Lettera aperta del 4 novembre 2018
Inserito il 31 Ottobre 2018 alle ore 21:01 da Redazione CarpinetumAbbiamo inserito nel sito lettera aperta del 4/11/2018. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Mia nonna ripeteva che, da piccola, in casa non si doveva perdere neanche un ago. In quel mondo si aggiustava tutto e tutto veniva re-impiegato. Anche mio padre aveva un’attenzione scrupolosa: il suo “mantra” era risparmiare corrente e acqua. Ricordo poi l’attenzione al telefono: siamo stati i primi ad averlo in zona; i vicini venivano da noi per chiamare i figli militari; guai se noi piccoli avessimo toccato l’apparecchio. Quella era un’economia di sussistenza che mostrava la stessa cura nel rapporto con le persone, e con sé stessi. Noi siamo diventati la società dello spreco e lo dimostra l’episodio in patronato della scorsa settimana.
Giovedì è stato steso il “ghiaino lavato”. Il mattino seguente sulla superficie asciutta c’erano i passi di un adulto con tanto di bicicletta. Tutto era stato recintato ed erano stati posti cartelli di segnalazione eppure qualcuno aveva fatto di testa sua. Superata la delusione, coi martelli pneumatici si è tolto tutto e, a tempo di record, si è ripartiti da zero. Il danno ci costerà migliaia di euro, letteralmente buttati sulla strada. Non è importante sapere il nome di chi sia passato di lì alle 19.50 per una riunione condominiale, bisogna però capire che dobbiamo diventare più presenti a noi stessi, restare vigili quando viviamo ed avere la giusta cura per la realtà.
don Gianni
Un grido di speranza (I parte). Da oggi alla fine dell’anno liturgico saremo sostanzialmente proiettati nella sfera escatologica, che include i cosiddetti “Novissimi”: morte, giudizio (particolare e universale), inferno e paradiso. A contribuire alla riflessione sull’epilogo della nostra fede contribuiscono il giorno di tutti i Santi e quello della commemorazione dei defunti, divisi in due momenti più per nostre questioni pratiche (abbiamo bisogno di invocare da una parte l’intercessione dei santi e dall’altra di dedicarci alla preghiera per i nostri cari) che per motivi reali: le anime in Paradiso e quelle in Purgatorio sono parimenti sante e parimenti intercedono per noi, anche se quest’ultime hanno ancora bisogno del suffragio per raggiungere la gioia piena dell’incontro col Padre. Orbene, da quale condizione ci libera la morte? Prima di tutto da quella umana, legata alla natura del nostro corpo e alla debolezza che ci induce al peccato; il quale a sua volta ci rende ciechi, come il povero Bartimeo, il protagonista del vangelo di oggi. Siamo all’ultimo miracolo raccontato da Marco e penso non sia un caso che la liturgia ce l’abbia collocato proprio in questo arco di tempo. Il malcapitato grida appena sente arrivare il Nazareno, invoca insistentemente la sua pietà, nonostante i seguaci tentino di zittirlo. Il suo è un grido di speranza, presume di avere una carta importante da giocare: se gli sfugge quest’occasione, non gliene capita un’altra simile. Egli ci insegna che solo la fede può riscattarlo dalla sua condizione di cecità, che lo costringe a brancolare nel buio. Gesù avverte questa tensione e lo fa chiamare. Il fatto ci offre motivo di consolazione a conferma della rassicurazione che il nostro Salvatore ci ha più volte data: se insistiamo nel chiedere, il Padre non rimane insensibile. Certo, farlo da disperati non ha effetto. Solo una speranza, quella che dà certezza, è tale da garantirci. Un’ultima notazione dell’evangelista: Bartimeo, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Il mantello era tutto ciò che possedeva. Non sa ancora cosa succederà, ma la certezza è tale che d’un balzo lascia tutto. Quale abisso con l’atteggiamento del giovane ricco di due settimane fa! “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Ma l’ex cieco non va e, senza girarsi indietro, prende a seguire il Messia. Otterremo anche noi lo stesso lasciapassare al momento del giudizio particolare? Dipende da quanto forte e reale sarà stato il nostro grido di speranza.
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 28/10/2018. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Di fronte alla morte risuona per noi la fede nella Risurrezione. Noi cristiani diamo volentieri il contributo per la crescita della società presente, ma sappiamo che la “patria” vera è nei cieli. La nostra realizzazione è nella comunione con Dio e con coloro che ci hanno preceduto nella fede. Il resto, per quanto importante e decisivo, è in funzione di questo fine. In piedi, presso le tombe dei nostri cari, non vogliamo edificare un culto dei morti primitivo e superficiale. Piuttosto cerchiamo un dialogo, memoria del legame vissuto, attesa di quello che vivremo in pienezza nel giorno senza tramonto. In questi giorni di memoria per i defunti capiamo che essi ci accompagnano, con una presenza vera anche se non concreta, domandano il nostro affetto stabile e un segno di attenzione. Chi fra noi ha fede sa che la forma più alta di comunione con loro è la preghiera e la carità fraterna.
don Gianni
Fatalismo, scaramanzia o… fede? Quando capita che la vita ti riservi qualche dura prova che la potrebbe mettere in discussione o comprometterne seriamente la qualità, non è più il momento di prendere le cose sotto gamba o di fingere finti ottimismi, bensì di essere realisti. Tuttavia, abbiamo mille modi per esserlo. C’è chi si abbandona al fatalismo: succeda quel che deve succedere. Il più fantasioso assume atteggiamenti scaramantici: ci sono passati in tanti, proprio io devo soccombere?; oppure: di qualche cosa bisogna pur morire prima o poi. L’uomo di fede li assume entrambi, sublimandoli: si abbandona alla volontà del Padre, che tiene il grande libro dove sta scritto il tuo nome e la tua ora; si prepara all’eventualità del grande passaggio o, nella migliore delle ipotesi, è già pronto, all’insegna di quell’”estote parati!” raccomandato da Gesù. Comunque vale l’ottimismo vero: è un incidente di percorso e tutto continua; ottimismo che servirà molto anche in fase di guarigione. Chi mi legge avrà ben capito che io appartengo a quest’ultima categoria: fede e ottimismo. E non lo dico teoricamente: ho un’età nella quale ho iniziato da un bel po’ con le malattie croniche e con vari interventi di “restauro”, non estetico ovviamente. Il problema più grosso è stato quello di alleggerire l’apprensione di chi mi sta a fianco, per il resto puntualità nell’assumere i farmaci, fiducia piena nei medici, partenza per l’ospedale con il mio pc portatile in borsa e cavetti vari di collegamento. Alla consueta domanda: “Ma cossa te serve portarte drio tuta quea roba!?”, solita risposta: “Finìo l’intervento gavarò pur d’andar vanti co e me robe!”. E così è sempre stato,con buona pace dei miei referenti, che non si sono quasi accorti della mia assenza, spesso prolungata. Non tutti però sono così netti nella loro collocazione. Gli Apostoli che il vangelo di oggi ci descrive, ad esempio, non hanno ben capito la portata dell’epilogo della missione del Maestro, né che nel prosieguo la stessa sorte sarebbe toccata anche a loro, ma con un po’ di fatalismo l’hanno data per scontata e con un pizzico di scaramanzia si sono messi a disquisire su come fare dopo per sedersi uno alla destra e l’altro alla sinistra del Salvatore. Che la fede li abbia portati a credere senza capire non ci piove, ma Gesù dà loro la classica “stuada”, come si direbbe in veneto: chi vuol essere il primo tra voi sarà servo di tutti, come me, che sono venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti. Classico e vale anche per noi.
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 21/10/2018. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Quando si parla di missioni ci vengono in mente i poveri che vivono in paesi lontani e ricevono aiuto da preti, suore e laici partiti dalle nostre città. Non è sbagliato: quando qui in Italia c’era abbondanza di clero, alcuni portavano il Vangelo e un sostegno di carità nelle zone più remote. Oggi, però, la prospettiva è cambiata. Non abbiamo preti e capita che siano i sacerdoti di colore a celebrare Messa da noi.
Di più: ormai molti cittadini del Veneto “bianco” si allontanano dalla Chiesa e rifiutano il titolo di cristiani.
La missione, dunque, parte dalle nostre case. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”: chi ha avuto la gioia d’incontrare Gesù Cristo è chiamato a offrire questo dono ai fratelli che incontra, a partire da parenti, amici e colleghi di lavoro. È una “missione” che ci riguarda tutti.
don Gianni
Affrontare una svolta nella vita è successo a tutti e in più di qualche circostanza, talora per cause di forza maggiore, come dover scegliere quale branca di studi intraprendere o, peggio, se interrompere e andare a lavorare; talaltra per migliorare o cambiare la propria posizione lavorativa ovvero per formare una nuova famiglia, mettere al mondo dei figli e così via. Spesso alcune scelte si presentano come determinanti o irreversibili, altre volte richiedono grossi sacrifici e rinunce e qui scattano le difficoltà, specie in presenza di legami o interessi che rischierebbero di venire compromessi. Da ciò deriva l’assioma che più uno ha e più difficoltà trova nel mettere in discussione qualcosa. Ne ho conosciute di anime belle che non avevano remore nel compiere salti al buio oppure allontanamenti prolungati con una leggerezza per me impensabile e, gratta gratta, scoprire che non avevano alcun legame né affettivo né sociale che mitigasse certe impennate. E non parlo di sfaccendati o apatici. Il problema è un altro: quanto i laccioli di cui si parla, in primis il benessere e la ricchezza, possano costituire una palla al piede che ci impedisca di librarsi, ci facciano venir meno il coraggio anche per un impegno di carattere spirituale o solidale. Oggi il vangelo mette a fuoco il famoso episodio del giovane ricco, una persona a posto e osservante, che però sente il bisogno di impegnarsi di più, non gli basta quel che possiede per sentirsi realizzato. Quante volte ci è capitato di assistere alla disperazione di chi gli crolla il mondo addosso e ai nostri occhi sembrava avesse il massimo della felicità! e quanto più disadattamento e squilibrio notiamo in chi ha tanto, rispetto a chi ha poco o niente! Gesù suggerisce al giovane volonteroso una cosa all’apparenza semplice: “Va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri … poi vieni e seguimi”. Che equivale a “liberati!”. Qui l’evangelista è magistrale nella sua laconicità: “Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni”. Ecco la sintesi di quel che si diceva prima, ecco perché il denaro, lungi dal fare la felicità o almeno dall’aiutarti, t’impedisce di realizzarti. Staccarsene non vuol dire tanto disfarsene, quanto saperlo impiegare nel verso giusto qui, per crearti beni più duraturi di là. Ai più zelanti Gesù garantisce addirittura il centuplo già in questa vita. Altrimenti il solito cammello continuerà, suo malgrado, a passare per la cruna dell’ago mentre il ricco non ce la farà ad entrare nel regno di Dio.
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 14/10/2018. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.