Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

La gioia della Pasqua per uno sguardo pieno di speranza e di fiducia

Inserito il 24 Aprile 2011 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Carissimi/e, nella gioia di questa Santa Pasqua 2011 desidero porgervi i miei auguri più cari.

Quest’anno la festa della Pasqua è allietata da altri due eventi che portano gioia e passione evangelica a tutta la nostra Chiesa: la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II e la visita a Venezia di Papa Benedetto XVI. L’esultanza della Pasqua prosegue il suo ritmo domenicale con questi due appuntamenti che ci fanno respirare la santità e l’universalità della Chiesa.

Papa Giovanni Paolo II lo sentiamo ancora profondamente vicino a tutti i sofferenti e gli infermi per aver portato come loro, con loro e per loro, il peso del dolore e della malattia. Come dimenticare il modo con cui stringeva il suo Crocifisso davanti al televisore mentre seguiva la “sua” ultima Via Crucis al Colosseo?

E’ stato per noi segno prezioso dell’unico Buon Pastore come ora lo è Benedetto XVI. Papa Benedetto con la sua semplicità, chiarezza e trasparenza sta guidando la Chiesa in uno dei momenti più delicati della storia nel solco dei Papi che lo hanno preceduto e tra pochi giorni ci incontrerà per “confermarci nella fede”.

La Settimana Santa ci ha fatto sperimentare sempre più la bellezza di essere Chiesa, comunità dei discepoli del Risorto, fedeli alla testimonianza degli apostoli.

Desidero raggiungere con queste righe tutte le nostre famiglie, in particolare quelle più in difficoltà  per motivi di salute, per problemi nel lavoro, per fatiche negli affetti e nei rapporti.

Preghiamo gli uni per gli altri perché la Carità in Cristo e lo sguardo di Speranza e di fiducia che dona la fede pasquale siano un reale e tangibile aiuto per attraversare ogni difficoltà, per “portare” insieme ogni sofferenza.

Abbiamo bisogno della salvezza, della misericordia di Gesù. Abbiamo il dono di poterla vivere quando partecipiamo al cammino della comunità cristiana: non mancano certamente le fragilità e i limiti di ciascuno ma li deponiamo insieme nelle mani del Crocifisso Risorto. E’ Lui la nostra Speranza. E noi “non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”.

La partecipazione corale e gioiosa alla Santa Messa di Domenica 8 maggio con Papa Benedetto al parco di San Giuliano diventi un segno concreto e speciale della gioia di appartenere a Cristo nella Chiesa, in una Chiesa “universale”, chiamata a portare Speranza dentro questo nostro tempo vivendo la Carità insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

Vi saluto ad uno ad uno e insieme a voi annuncio con gioia: “Alleluia! Il Signore è veramente risorto!”

Con gioia e con affetto, a nome anche di don Stefano e del diacono Franco

BUONA PASQUA a tutti!
Don Danilo Barlese

“Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?” Quelli risposero: “Barabba!”

Inserito il 17 Aprile 2011 alle ore 08:11 da Don Danilo Barlese

“Bar-Abba” in lingua ebraica significa genericamente “figlio di suo padre” ed era un nome usato particolarmente nei casi dei figli di N.N., dei figli non riconosciuti.

Pilato libera Barabba al posto di Gesù. Non si rende conto che sta compiendo un gesto che sarà ricordato lungo tutta la storia. Non si rende conto che Gesù, il Figlio di Dio, porterà sulla Croce i peccati di tutti noi, porterà sulle sue spalle tutte le conseguenze delle nostre lontananze dal Padre.

Il Crocifisso ci salverà e donerà a tutti noi, che con il peccato eravamo diventati “figli di nessuno” (Barabba) e “mal-fattori”, di essere liberati dal male, di entrare a far parte della famiglia dei figli di Dio Padre. Non è Pilato che libera Barabba. è l’amore di Gesù che libera tutti noi. Siamo noi, i “Barabba”, orgogliosi “figli di nessuno” a causa del peccato, dell’egoismo, dell’individualismo.

Riconosciamoci bisognosi di essere liberati, invochiamo la salvezza di Gesù in questa Santa Pasqua in modo da diventare testimoni di Cristo e del suo amore. Destiamoci dal sonno delle nostre pigrizie e del nostro perbenismo: abbiamo immensamente bisogno di percorrere insieme questa Settimana Santa per lasciarci amare da Gesù e ritrovare la gioia di annunciare il Vangelo.

BUONA SETTIMANA SANTA A TUTTI!

Don Danilo

Darà la vita ai nostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito

Inserito il 10 Aprile 2011 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. (Rm 8, 8-11)

San Paolo in questo brano presenta “carne” e “Spirito” come due mondi esi­stenziali opposti, ciascuno con i suoi dinamismi e le proprie finalità.
«Quelli che sono sotto il do­minio della ”carne”», in concreto, sono ostili a Dio, rifiu­tando di sottomettersi alla sua legge che si sinte­tizza nel comandamento dell’amore. Anzi, sono impossibilitati ad obbedire al suo volere e a costruire un’esi­stenza a lui gradita. Nell’estraneità totale alla fonte della vita non potranno che andare incontro ad un destino di morte.

Invece «quelli che hanno un’esistenza a misura dello Spirito» si comportano conseguentemente: mirano a vivere con uno stile ”spirituale” di obbedienza a Dio e di amore per gli altri. Il traguardo ultimo sarà la vita eterna. Paolo applica il discorso ai destinatari della lettera: «Ora, voi non siete sotto il dominio della ”carne”, ma dello Spirito».

Per grazia essi sono stati liberati dalla sfera d’azione dell’egocentrismo e fanno parte della sfera d’influsso dello Spirito. Poi l’Apostolo precisa:  “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene”. Paolo enuncia il principio teologico generale della stretta connessione tra l’avere lo Spirito di Cristo e l’appartenere a Cristo.

Nell’esistenza dei credenti lo Spirito è forza creatrice di spazi di amore e di obbedienza al Signore. Dall’appartenenza a Cristo scaturiscono alcune conseguenze: innanzitutto “se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia”.

Non manca chi scor­ge in questa affermazione la morte fisica a cui il Peccato destina l’uomo. Ma sembra preferibile, data l’apertura: «Se Cristo è in voi», vedervi l’evento salvifico della “morte” batte­simale del credente.

Corpo ha qui una precisa con­notazione negativa: equivale al «corpo dominato dal Peccato». Detto in termini paolini, “corpo” equivale a “carne” e indica la persona priva dello Spirito e appartenente al vecchio mondo. L’unione e l’appartenenza a Cristo però non significa solo morte al Peccato, ma anche vita nuova. La partecipazione del battezzato alla morte e risurrezione è resa possibile dalla presenza vivificatrice dello Spi­rito (lo Spirito del Risorto).

L’affermazione successiva completa il quadro dell’esperienza di salvezza. Se è vero che già al presente il credente sperimenta la vita del nuovo mondo, altrettanto vero è che que­sta avrà la sua pienezza nella risurrezione finale. Es­sere fin d’ora  abitazione dello Spirito vuol dire vedersi schiudere davanti un destino di Vita.

Sappiano i credenti di Roma che il traguardo a cui conduce l’esistenza “carnale” è la morte eterna, men­tre la vita eterna arriderà all’uomo coerente con il suo essere “spirituale”.

Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolen­za, bontà, fiducia, mitezza, padronanza di sé (Galati 5).

Don Danilo

Comportatevi come “Figli della luce”

Inserito il 3 Aprile 2011 alle ore 08:03 da Don Danilo Barlese

Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto: «Svégliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà». (Ef 5, 8-14)

Il tema della luce, contrapposta alle tenebre, non è nuovo nella riflessione cristiana. Nuovo e originale invece è lo sviluppo che culmina nel versetto 14 dove la luce è identificata con il Cristo risorto. La contrapposizione tra passato e presente, «un tempo/ora», compare più volte nelle lettere di Paolo. Essa esprime la svolta o conversione radicale attuata nella fede e siglata dal battesimo che ha fatto passare i credenti dalla sfera delle tenebre a quella della luce. L’immagine desidera sottolineare la scelta di fede. Infatti i cristiani sono “luce” ma “nel Signore”: solo in unione a Gesù partecipano alla verità, salvezza e vita, di cui la luce è un simbolo. A questa condizione deve corrispondere una vita come «figli della luce», cioè da persone totalmente dedite e impegnate nella nuova vita da discepoli. Sul piano operativo questo comporta uno stile di vita attivo e costruttivo, il cui «frutto» consiste in ogni «bontà», «giustizia», e «verità». Sono tre dimen­sioni positive che abbracciano l’intera esistenza dell’uomo e corrispondono allo stile di vita raccomandato dalla tradizione biblica. Ma per i cristiani non si tratta di valori etici astratti o astorici, elencati una volta per sempre in una serie di norme. Essi piuttosto devono «esperimentare», «saggiare» il quotidiano, con tutti i rischi e le ambiguità, per scegliere «quello che piace al Signore». Quest’ultima è una formula biblica che descrive l’impegno per giungere alle scelte operative di ogni giorno come un atteggiamento dinamico di fedeltà all’appello storico di Dio. Il risvolto negativo poi definisce senza equivoci lo stile di vita dei figli della luce. I cristiani devono dissociarsi dalle imprese ”improduttive” delle tenebre: non si parla di «frutto» per le tenebre, ma solo di «opere» infruttuose. La lettera propone ai discepoli un compito di riabilitazione nei confronti di «quello» che sta nelle tenebre. Il testo per la verità non parla di «persone», ma di «azioni» improduttive delle tenebre che devono essere «smascherate», rese manifeste dallo stile di vita di quelli che sono luce nel Signore di modo che tutto diventi luce.
Nella citazione finale del frammento poetico si parla di colui che deve risvegliarsi e risorgere dai morti per essere illuminato da Cristo. Qui sembra più chiara l’allusione all’esperienza iniziale di quelli che nella fede e nel battesimo sono «risorti dallo stato di morte dovuto ai peccati».
La piccola professione di fede può anche annunciare una promessa per quelli che non hanno ancora esperimentata la forza vivificante del “Cristo Luce”. In ogni caso è molto bello questo richiamo alla luce autentica che dà nuova coscienza ed energia di vita a quelli che accolgono l’annuncio della fede e l’invito alla conversione.

A cura di Don Danilo