa, perché facciamo fatica a far luogo alla riabilitazione di chi ci guarda alla ricerca di quel minimo di comprensione che tanto sbandieriamo come dovuta, ma che spesso fatichiamo a far passare. Come se il nostro status fosse un privilegio conquistato e non un dono gratuitamente ricevuto.

Anna e Gianni

Inserito il 8 Aprile 2015 alle ore 13:15 da Redazione Carpinetum

Il giorno di Pasqua, durante la Santa Messa delle 10.30, è stato ricordato che la nostra Corale ha compiuto quarant’anni, avendo animato per la prima volta la celebrazione del giorno di Pasqua del 1975. Ricorrenza importante questa, che si festeggerà in modo adeguato nel prossimo mese di maggio.

La ricorrenza è stata però velata da una nota di mestizia, poiché proprio in questi giorni ci hanno lasciati due nostri amici: Anna Zanetti e Gianni Finco, che hanno fatto parte della Corale.

Anna Zanetti vi ha partecipato per oltre vent’anni; malgrado abbia dovuto lasciare la Corale per ragioni di salute da oltre dieci anni, si è sempre interessata alla sua attività ed ha partecipato a varie iniziative come le forze le consentivano.

Gianni Finco è stato uno dei fondatori della Corale, presente fin dalla prima prova di canto. È stato una colonna portante del suo intenso percorso: stampa, registrazioni, gite, incontri di Gosaldo e ritiri ad Asolo lo hanno visto sempre animatore di primo piano. Ci sarà altra occasione per tracciare in modo adeguato una descrizione della vastissima attività che lo ha visto protagonista fino agli ultimi mesi, quando la malattia lo ha costretto a rallentare il suo impegno in tutte le attività parrocchiali.

Le esequie di Anna e di Gianni si sono svolte martedì 7 aprile in un clima di intensa partecipazione e con la presenza di tutta la Corale, che ha voluto così accompagnare nell’ultimo viaggio i due fratelli che hanno condiviso in modo stupendo gli impegni comunitari della Corale Carpinetum. Hanno lasciato un vuoto che ci auguriamo possa essere colmato presto da altre persone che amano il canto e l’animazione liturgica nelle celebrazioni parrocchiali.

M.C.

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