Lettera aperta del 2 novembre 2014
Inserito il 30 Ottobre 2014 alle ore 14:05 da Redazione CarpinetumPubblicata lettera aperta del 2/11/2014. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Quando il Papa ha parlato al Sinodo della famiglia ha chiesto di evitare alcune curiose tentazioni.
Valgono per tutti. C’è la tentazione del “rigore ostile”, propria dei tradizionalisti, che confidano nelle proprie idee e si chiudono alla novità di Dio. Non riguarda solo la gente di “una certa età”, ma è diffusa anche fra i più giovani. Per contro c’è il “buonismo distruttivo”: approvare tutto e fasciare ogni ferita, senza però curarla. é atteggiamento dei timorosi, dei “progressisti e liberalisti”.
Terzo: c’è la tentazione di trasformare le “pietre in pane” per rompere i lunghi digiuni della vita, ma anche di trasformare il “pane in pietre” per poi scagliarle sui “peccatori”.
C’è l’inganno degli “smemorati” che abbandonano la strada del passato con la pretesa di nuove scorciatoie meno faticose. E c’è la tentazione della “lingua minuziosa”, di chi parla a lungo senza in realtà dir nulla.
Se l’articolo è troppo sintetico, in Internet si trova tutto. Chi fra noi ha il dovere di educare e di prendere decisioni provi a rifletterci.
don Gianni
La “santa” alleanza, che combatte contro l’autoproclamatosi “Califfato” islamico in Iraq, risponde anche ad un pregnante invito del Papa che, a fronte di tanta strage e ferocia, ha invitato tutti a fermare i sanguinari jihadisti dell’ISIS. Certo, il Santo Padre non ha incitato ad imbracciare le armi, ma non ha chiarito in quale altro modo poter e dover agire. Non è che bastasse un buffetto sulla guancia o una tiratina d’orecchi e men che meno una sorta d’embargo o un’azione diplomatica, tutte cose che comporterebbero il riconoscimento di siffatta banda di mascalzoni. In attesa di chi debba addossarsi l’onere di intervenire via terra, si è adito il metodo del bombardamento “intelligente”, così ben sperimentato tra Israele e Gaza, della serie “chi ciapo ciapo” e se qualche civile ci va di mezzo “no xe colpa mia”, ma con scarsa efficacia. D’altronde se è vero che quelli sono come i batteri, ben coltivati nei nostri organismi e pronti a far scoppiare una malattia distruttiva in ogni parte del corpo, vanno trattati con “bombe” di antibiotici: è legittima difesa. Cambiamo scenario: l’operazione “Mare nostrum” sta per esaurirsi e non sembra che quella che intraprenderà l’Europa si coniughi molto bene col problema dell’accoglienza, né risulta siano previste iniziative a monte per assistere in loco chi è spinto verso le nostre terre ovvero rimuoverne le cause. Di contro va preso atto che i mezzi per rispondere alle ondate migratorie cominciano a far acqua da tutte le parti e questo tipo di accoglienza si sta dimostrando dannoso per entrambe le parti. Ciò premesso, oggi la liturgia, nel rilanciare i due comandamenti fondamentali dell’amore a Dio e al prossimo, mette il dito sulla piaga, proprio a partire dalla prima lettura, dal libro dell’Esodo: “Così dice il Signore: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto…»”. Ahi, ci siamo e ci riguarda un po’ tutti! Dovremmo amare come noi stessi anche il nemico o il persecutore, pur essi nostro prossimo? Il migrante che ci sottrae risorse e che mina la nostra tranquillità o il citato batterio pronto a scatenarsi contro di noi sono parimenti prossimo da amare come noi stessi? E se no, come quaglia il tutto con il comandamento? Giuro che non so trovare una risposta minima, ancorché interlocutoria. Lascio a ognuno il compito di cimentarsi in merito.
Pubblicata lettera aperta del 26/10/2014. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Le feste dei Santi e dei Defunti stanno alla porta con la certezza che nessuno vive da solo e nessuno è abbandonato nella morte. Se il Signore è stato con noi ogni giorno, e di questo abbiamo fatto esperienza nella fede fin da essere suoi amici, potrà mai lasciarci soli nel momento della morte?
Questa domanda se la ripetevano i nostri padri Ebrei e, nella Pasqua, noi siamo certi della risposta: se siamo con Cristo la morte nostra sarà una comunione divina. Di più. Siamo circondati e preceduti da amici e parenti Santi. Forse il loro nome non figura nel calendario, ma ci hanno sostenuto e ci sono stati di esempio. Anch’essi ci saranno accanto, ci prenderanno per mano e insieme a loro la nostra morte sarà una processione festosa verso il Giorno senza tramonto.
Ancora. Se in vita c’è stata una vera comunione con qualche amico, ebbene, quel legame risuona più forte, puro e vero nel momento della morte. Poco importa se nell’istante del trapasso dovessimo essergli lontani: l’amore vince distanze.
C’è però una condizione: credere all’amore degli altri e di Dio. Questo ci salva più che i nostri protagonismi, più dei nostri atti di bene, più che le nostre emozioni dense di spiritualità. Che fatica in questo periodo credere all’amore e quanto è facile cedere il passo alla seduzione della rabbia.
don Gianni
L’éscamotage di Gesù per dribblare la domanda trabocchetto postagli da inviati dei farisei ed erodiani è tra i più noti, ma anche di un’estrema attualità. Sebbene i presupposti siano diversi (gli ebrei allora erano soggetti a pesanti imposizioni da parte dei romani), la domanda è sempre la stessa: “È lecito e fino a che punto pagare le tasse?”. Il Maestro, una volta sbugiardati gli interlocutori, avrebbe potuto limitarsi a concludere: “Date a Cesare quel che è di Cesare”. Perché allora aggiungere: “E a Dio quel che è di Dio?” se non era stato interpellato in proposito? C’è, secondo me, una duplice ragione: una, richiamata anche nella prima lettura, che al centro del nostro agire c’è Dio e solo Lui, mentre noi troppo spesso Gli anteponiamo le nostre preoccupazioni, i nostri interessi, le nostre mire, adorando così ben altri dei (vedi I° comandamento); la seconda che Dio lo troviamo nell’amore al prossimo, nell’attenzione alle sue necessità, nel perseguire il bene comune, in poche parole nella Carità. L’evasione fiscale, quindi, è in contro tendenza rispetto a ciò e, nel defraudare la collettività, va a colpire proprio i più deboli, i poveri e i diseredati, che verranno in tal modo privati di servizi per loro essenziali. Il ricco, in un modo o nell’altro, se la cava, è meno soggetto al danno arrecato alla pubblica amministrazione. Per ciò il sottrarsi agli obblighi fiscali costituisce (per lui, ma anche per tutti, falsi invalidi compresi), oltre che reato, peccato gravissimo, tanto quanto quello di chi ruba o va per tangenti, peggio ancora se preposto al governo o al controllo (ogni riferimento alle vicende del MOSE o dell’EXPO è voluto e non casuale). Lasciamo alle leggi degli uomini le sottigliezze circa il peso tra elusione o evasione e pure se lo si sia fatto per sé o per il partito: per un sedicente seguace di Cristo non c’è differenza. Gesù ha dato come sempre una proiezione universale alla sua parola nel dire: a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, perché in definitiva le due direzioni sono parallele e, direbbe il Moro di augusta memoria, convergenti. Arrampicarsi sugli specchi con speciose giustificazioni non fa che danneggiarci le unghie, infastidire le orecchie ed assimilarci ai furbastri di allora, che il Messia ben definisce ipocriti.
Pubblicata lettera aperta del 19/10/2014. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
In questo numero segnaliamo fra le altre la toccante testimonianza-appello di don Maurizio Boa che opera in Sierra Leone, uno dei paesi più poveri al mondo, ove ha raccolto intorno a sé centinaia di orfani e amputati in seguito alle guerre che hanno martoriato quella terra. Ora la Sierra Leone, come se non fosse già abbastanza stremata, è stata assalita dall’emergenza Ebola e don Maurizio ci descrive in modo forte e chiaro una realtà che dalle notizie dei TG è difficile anche solo immaginare.
Non è detto che i sondaggi siano sempre lo specchio della realtà. Anzi. Per quel che vale, la comunità di San Patrignano, che di droghe se ne intende, ha commissionato uno studio sull’argomento, dal quale risulta che quasi il 40% dei giovani tra i 13 e i 30 anni considera l’uso di stupefacenti parte integrante del “divertimento”: dunque un fatto più che normale della propria vita. Ancora: un giovane su tre (fra i 25-30 anni), si droga per “uscire dalla noia”, mentre il 10% lo fa per “stare in compagnia”. In tutta sincerità non sono sorpreso. Forse pensavo peggio.
Quel che mi stupisce è che il 45% fra i 25 e i 30 anni (!) ritenga «il divertimento la cosa più importante della propria vita», e solo il 32% pensa a «progettare il futuro». A Eraclea, quando sono diventato prete, era normale che una persona sui 25 anni fosse sposata e avesse dei figli. Lo si chiamava uomo e donna. Quale futuro invece potremmo immaginare partendo dalle premesse attuali?
Altro fatto sorprendente è il rapporto dei giovanissimi con gli adulti. Il 43% dice che i genitori sanno, ma lasciano fare, mentre il 24,4% neppure si interessa delle scelte dei figli e dà completa libertà. È una scelta poco saggia: i ragazzi che oggi sono in difficoltà, domani saranno uomini fragili che suoneranno il nostro campanello di genitori anziani per domandare aiuto. E allora pagheremo il disinteresse odierno.
don Gianni
Sembra ridicolo. Ma come!? Il Padrone della vigna, che da qualche settimana ci sta sorprendendo con le sue “stravaganze”, stavolta, alle prese con il banchetto di nozze di suo figlio, è andato a raccattare tutti i poveracci e i diseredati che si trovavano ai crocicchi delle strade e ancora si permette di riprenderne uno e di cacciarlo perché non aveva l’abito nuziale. E gli altri com’erano? Tutti belli tirati? Va bene che era ancora arrabbiato con gli invitati ufficiali, dei quali aveva appena messo a ferro e fuoco la città perché non solo l’avevano snobbato, ma avevano anche maltrattato e ucciso i suoi emissari, ma prendersela proprio con quel disgraziato.. e individuarlo in mezzo a tanti poi..! Sono molte le interpretazioni che ho ascoltato su questa parabola e soprattutto sul significato di quella veste nuziale, dalle più dotte alle più pratiche e tutte parimenti valide. Mi hanno tuttavia convinto di più quelle che danno alla “veste nuziale” il senso di “consapevolezza” da parte di quei diseredati del grande privilegio ricevuto, malgrado le loro precarie condizioni, e quindi il conseguente atteggiamento da essi dovuto per rispondervi adeguatamente. Il tizio pizzicato evidentemente non stava adottando un comportamento consono. Per associazione di idee m’è rimbalzato alla mente il problema dell’accoglienza, alla quale molte volte non corrisponde quello sforzo di buona volontà verso un minimo di integrazione. Ciò non significa che i beneficiati debbano rinunciare alle proprie identità culturali o condizioni sociali di provenienza, ma almeno capire che occorre ricambiare l’ospitalità con il giusto rispetto. Invece il più delle volte c’è la pretesa di modificare le abitudini della comunità ospitante, di voler imporre le proprie e di piegarne l’atteggiamento alle esigenze dell’ospitato. Non solo, spesso, come abbiamo considerato circa un mese fa proprio su “lettera aperta”, il metodo è l’intimidazione, la protervia e financo l’aggressione. Costoro sarebbero ben assimilabili a colui che non aveva l’abito adatto! Nessuno di noi è il padrone della vigna e pertanto non può sentirsi autorizzato ad agire in analogia: spetta agli organi competenti e a chi ci rappresenta. Possiamo però aiutare il processo alzando la testa, dando esempio di rispetto, non incitando alla violazione, come qualche corrente politica o ideologica tende a fare, non si sa bene per quale recondito tornaconto, e soprattutto non facendo i rinunciatari nelle tradizioni, nella cultura e nella fede.
Pubblicata lettera aperta del 12/10/2014. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.