Inserito il 30 Settembre 2018 alle ore 10:16 da Plinio Borghi
Scandalizzare i piccoli sembra faccia parte del nostro DNA. Naturalmente il riferimento non è tanto ai bambini (anche se ci sarebbe da aprire un capitolo a parte su di essi tali sono le vessazioni e gli abusi che si perpetrano nei loro confronti) quanto in generale ai più deboli, agli indifesi, ai diseredati, agli emarginati, ai diversamente abili, ecc. ecc. La sopraffazione, perfino in parecchi ambiti istituzionali, è il nostro piatto forte, con contorno di soprusi e inganni. Oggi poi siamo in un vero turbinio e non sai più da che parte difenderti: prolificano i distributori di servizi che, nell’ambito di una concorrenza senza freni, sono impegnati ad irretire più sprovveduti possibile pur di lucrare un contratto. Questo è scandaloso! Figurarsi se i manigoldi di professione, di qualsiasi estrazione siano, non si sentono autorizzati a fare altrettanto, intervenendo in modo più o meno pesante, stupri compresi, proprio sulle categorie a rischio. Per comprimere il fenomeno sarebbe un grosso contributo se questi reati “minori” venissero puniti in modo esemplare e reale. Macché. Anche se li smascherano o li prendono, dopo due minuti sono liberi di continuare ad agire come se niente fosse. Pure questo significa creare scandalo. Il resto ce lo dice san Giacomo apostolo nella seconda lettura di oggi: “Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori … grida … alle orecchie del Signore. … Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piacere, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza”. E pensare che nel vangelo Gesù ammonisce chi scandalizza: sarebbe meglio per lui mettersi una macina al collo e annegarsi! L’insensibilità ad ogni richiamo, però, sembra prassi e alle vittime non rimane che sperare almeno nella Giustizia divina: sia tale da riequilibrare le sorti. Il nostro Salvatore ce l’ha promesso e questo ci infonde un pizzico di forza per sopportare le angherie, anche se a causa di questi scandali, nei fatti, la nostra vita sociale è radicalmente cambiata. Il vangelo di oggi continua sferzante: se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio ti danno scandalo, tagliali, meglio entrare nel regno di Dio con uno solo di essi, piuttosto che nel fuoco eterno con entrambi. Di norma sono molto ottimista, ma ho la vaga impressione che se applicassimo alla lettera queste direttive ci ritroveremmo un Paradiso pieno di storpi.
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Inserito il 26 Settembre 2018 alle ore 19:34 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 26 Settembre 2018 alle ore 16:55 da Don Gianni Antoniazzi
Più che attraverso grandi discorsi la fede viene trasmessa ai piccoli con l’esempio colto in famiglia. I Vangeli, però, sottolineano il ruolo della comunità: per questo è offerto il supporto della catechesi.
Per molti aspetti i figli seguono i genitori, i quali offrono loro fin da piccoli tutto ciò che hanno fra le mani: insegnano a parlare e a scrivere, spiegano come comportarsi, propongono dei valori, agevolano l’istruzione con tante altre attività formative e, per chi vive qui, presentano loro l’ambiente di Carpenedo. I figli imparano dagli adulti a entrare nella vita ed a superarne le prove.
Per la fede vale qualcosa di analogo: loro incontreranno il Signore guidati da noi, soprattutto dal nostro esempio, notando se per primi partecipiamo alla S. Messa e pratichiamo la preghiera personale. Il lavoro dei catechisti si affianca a quello delle famiglie e ha un senso se in casa non si cerca solo la festa per la prima Comunione, ma l’incontro con Gesù Cristo morto e risorto. Poi subentra tutta la libertà personale e qualche volta i figli prendono strade diverse: alcuni vanno all’estero, altri cambiano mentalità. Ma le vere ricchezze restano e poi ritornano alla memoria.
Il Questore di Venezia, Danilo Gagliardi, in un’intervista pubblicata su L’Incontro di questa settimana, dice che “purtroppo negli ultimi 20 anni i genitori hanno delegato tutto alle istituzioni”. In tante parti è una realtà, in altre un rischio vero. Guai se alla fede deve pensare esclusivamente il prete e il catechista: sarebbe soltanto tempo perso.
don Gianni
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Inserito il 23 Settembre 2018 alle ore 10:22 da Plinio Borghi
Le lezioni di umiltà che ci vengono dal Vangelo sono innumerevoli e cadono sempre a fagiolo in una società che ha fatto dell’egocentrismo, del primeggiare, del sopraffare gli altri, dell’autoreferenzialità i propri binari comportamentali. E non parlo solo di questa società, ovviamente. Il brano di oggi è chiaramente emblematico: da una parte il Maestro che parla con tragicità della sua morte e del grande trionfo della resurrezione e dall’altra un manipolo di discepoli che, lungi dal capirne la portata, discutono fra loro su chi sia il primo e su chi siederà domani alla destra del Messia. Tipico. Un giorno scrissi come debba sentirsi un celebrante mentre, predicando dall’altare, si rende conto che i fedeli non lo seguono (per incapacità o per distrazione) e la loro mente va dove i loro ordinari pensieri la portano. Anche questo fa parte della scarsa umiltà, carenza che induce alla gelosia, allo spirito di contesa, al disordine e a ogni sorta di cattiva azione, come dice San Giacomo nella sua lettera, proposta dalla seconda lettura. Non parliamo poi dell’invidia verso chi, invece, naturalmente umile e misericordioso con tutti, ottiene molta più attenzione e risposta alle sue aspettative di chi arranca disperatamente, disposto anche a vendere moglie e figli ai beduini pur di emergere. Brutta bestia l’invidia, che ti porta alla provocazione e a farti beffe del giusto, pur di sfidarne l’irreprensibilità e di farlo scendere al tuo livello! Ne abbiamo un esempio nella prima lettura, dal libro della Sapienza, dove gli empi, sfidando l’asserito aiuto da parte del Signore, lo vogliono eliminare perché crea loro imbarazzo. Troppo comodo negare Dio o disattenderlo platealmente, sfoggiando in modo sfrontato una presunzione di superiorità e poi, a fronte dell’effettiva potenza che da Lui deriva al credente, nascondersi dietro alla propria ignavia sopprimendo l’uomo di fede, per non saper reggere il confronto! E qui subentra, per l’umile doc, la vera prova del nove: saper resistere alla tentazione di reagire o di defilarsi e dimostrare invece da dove viene la forza che esprimiamo; solo in questo modo avremo vinto una doppia battaglia: rimanere noi stessi e spiazzare gli altri, che si ritroveranno alla fine con le armi spuntate. Se no, il sangue di Cristo e di tutti i martiri sarebbe stato versato invano. Ci soccorre come guida e stimolo il salmo responsoriale di oggi, che consiglio di portarsi a casa da Messa: “Sei tu, Signore, il mio sostegno”.
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Inserito il 19 Settembre 2018 alle ore 19:53 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 23/9/2018. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 19 Settembre 2018 alle ore 18:21 da Don Gianni Antoniazzi
Sono decenni che dalla parrocchia di Carpenedo non escono preti diocesani per la nostra Chiesa. Il 14 ottobre il nostro Gianpiero Giromella sarà ordinato diacono dal Patriarca e dunque diventa “don”
Gianpiero Giromella diventa diacono domenica 14 ottobre, a San Marco, alle ore 17.00. Lo accompagniamo con la preghiera, la gioia e l’entusiasmo.
Da giovane è arrivato in via Gallina con la famiglia e, concluse le superiori, a settembre 2011 è entrato in Seminario a Venezia. Ha compiuto il cammino di studi e quello di formazione spirituale. Ora diventa diacono e con questo passo si orienta in modo definitivo al sacerdozio. A Dio piacendo, sarà prete a giugno 2019. Ne siamo orgogliosi e grati.
Questo fatto è un dono di Dio, ma anche il segno che qui c’è una fede vera. Spendiamo molte energie nella formazione e ci fa piacere raccogliere dei frutti. Non è detto poi che la vocazione fiorisca nei gruppi più significativi. Ad Eraclea, per esempio, vi erano molteplici attività parrocchiali, ma io sono diventato prete senza partecipare a nessuna di quelle. Il Signore si muove con libertà.
Va ricordato poi che domenica 21 ottobre, accogliamo Gianpiero in parrocchia per un momento di festa. Chiedo di non mancare.
don Gianni
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Inserito il 16 Settembre 2018 alle ore 10:01 da Plinio Borghi
Perché occorre tanto soffrire? La domanda sembra un po’ retorica, dati i motivi che stanno a monte dell’avventura terrena dell’uomo. Non lo è però più di tanto, se si guarda a quanta sofferenza ci attanaglia. Non bastassero malattie, guerre e conflittualità varie, che spingono milioni di persone ad abbandonare terre natie e affetti, si aggiunge anche il disagio sociale, frutto di squilibrio personale, di incapacità di affrontare le avversità, di naufragio anche delle minime aspettative, di insufficienti rapporti con gli altri. Fatto un rapido conto, sembra che di persone soddisfatte e felici ne rimangano ben poche. Una volta si abbinava questo status alla ricchezza (i soldi non fanno la felicità, si diceva ironicamente, ma aiutano) e al benessere (basta la salute..), ma oggi si constata che proprio in quelle condizioni e nei popoli più evoluti i suicidi prevalgono: probabilmente ai valori più veri e concreti si sovrappongono riferimenti fasulli ed effimeri, che i meno abbienti non si possono permettere. A leggere i passi che la liturgia ci propone oggi, poi, non è che ci sia tanto da stare allegri: soffrire sembra la normalità. Nella prima lettura Isaia ne subisce di tutti i colori e nel vangelo Gesù è perentorio: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua” e non prima di aver affermato che “il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso..”. Non male come prospettiva, se si considera che è venuto per prendere su di sé, lui giusto, tutte le nefandezze degli uomini. Qui allora è opportuna una riflessione: non è vero che Dio ci vuole sofferenti e continuamente alla deriva, altrimenti poteva anche risparmiarsi tutto il progetto di salvezza e il sacrificio di suo figlio. La sofferenza fisica è nella natura delle cose e l’altra dipende dalla nostra debolezza umana. Egli ha voluto riscattarle entrambe offrendo il suo appoggio, col quale tutto si supera o si sublima. Isaia non si è sottratto ai suoi persecutori, anzi, si è offerto loro e li ha sfidati: “Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?”. Anche la croce di Gesù si riferisce alla vita ordinaria del cristiano, ma non fine a sé stessa: “Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”. Far acquistare alla sofferenza una prospettiva diversa la attenua, la alleggerisce, la trasforma in gioia.
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Inserito il 15 Settembre 2018 alle ore 08:52 da Redazione Carpinetum
In occasione della ricorrenza del transito di San Padre Pio, mercoledì 19 settembre verrà trasmesso in diretta da Radio Maria, dal convento dei padri Cappuccini di Mestre, il Santo Rosario e la Messa con inizio alle ore 16.40.
Per l’occasione è stato contattato il nostro Coro che animerà con canti appropriati l’intera celebrazione. I padri Cappuccini e l’équipe di Radio Maria hanno ringraziato il nostro Coro per la disponibilità offerta.
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Inserito il 12 Settembre 2018 alle ore 20:00 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 12 Settembre 2018 alle ore 18:52 da Don Gianni Antoniazzi
Molti chiedono conto delle tensioni interne alla Chiesa. Personalmente ne sono amareggiato e umiliato. Sono legato però a questa Chiesa, fatta di carne e di fragilità, perché Gesù, per primo, così l’ha amata.
Il volto della Chiesa sembra rovinato. C’è lo “scandalo pedofilia”, sempre al centro delle discussioni e forse sfruttato oltre misura. Esistono anche difficoltà peggiori, per esempio le continue divisioni. Non bisticci fra scapoli e ammogliati, chierichetti e lupetti. Abbiamo accuse di cardinali e arcivescovi contro il Papa. Chi guarda pensa che si corra alla carriera con tanto di cordate.
Ma ancor più pesa la distanza marcata fra una certa parte della Chiesa e la vita della gente. Per esempio: ci hanno chiesto di aver cura ed affetto per i fratelli che arrivano qui sulle navi. Molte figure eminenti hanno sottolineato la loro dignità e debolezza. Per integrare un centinaio di loro si è messa in gioco la CEI, con le migliori competenze della Caritas. Sembra che adesso siano già tutti scappati. Ci sentiamo dunque usati, trattati da strumenti, in barba ai nostri valori. Meglio sarebbe stato dirci subito: “Aiutiamoli a scappare… dall’Italia”. Altrimenti la gente si convince che CEI e Caritas ignorino la realtà. Questa distanza fra uomini di Chiesa e gente comune rischia di alimentare la popolarità di chi sfrutta la solitudine e la paura sociale.
Da parte mia resto legato alla comunità cristiana: per lei Gesù ha dato tutto e in lei ricevo la salvezza della croce. Di questo sono certo. La Chiesa, poi, siamo tutti noi, che dobbiamo rimboccarci le maniche per cambiare stile.
don Gianni
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