Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Servono laici più sereni

Inserito il 28 Luglio 2013 alle ore 08:00 da Don Gianni Antoniazzi

Dopo l’intervento di Angelo Scola che a Sant’Ambrogio ha toccato il tema della laicità dello Stato, anche il patriarca Francesco Moraglia ne ha parlato in occasione del Redentore.

Non è semplice spiegare cosa significhi essere laici. A seconda del contesto il termine indica ora gli atei ora i credenti non consacrati. Sta di fatto che da decenni in Italia manca una legge specifica sulla libertà religiosa così che la discussione sulla laicità delle istituzioni rischia di produrre sempre equivoci e tensioni.

Per qualcuno una realtà è laica se vive in opposizione ai credenti e alle istituzioni di fede (laicismo). Per altri, se corrisponde ad una tabula rasa ove chiunque possa sviluppare opinioni senza dover rendere conto alcuno. Al Redentore il patriarca Francesco ha parlato di una laicità più ricca, rivestita di fiducia, quasi un luogo di speranza. Vi invito a leggere il testo.

Da parte mia ho grande speranza nelle capacità umane a prescindere dalla fede esplicita o meno. Devo constatare però che le realtà laiche rischiano una profonda crisi, e fanno fatica a tradurre in norma di vita i principi e valori fondamentali per tutti. Più ancora sembra che manchi serenità e pace nel pensiero laico: di frequente si accendano tensioni legate a rancori passati. L’elemento più prezioso per lo sviluppo comune sarebbe allora uno spirito di riconciliazione, perché ogni rabbia semplicemente rovina nell’intimo la figura umana.

don Gianni

Lettera Aperta del 28/7/2013

Inserito il 25 Luglio 2013 alle ore 16:39 da Redazione Carpinetum

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Occhi chiusi sulla fine

Inserito il 21 Luglio 2013 alle ore 08:02 da Don Gianni Antoniazzi

“Il mondo moderno è riuscito a svilire la cosa che forse è più difficile svilire in assoluto, perché ha con sé una specie particolare di dignità: la morte”. (Charles Péguy)

Vediamo che la società contemporanea cerca di rimuovere la morte, di renderla oscena, la scaccia cioè dal teatro dei vivi. Oppure ne fa “spettacolo”, quasi un rito officiato nei mass media, per esorcizzare la paura: siamo narcisisti e abbiamo bisogno di rimuovere questo fatto, segno di ogni nostro limite. Norbert Elias ha scritto che si muore «molto più igienicamente ma anche molto più soli che in passato».

D’estate in modo particolare la società celebra l’idolo della vanità e dell’amore per la forma. Così che le esequie sono momenti deserti – prevale su tutto la vacanza – e la memoria e l’anniversario per la morte di un congiunto cade nell’oblio.

Enzo Bianchi però ricorda che questa «operazione anestetica ci priva dell’elemento che più ci aiuta a comprenderci perché costituisce il caso serio della vita». Bisogna ricordare che la visione di un uomo morto ha segnato l’inizio dell’illuminazione per il Buddha fino a quel momento vissuto nei palazzi regali e protetto da ogni male per la cura paterna. È proprio vero: solo chi ha un motivo per cui morire ha anche motivazioni per vivere e solo chi impara ad accettare i limiti dell’esistenza sa farsi amica la morte.

Sì, il memento mori è più che mai attuale. E i cristiani, che al cuore della loro fede hanno l’evento della morte del Signore e la fulgida speranza della Risurrezione, hanno anche la responsabilità e il servizio di tener viva la memoria della morte tra gli uomini. Non per cinismo, né per gusto del macabro, né per disprezzo della vita, ma per dare peso e saggezza ai giorni dell’uomo.

don Gianni

Lettera Aperta del 21/7/2013

Inserito il 19 Luglio 2013 alle ore 17:32 da Redazione Carpinetum

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Cosa possiamo pensare di lei?

Inserito il 14 Luglio 2013 alle ore 08:00 da Don Gianni Antoniazzi

Sabato 29 giugno è morta Margherita Hack, una fra le personalità italiane più significative. Le dedico la copertina perché ne ho stima ed ammirazione. Non era credente. Cosa pensare?

Margherita Hack, astrofisica, è stata un eminente emblema della cultura italiana nel mondo. Ha dimostrato preparazione, serietà, coraggio razionale e tenacia nella ricerca anche se qualche volta si è lasciata strumentalizzare per pretesti politici.

Veronesi l’ha definita icona del pensiero libero e dell’anticonformismo. Di padre protestante e madre cattolica si dichiarava atea e fu presidente onorario dello UAAR (unione atei agnostici razionalisti). Ha dovuto lottare non poco con questa povera Italia che da principio non l’ha propriamente compresa e spesso l’ha ostacolata. Con fatica le sono state riconosciute le doti di ricercatrice e scienziata rigorosa e audace.

L’ho stimata, non poco, anche se mi sono sempre chiesto il motivo di una così forte opposizione alla religione. Per lei la ragione era alternativa alla fede: l’una escludeva l’altra. Vi era per lei un principio fermo che provo a semplificare in questo modo: è vero quello che può essere verificato e comprovato. Convinzione che sta alla base delle “scienze esatte”. Principio che mi ha sempre affascinato e sradica molte pre-comprensioni. Un principio che però non è stato verificato. Semplificando molto: chi ha detto che sia vero solo ciò che si può verificare?

La scienza è una sorta di isola nella quale tutti ammettiamo come vere le cose riproducibili in laboratorio. Bisogna però ammettere che vi sono realtà, pur vere, che però non possono essere verificate: per esempio gli affetti, le speranze, la fiducia, la serenità, la gioia. I valori più profondi che ci rendono uomini. Sono realtà che accogliamo come intuizione dell’essere, ma che non possono essere dimostrate.

Fra queste c’è anche la fede e il rapporto con Dio. Non si tratta di una verità che possa essere imposta. Anzi: è legittima la posizione di coloro che pensano il rovescio. Ma a rigor di logica non è corretto dire che i credenti siano lontani dalla ragione: anzi se usata con rigore essa lascia aperto il passo della fede che, quando è compiuto, si mostra congruo alla vita.

don Gianni

Lettera Aperta del 14/7/2013

Inserito il 12 Luglio 2013 alle ore 21:00 da Redazione Carpinetum

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Dove appoggiare la Comunità

Inserito il 7 Luglio 2013 alle ore 07:38 da Don Gianni Antoniazzi

Da anni mi chiedo quale sia il fondamento per una comunità cristiana. La preghiera? Il servizio? La grazia del battesimo? C’è chi sottolinea la Pasqua, altri invece la Pentecoste.

Qualche anno fa un gruppo di laici mi chiese appuntamento per discutere le linee pastorali della parrocchia. Durante la riunione uno disse che non mi avrebbe aiutato finché non avessi preso posizione sulle questioni importanti: la pace, l’azione sociale, il mondo della scuola e del lavoro.

Con quel gruppo ho poi lavorato con passione, ma non ricordo se ho mai risposto a quelle domande che tuttora mi sembrano comunque marginali.

Non è difficile capire il punto decisivo per una comunità cristiana. Non può essere un’idea, un progetto, un’intuizione o una parola solo umana. Le nostre opinioni sono come l’erba che nasce il mattino e la sera è falciata e dissecca. I progetti pastorali e gli orientamenti dei teologi, per quanto eruditi, potrebbero spegnere la fede in pochi decenni. Unico fondamento valido è la persona di Gesù. Obiettivo della parrocchia è che la gente abbia un rapporto personale con Lui, come tralci uniti alla vite, come pecore dietro al Pastore.

Non disprezzo le passioni e gli interessi umani: anzi. Ne coltiverei parecchi. Ma un progetto pastorale che non mette al centro il rapporto col Risorto sarebbe un fallimento. Per questo nei fogli di programma consegnati qualche giorno fa tutto comincia dall’incontro con Gesù morto e risorto. Anche i gruppi che svolgono in parrocchia le attività della più varia natura dovranno misurarsi con questo: se lavorano con Cristo e annunciano il Suo Volto o se invece mettono altro al centro. Se anche ci fosse il desiderio del servizio, tolto il volto di Cristo tutto diventa soggettivo, arbitrario e consegnato alla corruzione del tempo.

don Gianni

Lettera Aperta del 7/7/2013

Inserito il 5 Luglio 2013 alle ore 17:38 da Redazione Carpinetum

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