Inserito il 29 Agosto 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese
“Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.” (Ebrei 12,18-19.22-24)
Anche se non è possibile stabilire una perfetta antitesi tra le due descrizioni, tuttavia il senso generale di questo dittico è chiaro. La vecchia alleanza e la relativa rivelazione di Dio avvenuta nel contesto del monte Sinai sono contrassegnate dalla paura.
La nuova alleanza siglata nel sangue di Gesù, è una esperienza gioiosa di festa, caratterizzata dalla partecipazione alla salvezza definitiva.
Il mediatore dell’alleanza nuova è Gesù che con “l’aspersione del suo sangue” attua la piena riconciliazione e l’incontro salvifico con Dio, inaugurando l’accesso definitivo alla Gerusalemme celeste.
I particolari della prima visione sono una raccolta di elementi desunti dai testi biblici che descrivono la rivelazione di Dio al monte Sinai o Horeb. Del resto il fuoco e la tempesta sono i simboli ricorrenti.
Però il nostro oratore non si limita a trascrivere i testi biblici, ma li rilegge in vista della comunità alla quale rivolge il suo discorso. L’autore della lettera richiama il rifiuto del popolo ai piedi del Sinai ad ascoltare la «Parola». Questa precisazione prepara l’avvertimento successivo sul rischio che corrono i cristiani di subire una più grave condanna se seguiranno l’esempio degli ebrei che ricusarono la voce di colui che parlava loro tramite Mosè.
Più complessa è l’identificazione di alcuni particolari del secondo quadro, quello della nuova alleanza. È facile rilevare la disposizione scenica dei vari particolari: le prime tre espressioni tratteggiano il «luogo» (monte Sion, Città del Dio vivente, Gerusalemme celeste); le tre successive, descrivono “l’assemblea celeste”, “angeli”, “primogeniti e giusti resi perfetti”.
Sorge un interrogativo per queste tre espressioni che presentano l’assemblea celeste: si tratta della chiesa terrena storica, o di quella ideale celeste e escatologica?
Probabilmente il nostro autore non si pone questa alternativa. E’ annunciata la Chiesa come realtà globale e definitiva alla quale partecipano i cristiani. Questo incontro nell’assemblea celeste dove si trova il santuario di Dio e la comunità dei salvati è reso possibile dal sangue di Gesù che con la sua morte accolta liberamente ottiene perdono e salvezza per i membri della nuova alleanza.
L’intera esistenza cristiana, accolta come dono di Dio, vissuta nella fedeltà, è il culto accetto a Dio. L’impegno con il Dio vivente non è un hobby o un passatempo per gente sfaccendata o volubile, ma una scelta seria e irreversibile che abbraccia l’intera esistenza.
Don Danilo
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Inserito il 26 Agosto 2010 alle ore 09:11 da Redazione Carpinetum
Domenica 22 agosto è mancata la moglie di Giulio Leoni, un amico, già anima del gruppo che fin dagli anni Novanta ha curato l’informatizzazione della nostra parrocchia e semplificato la gestazione settimanale di “lettera aperta” e delle nostre altre pubblicazioni. Giulio ha inoltre contribuito in modo determinante alla nascita e crescita de “L’Incontro” di don Armando e cura il nostro presepio.
Don Danilo, la parrocchia tutta e in particolare gli attuali membri della redazione di “lettera aperta” elevano una preghiera per Cristina, la cara moglie di Giulio, e perché lui riceva la forza di continuare il cammino anche in questo difficile momento.
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Inserito il 22 Agosto 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese
“«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio». Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire” (cfr. Ebrei 12,5-13).
Questo “passaggio” della Lettera agli Ebrei affronta la delicata tematica dell’«educazione» divina dei figli “attraverso le prove”. Non dimentichiamoci che essa fa seguito alle affermazioni sull’esperienza vissuta da Gesù, il Figlio, che “attraverso quello che patì esperimentò la fedeltà”.
Qui il rapporto educativo “padre-figlio” è ricostruito secondo i criteri dell’antica pedagogia che prevedeva il ricorso a sistemi preventivi e rigorosi. È proprio dentro la cornice di questo sistema educativo che si può inserire il discorso del nostro autore, il quale desidera offrire una riflessione sul senso delle prove, tribolazioni o sofferenze dei cristiani.
Le conclusioni della sua argomentazione, che si avvale del metodo dell’analogia, si possono riassumere così:
1. le sofferenze sono un «segno» del rapporto di figliolanza con Dio, perché solo verso i figli veri si rivolge la cura pedagogica-disciplinare dei genitori (-> Dio Padre).
2. l’educazione o pedagogia divina a confronto di quella terrena o umana ha questo vantaggio: è fatta da un Padre che in quanto «celeste» ha di mira il bene definitivo dei suoi figli che consiste nel partecipare alla sua santità, alla sua pienezza di vita.
3. quindi nonostante l’attuale crisi o sofferenza che provoca questa pedagogia divina essa alla fine produrrà un frutto eccezionale: una vita corrispondente alla divina volontà, garanzia della pace o salvezza definitiva.
Questo modo di affrontare il problema delle sofferenze o tribolazioni cristiane ha una sua logica quando si sono accettati i criteri dell’antica pedagogia (che suscitano legittime perplessità e riserve al confronto con le moderne scienze dell’educazione).
Ma il problema non è qui. Il rischio è quello di semplificare il paragone utilizzato dal nostro autore tra pedagogia umana e divina, e concludere che Dio è Padre perché «rimprovera e castiga» i suoi figli e tanto più si rivela buono e paterno quanto più li “riprende”.
Il paragone condotto alle sue estreme conseguenze porterebbe ad attribuire a Dio le sventure e disgrazie o le sofferenze e tribolazioni che colpiscono i credenti. Se in una visione teologica astratta si può far rientrare “tutto quello che capita” nel disegno di Dio, resta il fatto che le criminalità umane, fonte spesso di sofferenza e dolori, come nella morte di Gesù, non possono essere semplicisticamente giustificate sulla base del “destino”.
Solo in un contesto di fedeltà, sulla linea di Gesù (il Figlio fedele anche nelle prove) le sofferenze che accompagnano l’esistenza dei credenti possono diventare un invito a riscoprire il nuovo rapporto con Dio Padre in un contesto là dove la fede viene purificata anche dalle sue scorie di illusione e di interessi superficiali. In altre parole l’efficacia della «pedagogia» divina delle prove suppone già quella scelta di fede e fedeltà che trova in Gesù la sua sorgente (e nei padri dell’Antico Testamento e nei Santi i testimoni). Certamente queste considerazioni entrano in un percorso delicato ma estremamente concreto e quotidiano. Un percorso da approfondire, da leggere con gli occhiali del nostro tempo, ma inevitabile. Le prove di ogni giorno non si possono eludere. O le “attraverso” nella fede di un figlio che si affida a Dio Padre oppure vivrò l’illusione della mia presunta onnipotenza seguita da un’inutile fuga, deluso davanti all’incapacità di avere in pugno il cammino della vita.
Don Danilo
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Inserito il 15 Agosto 2010 alle ore 08:00 da webmaster
Vi annuncio che il Patriarca ha nominato nuovo cappellano di Carpenedo don Stefano Cannizzaro, trasferendolo da San Lorenzo m. di Mestre. Accompagniamolo con la preghiera e con la simpatia con le quali continuiamo a fare il “tifo” per don Marco.
Nato al Lido di Venezia il 25 gennaio del 1977, don Stefano è cresciuto nella parrocchia di Sant’Antonio. Entrato in Seminario in prima media, è stato ordinato sacerdote il 22 giugno del 2002. Ha cominciato la sua attività pastorale come vicario parrocchiale a Catene di Marghera, e nel frattempo ha conseguito il baccalaureato in Teologia presso l’Istituto Laurentianum dei Cappuccini al Redentore, e si è iscritto al corso di Diritto Canonico dello Studium Generale Marcianum a Venezia. A settembre del 2004 ha ricevuto dal Patriarca Scola l’incarico di vicario parrocchiale a San Lorenzo di Mestre. Ha seguito in particolare il settore della catechesi dei bambini e dei ragazzi, quello dei fidanzati, degli sposi e delle giovani coppie, e tutto il settore della carità. E’ appassionato e versato per le scienze informatiche. In base alle voci che girano si dice sia “juventino”…
Ringraziare per il dono di un prete e accogliere il dono del suo “successore” chiama a “raccolta” una famiglia. Questi fatti aiutano a rendersi conto, ancora una volta, che nulla è scontato, tutto è “nuovo” quando è segnato dallo stupore e dalla passione del Vangelo.
Chiediamo a Dio il dono della Santità per i nostri preti, per la nostra comunità. Non è più il tempo di mezze misure, non ci è più permesso di “accontentarci” del minimo. Lo Spirito Santo soffia e invia in missione.
Oggi la Storia ci domanda un Amore sempre più autentico, forte e fedele per nostro Signore Gesù e per le persone che la vita ci fa incontrare.
O Signore Gesù, dona alla nostra comunità di essere sempre “il luogo dell’incontro con Dio e con l’altro” per “riempire di futuro e di speranza” ogni persona: i bambini, i vecchi, i “morosi”, i poveri, gli ammalati, le persone sole, i giovani e gli sposi… Grazie don Marco. Benvenuto don Stefano.
Don Danilo
Inserito in L'editoriale di don Danilo | Commenti disabilitati su A ottobre arriverà don Stefano!!!
Inserito il 10 Agosto 2010 alle ore 09:55 da webmaster
Su Youtube abbiamo trovato per caso quello che e’ di fatto un reperto storico: la simpatica ripresa di una partita di pallone fra ragazzi tenutasi nel vecchio campo da calcio vicino al patronato. La ripresa e’ datata aprile 1995, quindi sette anni prima dei lavori che hanno portato alla nuova veste (…non fangosa) dei campi da gioco. Da vedere anche per chi e’ nato dopo e non ricorda com’era il patronato “tanto tempo fa”.
Il video puo’ essere visionato da questo collegamento.
Attenzione a qualche parolina un po’ fuori posto dei giocatori (ma… comprendiamo il momento di tensione agonistica!) e un plauso alla simpatica commentatrice.
Se qualcuno dei partecipanti si riconosce puo’ lasciare un commento a questo post, ci farebbe piacere leggervi!
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Inserito il 8 Agosto 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese
Il primo versetto del cap. 11 della lettera agli Ebrei descrive la FEDE in termini chiari: “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”. Questa frase iniziale non può essere separata da tutto il capitolo 11, dove si “racconta” la fede.
La fede dei padri, di Abramo, di Mosè e dei martiri che perseverarono nelle prove in vista del compimento futuro, è fondata sulla promessa del Dio fedele.
L’accento non è posto tanto sulla “stabilità” della fede; quanto sul suo dinamismo, sulla sua apertura al “futuro definitivo” come «cose sperate» o «realtà invisibili».
Questo aspetto verrà continuamente marcato nel tratteggiare il profilo spirituale dei “padri”: Abramo, i patriarchi e Mosè sono quelli che guardano alle realtà promesse da Dio, quelle definitive o ultime e per questo possono perseverare nella loro scelta di fede, possono mettersi in cammino. L’autore della lettera agli Ebrei non offre una definizione astratta, ma una descrizione che illumini la vita quotidiana a partire dalla storia della salvezza. La fede è la condizione per entrare in relazione vitale con Dio. Dio non è un oggetto «dottrinale» della fede, ma una realtà personale alla quale l’uomo si apre con l’ascolto, la fiducia, la risposta. La presenza di Dio rientra in quelle «realtà» che non si vedono, ma di cui la fede dà la certezza; la sua azione efficace e salvifica, che risponde alle attese profonde dell’uomo, fa parte di quelle «cose che si sperano» e delle quali la fede dà la garanzia.
Il racconto giunge ad Abramo. Per la tradizione cristiana primitiva Abramo è il padre della fede. Il cammino di fede di Abramo inizia con la «partenza», l’uscita dal suo passato sicuro per andare verso un futuro che egli non conosce, ma che gli è solo promesso come «eredità», cioè un bene da trasmettere alla discendenza: all’origine di questa partenza c’è la chiamata di Dio alla quale Abramo aderisce prontamente. Questa prima fase è caratterizzata dal movimento che va dal posseduto a quello che non è posseduto, da “quello che si vede e conosce” all’invisibile e sconosciuto. La stessa tensione si esprime nella contrapposizione tra abitare nella tenda da straniero nel paese promesso e l’attesa della «città» dalle solide fondamenta progettata e costruita da Dio.
La seconda fase si svolge attorno al tema della «discendenza». Anche in questa sequenza è palese il contrasto tra la sterilità da una parte e la potenza di generare la tensione tra la morte e la vita, tra uno solo e la moltitudine dei discendenti. Ancora una volta il passaggio o il superamento avviene grazie alla «fede» che si appoggia alla potenza e fedeltà di Dio.
Il terzo momento, quello della prova, rappresenta il vertice dell’espressione e forza della fede.
Qui la tensione raggiunge l’acme perché sembra che Dio stesso voglia distruggere il pegno del futuro promesso chiedendo il sacrificio di Isacco. Il superamento della crisi avviene in forza della fede di Abramo che si fida della «potenza» di Dio che risuscita i morti. La conclusione di questa sequenza fa intuire uno scorcio “cristiano” della fede di Abramo: egli per la fede ritrova non solo il figlio della promessa, ma il figlio «risuscitato» da Dio. In questo l’autore cristiano intravede un’anticipazione profetica della vicenda di Gesù.
Don Danilo
Inserito in L'editoriale di don Danilo | Commenti disabilitati su La FEDE: fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede
Inserito il 8 Agosto 2010 alle ore 07:55 da Don Danilo Barlese
Vi annuncio che il Patriarca ha nominato nuovo cappellano di Carpenedo don Stefano Cannizzaro, trasferendolo da San Lorenzo M. di Mestre.
Accompagniamolo con la preghiera e con la simpatia con le quali continuiamo a fare il “tifo” per don Marco.
Se volete, potete cominciare a conoscere don Stefano leggendo la sua biografia dal sito del Duomo di Mestre.
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