Lettera aperta del primo gennaio 2017
Inserito il 28 Dicembre 2016 alle ore 20:30 da Redazione CarpinetumAbbiamo inserito nel sito lettera aperta dell’1/1/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Talvolta ci viene l’idea che il 1° gennaio sia un giorno come altri, senza nulla da festeggiare.
Poco per volta, però, si intuisce che l’uomo deve pur marcare con solennità alcune tappe del tempo, altrimenti, nello scorrere indifferenziato, si disperde. Oggi, 1° gennaio, fissiamo una cadenza, stabilita per tutti, così da essere protagonisti consapevoli e responsabili del divenire. Senza speranza, però, nulla di questo ha un senso.
Chi fra noi è votato al “sempre peggio” non ha di che brindare. Viceversa, chi ha nel cuore la prospettiva del “giorno senza tramonto” ha innumerevoli ragioni per farsi gli auguri e chiedere che Dio sostenga i passi quotidiani.
don Gianni
Letterina a Gesù Bambino. Caro Gesù, spero di essere arrivato bene al Natale senza lasciarmi fuorviare troppo dagli aspetti mondani di questa festa. Comunque non ho proprio voglia di chiederti niente per me: ci sono troppe situazioni in giro per il mondo che hanno tanto bisogno di te, troppe situazioni in cui i numerosi Erode, sparsi un po’ ovunque, continuano a spargere sangue innocente. Il “tuo” Erode, almeno, rispondeva, suo malgrado, ad un progetto di salvezza: questi sono solo imbevuti di teorie balzane tendenti a dare morte e sopraffazione. Caro Gesù, in questo bailamme implorare pace ovunque è fin troppo scontato, ma se puoi fai almeno una capatina ad Aleppo, affinché in quello scempio non muoia almeno la speranza. Se ce la fai, un saltino pure in Africa, in Nigeria come in Eritrea, ma anche in molti altri focolai, non lo vedrei così male, specie se tu (e solo tu lo puoi) riuscissi a introdurre un pizzico di resipiscenza in quelle teste calde che se la prendono con i cristiani, con i loro fratelli, perpetrando violenze inaudite quanto gratuite. Già che ci sei, non guasterebbe la tua presenza nemmeno in qualche barcone di disperati, per salvarli dalla cattiveria di quegli scafisti beceri e senza scrupoli, ma anche per facilitare la loro accoglienza fra noi, liberandoli della zavorra di quanti, giovani e baldanzosi, approfittano della loro sorte per spacciarsi per fuggitivi, mentre sono consci di come sarebbero molto più utili lavorando per la prosperità nei loro rispettivi Paesi. Instilla in loro quel po’ di vergogna perché capiscano che la loro arroganza innesta atteggiamenti sbagliati verso coloro che invece meritano di essere accolti bene. Caro Gesù, non voglio però che le nequizie umane facciano trascurare chi ha subito gli effetti delle calamità naturali. Anche quest’anno stiamo piangendo i troppi morti, in Italia e nel mondo. Penso che un forte aiuto alla ripresa dei nostri paesi del Centro possa venire dalla percezione che sei lì anche tu, piccolo e fragile come loro, ma portatore di salvezza. Ma non voglio peccare di egoismo: fa altrettanto nel resto del mondo; penso in particolare ad Haiti, dove è piovuto sul bagnato: dovevano ancora cominciare a riprendersi dalla batosta precedente. Caro Gesù Bambino, a continuarlo l’elenco sarebbe fin troppo lungo e mi fermo qui, auspicando che stavolta le tenebre non ce la facciano a soffocare la tua luce, si diradino invece, consentendo a noi di accoglierla per guardarci attorno con occhi diversi. Sono convinto che allora sarà per tutti veramente un Natale con i fiocchi!
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 25/12/2016. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Cogliamo l’occasione per augurare a tutti i visitatori del sito un sereno Natale!
A Natale Dio apre le braccia ad ogni uomo, anche a chi pensa di essere lontano. Ha chiamato alla grotta di Betlemme i pastori, che erano distanti da Israele quanto oggi gli Imam dal cristianesimo. Sono venuti poi i “Magi”, i saggi che per orientare la vita non conoscevano le Scritture ma le stelle. Anche oggi Dio nasce per tutti, non solo per i buoni; si è fatto umile affinché nessuno, per quanto emarginato e disprezzato, pensi che Dio non gli è vicino. Nonostante questo i “lontani” sentiranno la Sua presenza a patto che noi, i credenti, i discepoli, camminiamo secondo il suo stile e non mostriamo il volto di una Chiesa rigida, altezzosa, arrogante o chiusa nei muri di un’insicurezza talora evidente e faticosa da superare.
don Gianni
Siamo all’ultima invocazione: “Stillate dall’alto o cieli la vostra rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto; si apra la terra e germogli il Salvatore”, recita l’Antifona d’ingresso della Messa di oggi. Ad analizzarla con attenzione, ci rendiamo conto di quanti elementi naturali sia farcita l’allegoria che perora l’arrivo fra noi del Messia. Una cosa è certa: Dio non intende redimerci con un gesto clamoroso o coercitivo, ma vuole che siamo noi i fautori del suo progetto. Alcuni elementi sono già in atto: la rugiada è stillata (lo Spirito Santo) e la terra si è aperta (Maria vergine), il germoglio è ormai in arrivo (domenica prossima). Mancava all’appello Giuseppe, con tutti i suoi dubbi e la sua umanità, al quale Matteo dedica il passo odierno del suo vangelo. Nella figura di Giuseppe siamo rappresentati un po’ tutti, specie quando è in difficoltà a capire cose più grandi di lui e si arrovella per trovare una via d’uscita che sia dignitosa; ma dovremmo rassomigliargli ancor di più quando accetta con fede il ruolo che gli è stato riservato e si fa carico di condividere con la sua sposa la cura di quel Bambino letteralmente piovuto dal cielo. Attraverso quest’uomo generoso, che non avrà comunque modo di assistere all’epilogo della sua avventura, il Padre ci fa capire che ognuno è chiamato a essere protagonista della salvezza, propria e degli altri (sarebbe riduttivo pensare che i ruoli si esauriscano nei personaggi di quel tempo). Ce lo ribadirà con più chiarezza Gesù stesso durante l’annuncio del Regno e soprattutto dopo la Resurrezione quando, promettendo l’arrivo dello Spirito Santo, ci darà il mandato di evangelizzare il mondo e di sottomettergli tutte le genti, i troni e le dominazioni (lo cantiamo anche durante la novena di Natale), affinché egli possa tornare nella sua Gloria e dichiarare al Padre che la missione è compiuta. Sotto un certo aspetto siamo pure avvantaggiati rispetto a Giuseppe, perché a noi la verità è stata a tutti gli effetti rivelata. Sarebbe ben ridicolo che, assaliti dai dubbi, cercassimo ogni pretesto per eludere il percorso o addirittura rinunciassimo al mandato, buttando alle ortiche, con la vita, breve come un battito d’ali, anche la possibilità di godere il premio finale della completa conoscenza del volto del Padre, che abbiamo imparato a scorgere attraverso Gesù. È più conveniente che utilizziamo quest’ultimo scorcio d’Avvento per dare una regolata alla nostra spinta di fede, affinché l’euforia del Natale ne sia ancora una volta una bella rampa di lancio.
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 18/12/2016. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Il 25 dicembre si avvicina e nascendo fra noi Dio supera la grande differenza fra l’infinito e la fragilità. Lo fa per amore e ci salva. La risposta non è lusinghiera: generalmente la nostra tenebra respinge la luce. Il dramma dell’accoglienza si consuma in molti modi. Ci sono gli extracomunitari rifiutati; il problema dei cristiani martiri per integralismo. A Udine la scorsa settimana una figlia è stata picchiata dai genitori e allontanata dalla famiglia perché si toglieva il velo islamico quando entrava in classe. La lista è lunga. Qui mi preme dire che su questi argomenti le parole non giovano a molto. Ci si accoglie solo al duro prezzo della croce. Per venirci incontro Gesù è salito sul Calvario. Per generare i figli alla vita i genitori devono ri-compiere il cammino della loro crescita. Il Padre misericordioso della parabola sacrifica il vitello grasso. Noi abbiamo riempito la festa di zucchero, ma a Natale Dio nasce a “caro prezzo”. Pensare di risolvere i problemi con le sole buone intenzioni non ci porterà lontano.
don Gianni
Il ricorso ai paragoni è frequente nel nostro linguaggio e, senza che ci accorgiamo, i nostri discorsi ne risultano alquanto infarciti. Di un ladro colto in flagrante, diciamo che “è scappato come una lepre”; chi, poco agile, inciampa “è caduto come un sacco di patate”; se uno si precipita per la fretta “è partito come un razzo” e così via. Spesso i paragoni sono integrati da iperboli: “Io ti voglio un bene grande come una casa”, si diceva da piccoli alla mamma; e se poi si faceva a gara con i fratelli il secondo rilanciava “e io grande come tutta la città”, “e io grande come tutto il mondo”, “e io grande come tutto l’universo”. Proviamo a prestare un po’ di attenzione ai dialoghi e ci renderemo conto che è così. Probabilmente c’è l’esigenza di sottolineature o forse il bisogno di farsi capire bene senza tante perifrasi. Anche Gesù, da uomo, ha questo problema con i suoi, teme che non passi bene il concetto del Regno e pertanto in diverse circostanze si affida a paragoni e similitudini, sovente accompagnate da parabole. Nel vangelo di oggi, poi, dopo aver disquisito per Giovanni e su Giovanni, coglie l’occasione di “divagare”, esaltando il suo precursore, e conclude con un’affermazione di tutto rispetto: “In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista”. Frase esaltante, che gli serve però da trampolino per il seguito. Ed ecco il paragone: “Tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”. Non c’è dubbio che pure il più sprovveduto colga di quale bene enorme stia parlando e di come sia ambizioso il piano di salvezza che il Padre ha su di noi, tutti, al punto di mandare il suo stesso Figlio ad annunciarlo. Un altro aspetto balza all’occhio: nel Regno dei cieli non saremo tutti uguali e la nostra grandezza sarà commisurata non all’intelligenza o al titolo di studio o all’importanza della nostra persona in questa vita, bensì ai meriti che avremo accumulato, all’umiltà che avremo esercitato, a quanto saremo riusciti a farci piccoli per capire e mettere in pratica la lieta novella. Un bell’esempio ci è venuto questa settimana nientemeno che da Maria, la quale, nella sua modestia e pur non comprendendo, con tanta disponibilità risponde all’Angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. Che l’Avvento ci aiuti a predisporci con analogo atteggiamento, se vogliamo garantirci quella prospettiva incomparabile, che la nascita del Messia rende concreta.
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta dell’11/12/2016. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.