Inserito il 24 Febbraio 2021 alle ore 19:10 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 24 Febbraio 2021 alle ore 19:03 da Don Gianni Antoniazzi
Taluno pensa che il Dio del Vangelo mandi sciagure e calamità per punire gli uomini. Taluno arrabbiato per la propria sorte, non apre la porta quando Dio sta bussando. Il Signore, però, è solo Fratello e Padre
Gesù dice: «Sto alla porta e busso. Chi mi aprirà e mi accoglierà mangerà con me ed io con lui» (Ap 3,20). Il Signore chiede di entrare per fare amicizia, donare gioia e speranza. C’è chi pensa: «Non voglio aprire, sono troppo arrabbiato; ho donato molto e cos’ho ricevuto? In casa mia sono venute disgrazie: un parente ammalato, uno in difficoltà con la famiglia, un giovane che non trova lavoro…».
Il Signore bussa, ma è il risentimento che non ci fa aprire. Un po’ di sapienza: donde viene quest’idea di un Dio che manda disgrazie? Quando la Scrittura racconta il volto del Padre dice: «Non voglio la morte del peccatore ma che si converta e viva»; Paolo aggiunge: «Dio, nostro Salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). Che senso avrebbe pensare che Dio dia l’esistenza e poi cerchi il male?
No, cari amici, se nella vita incontriamo la sventura, la causa va cercata piuttosto nella libertà della storia umana piuttosto che nell’azione del Padre il quale per noi vorrebbe sempre il bene. Pensiamo all’episodio di Zaccheo. Gesù lo chiama: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Poi dichiara: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Ecco, dunque, il vero volto del Padre: salvare quello che è perduto! Nella preghiera si chiede che vada a buon fine questo desiderio, che ogni uomo trovi il proprio compimento.
don Gianni
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Inserito il 17 Febbraio 2021 alle ore 19:02 da Don Gianni Antoniazzi
Il 17 febbraio inizia la Quaresima. Da tempo l’emergenza sanitaria ci impone sacrifici quotidiani. Il Signore non chiede altre rinunce ma di dare senso a quello che già facciamo senza perdere la speranza per il futuro
Viviamo in mezzo a fragilità quotidiane: c’è la malattia, la mancanza di lavoro, l’isolamento e la necessità di re-inventarsi il futuro. Qualcuno preferisce scappare dalle debolezze e finge di essere forte. La Quaresima, però, ci mette di fronte alla realtà, ci chiede di essere sinceri, di non chiuderci a riccio, di dare un senso alle fragilità. Ne usciremo arricchiti.
Ricordiamo l’esperienza di Israele: lasciata la schiavitù d’Egitto, per 40 anni il popolo attraversa il deserto. Ha sofferto le privazioni ma, accompagnato da Dio, è diventato forte ed è entrato nella terra promessa. Gesù stesso, nei 40 giorni di deserto, ha trovato l’energia per affrontare la vita pubblica fino alla Pasqua.
Il periodo che stiamo attraversando è il nostro deserto. La Quaresima ci domanda di viverlo in compagnia col Padre. “Fragile” viene dal latino “frangere”, rompere. È vero: le esperienze faticose possono romperci. Tuttavia, se lasciamo spazio alla mano di Dio, queste prove ci renderanno più robusti: sapremo affrontare problemi nuovi, impareremo a condividere le emozioni, daremo ali alla speranza, si interromperà la catena delle cadute.
don Gianni
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Inserito il 14 Febbraio 2021 alle ore 08:33 da Plinio Borghi
Esiste ancora il rimorso? È una domanda che mi pongo ogni tanto, specie di fronte a certi atteggiamenti disinvolti tenuti da autori di misfatti. Figurarsi poi se sono marachelle “passabili”. A volte mi salta la mosca al naso quando sento genitori esprimersi col “sono ragazzate” in presenza di vandalismi o forme di bullismo perpetrati dai rispettivi figli. Allora capisco che l’origine del declino passa da questa eccessiva indulgenza, che trova alimento dalla progressiva caduta dei valori minimi e incremento da un relativismo ormai di maniera. Certo, forse una volta si eccedeva con le iniezioni di senso di colpa, che a volte potevano provocare qualche rara forma di disagio psicologico, ma in linea di massima avevano un effetto efficace sul comportamento. Questo non toglie che ogni epoca abbia avuto comunque i suoi sbandati, ma erano ben chiari l’origine e lo scopo delle devianze. Oggi si assiste a forme di teppismo o addirittura di malavita con provenienze da ogni ceto sociale, sorte senza motivazioni ben precise; si picchia e si compiono angherie per noia, per reagire a pseudo mancanze di affetto e così via. E si finisce per meravigliarsi quando il picco raggiunge livelli efferati, come quelli di quel giovane “sportivo” di Bolzano che ha soppresso i genitori. E pensare che faceva anche l’insegnante e che fin da piccolo si sapeva che non era tanto a posto, se alla sorella raccomandavano di non litigare con lui quand’era da sola. Possiamo dire che è solo un esempio estremo, ma quanto fa presa nelle menti deboli, specie per l’indifferenza tenuta nei giorni successivi al delitto! Come siamo distanti da quelle figure di assassini tormentati e corrosi dal rimorso che la cultura di un tempo ci presentava! Se nel passato il rimorso era come una lebbra, che ti teneva isolato dal contesto sociale, oggi l’indifferenza o l’incapacità di governare i fenomeni lo sono altrettanto, ma in modo più subdolo perché non sono pienamente percepiti, come lo era invece il rimorso. Il piano è inclinato e se non troviamo un aggancio sicuro continueremo a scivolare. Come sempre, il più efficace è Gesù, che è lì che ci aspetta, purché facciamo almeno lo sforzo di andargli incontro. “Se vuoi, puoi purificarmi!” lo supplica in ginocchio il lebbroso del vangelo di questa domenica. Lui lo tocca (non ha paura di tali contatti il Maestro) e lo fa. L’unica contropartita che ci chiede è di essere anche noi attenti e responsabili, e di dare la sveglia alla coscienza intorpidita.
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Inserito il 12 Febbraio 2021 alle ore 08:01 da Redazione Carpinetum
Mercoledì 17 Sacre Ceneri.
Sante Messe alle 10:45; 16:00; 17:00 18:30; alle 19:30 liturgia della parola.
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Inserito il 10 Febbraio 2021 alle ore 20:15 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 10 Febbraio 2021 alle ore 19:41 da Don Gianni Antoniazzi
Con Draghi si va formando un nuovo governo. All’orizzonte si scorgono i motivi di contesa: riguarda le priorità: proteggere il debito o l’economia, l’ambiente o la TAV, l’Italia o l’Europa, la scuola o le vacanze? Faticoso conciliare
Qualche settimana fa girava un racconto in internet: Ogni anno un contadino vinceva il premio per il mais di miglior qualità. Un giornalista scoprì che, al momento della semina, quell’uomo condivideva la semente coi vicini. “Perché distribuisci i semi migliori a chi gareggia con te?”, chiese il giornalista. “Perché – rispose il contadino – il vento muove il polline: se i vicini coltivano mais scadente rovinano anche il mio. Se voglio avere il migliore devo aiutare chi mi sta vicino” (da Eirik Duke).
Il valore di una vita si misura dalle vite che tocca. Chi vuol essere felice deve aiutare gli altri a trovare la felicità, perché il benessere di ciascuno è legato al benessere di tutti. Nessuno vince, finché non vinciamo tutti. Quando, nel dibattito politico, si dice “Prima l’Italia” non si sbaglia a patto però di mettere in conto anche la crescita degli altri. In molte realtà non c’è competizione ma alleanza.
E c’è poi una seconda questione. Se si organizza un pranzo comune e ciascuno porta qualche cosa c’è sempre fin troppo da mangiare. Se però qualcuno distribuisce cibo soltanto a parole ma nei fatti mette la propria etichetta su quello che altri hanno portato, allora non si sta a tavola volentieri.
L’arte politica deve imparare a chiamare le cose col proprio nome. Quando si dice che i soldi vengono “dall’Europa” si dice un fatto improprio. I 200 e più miliardi promessi all’Italia sono in realtà prestiti presi dal futuro dei nostri ragazzi più giovani. L’Europa non crea energia né ha un’economia sua propria. Draghi lo sa bene e parla di “debito buono o cattivo”, a seconda che si tratti di strumenti per il futuro dei giovani o invece soldi buttati in strada. Chi gioca sulle parole può tagliare le gambe a molti
don Gianni
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Inserito il 7 Febbraio 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi
Siamo tutti mercenari, viviamo cioè una vita dura per aspettare infine il nostro compenso, non solo, ma siamo anche ben pagati per realizzare il progetto che è riposto su di noi. Lo dice esplicitamente Giobbe nella prima lettura e lo ripete in altri termini Paolo nella seconda. Implicitamente lo dimostra anche Gesù nel vangelo, instancabile nell’opera di diffusione del nuovo messaggio che è venuto a portare, fino al punto di non poter godere di un attimo di raccoglimento, perché la gente lo cercava, premeva per ottenere la sua attenzione. Oggi è una delle rare volte in cui vi è assonanza fra tutti e tre i brani in lettura (di solito la seconda se ne discosta). Normalmente il termine “mercenario” non è avvertito in modo tanto simpatico; in pratica dipende da che cosa sei chiamato a fare e da chi sei al soldo. Per quanto ci riguarda il nostro referente è il Padre, che conta su di noi per realizzare il suo progetto sull’umanità e il compenso che ci spetta è incommensurabile, molto superiore certamente alla qualità del nostro lavoro, cosa che in un rapporto di natura diversa non esisterebbe. Teniamo anche conto di come evolve il nostro compito: al contrario dei mercenari di questo mondo, il nostro è un lavoro in progress nel quale nessuno nasce “imparato”. Sarà la vita stessa a renderci forti e sicuri e, se nella nostra azione missionaria sapremo coinvolgere più gente possibile, maggiore sarà il compenso, come dice San Paolo e come ci dà l’esempio Gesù, instancabile nel cercare anche l’ultimo degli ammalati: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini – dirà alla fine – perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto”. Attenti, però, che nel nostro muoverci non incorriamo nella tentazione di farlo per sentircene sin d’ora appagati, magari perché ci piace essere protagonisti o illuderci di diventare indispensabili: avremmo già avuto la nostra ricompensa, come ci ammonirà il Maestro più avanti. E allora sarà una retribuzione ben misera. Gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente siamo tenuti a dare, ci sarà ancora detto, e vana giustificazione sarà per il “Mandante” che nemmeno il cane muove la coda per niente. La sostanza del nostro compito è ben richiamata nella Colletta alternativa di oggi: “… rendici puri e forti nelle prove, perché sull’esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva”. Mirabile sintesi! What else?
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Inserito il 4 Febbraio 2021 alle ore 13:49 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 4 Febbraio 2021 alle ore 12:54 da Don Gianni Antoniazzi
(scritto martedì 2/2 alle 21:30) È giunta la crisi di governo. Non tutti ne capiamo l’esatta ragione. Sembrava fosse sufficiente firmare un programma. Per governare, però, è necessario un cuore da persone mature
Il momento è buio. Negli ultimi mesi, alcuni politici hanno affrontato le curve della storia in modo spavaldo, convinti di riprendere ogni volta la strada corretta. Ora siamo a un vicolo cieco, senza navigatori né indicazioni per procedere. La crisi è grave perché stiamo attraversando il momento più duro dopo la Seconda guerra mondiale.
Indico un fatto. Chi ha rotto il “Conte bis” sperava di tornare in pista con la firma di un “programma”. Se ricordate, in passato si pensava di guarire i malori col clistere. Oggi si crede di risanare il male sociale scrivendo “piani di azione”. Attenzione: si “progetta” il lancio di un razzo, la costruzione di un ponte, lo sviluppo di un pollaio. La vita di una Nazione è superiore ad un semplice programma, anche sottoscritto in pubblico. L’esistenza comporta imprevisti, contrattempi, opportunità, occasioni: chi di noi, un anno fa, avrebbe immaginato questo Covid?
La vita sociale è fatta di flessibilità, prontezza, intelligenza, sacrificio. Esige tutte le facoltà dell’uomo, a cominciare dalla capacità di amare e creare fraternità. Se la soluzione fosse “il programma”, Gesù avrebbe stabilito il “sacramento del progetto”. Il Vangelo invece equipara l’esistenza a una barca sballottata dalle onde, senza porti sicuri. Gesù non indica progetti ma chiama a seguirlo, fa cioè una proposta dinamica.
Per carità, è doveroso organizzarsi prima di “costruire una torre”: il programma però è un mezzo, non il fine, uno strumento da aggiustare man mano, mai il motore del cammino. Nessuno arriverebbe al matrimonio se prima dovesse progettare i 10 anni futuri. Si governa se si è innamorati del bene comune, si affronta il matrimonio se si è mossi dall’amore pasquale, quello che sostiene anche l’imprevisto della Croce. Il resto è la pagliacciata di un carnevale che speriamo di dimenticare in fretta.
don Gianni
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