Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Catene di Sant’Antonio

Inserito il 31 Ottobre 2017 alle ore 18:49 da Don Gianni Antoniazzi

Una volta erano lettere. Oggi sono anche messaggi sul cellulare. Le catene hanno assunto diverse forme e anche in chiesa troviamo santini con la raccomandazione di farne copie per un buon auspicio.

Si chiama catena “di Sant’Antonio” perché negli anni Cinquanta si mandavano lettere domandando 3 Ave Maria “al Santo” per ricevere la grazia. Già nella Grande guerra si usavano catene di posta per chiedere la pace e il gesto fu ritenuto una propaganda nemica. Negli anni Ottanta le catene riguardavano la fortuna o le disgrazie. Questa usanza sembrava tramontata, ma è rifiorita con internet. In Facebook si trovano frasi del tipo: “Se sei un vero amico, se sei contrario alla violenza sulle donne, se sei favorevole all’integrazione dei bambini disabili… metti «mi piace» e diffondi”. Purtroppo anche in chiesa, ogni tanto, si trovano santini a Santa Rita o altri santi, che domandano di fare 25 copie e portarne una al giorno sullo stesso banco. Nel telefono di un prete arrivano notizie urgenti da diffondere a tutti, aiuti da prestare a bambini in difficoltà, lettere portafortuna con messaggi moraleggianti da parte di visionari improvvisati. Ebbene, queste cose non hanno fondamento alcuno, né relazione con la fede o con i santi. Sono superstizioni che schiavizzano. Fortuna o sfortuna non esistono, e non c’è malocchio che ci possa esimere dalle responsabilità. Non bisogna credere a minacce di disgrazie né far perdere tempo con queste stupidaggini a chi già ne ha poco. Da sempre il Vangelo è altra cosa.

don Gianni

“Ama e fa’ quello che vuoi”…

Inserito il 29 Ottobre 2017 alle ore 11:05 da Plinio Borghi

“Ama e fa’ quello che vuoi”. Sono parole di S. Agostino e sintetizzano molto bene il messaggio notissimo che ci arriva dal vangelo di oggi: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente … amerai il tuo prossimo come te stesso”; il quale, a sua volta, comprime drasticamente tutta la legge: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i Profeti”. È come se Gesù bollasse d’inutilità la pletora di normative che l’uomo si dà per regolamentare sia i rapporti con Dio sia quelli della convivenza civile. C’erano tante di quelle prescrizioni che pesavano sugli ebrei, che il Maestro non manca di mettere in mora sacerdoti, scribi e farisei per questo, accusandoli di gravare il popolo di orpelli che loro manco si sognavano di portare. Oggi le cose non stanno tanto diversamente. Forse abbiamo semplificato il modo di rapportarci con Dio, non più di tanto, ma per quanto riguarda il prossimo abbiamo una caterva di leggi, specialmente in Italia, tante che spesso entrano in contraddizione fra loro, servono solo ad alimentare un carrozzone giudiziario e a far guadagnare soldi agli avvocati. E allora navigo con la fantasia e immagino quanto sarebbe bello se avessimo realmente solo quei due comandamenti per regolare i nostri rapporti col Creatore e col prossimo. Intanto non sarebbe possibile amare pienamente Dio se non si ama e si rispetta con altrettanta intensità il creato. Non esisterebbero più scempi in natura, cesserebbe qualsiasi problema ecologico, di inquinamento e così via. Pensate se in tribunale si pesasse qualsiasi infrazione con la bilancia dell’amore, senza tirarla tanto per le lunghe con dibattiti che non fanno che tendere a sminuire la gravità dei comportamenti! Quanti meno reati ci sarebbero! Le norme diventerebbero semplici prescrizioni per una corretta convivenza e non avrebbero bisogno di contemplare sanzioni. Per l’accoglienza, poi, avremmo le braccia aperte come quelle di Gesù in croce! La prima lettura, dal libro dell’Esodo, ci richiama in proposito: “Così dice il Signore: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto»..”. Andrebbe riletta tutta, perché veramente riflette il lato pratico di ciò di cui stiamo parlando. Bah, detto nel dialetto abituale, xe mejo che me daga ‘na descantada! Chissà se arriveremo mai almeno a imboccare questa strada! Intanto il Vangelo continua imperterrito a stimolarci da duemila anni.

Celebrazioni dei Santi e dei defunti

Inserito il 28 Ottobre 2017 alle ore 08:11 da Redazione Carpinetum

Mercoledì 1° novembre, solennità dei Santi, le S. Messe avranno l’orario festivo. Il giorno seguente, commemorazione dei Defunti, oltre alle S. Messe in cimitero, in parrocchia ci sarà la Messa delle 7.00, delle 10.00 e la Celebrazione solenne delle 18.30, per coloro che nell’ultimo anno hanno lasciato la vita terrena.

Ritorna l’ora solare

Inserito il 27 Ottobre 2017 alle ore 08:25 da Redazione Carpinetum

Da domenica, 29 ottobre, cambia l’ora: si passa da quella legale a quella solare tirando indietro di un’ora le lancette. Raccomandiamo di sincronizzare gli orologi.

Lettera aperta del 29 ottobre 2017

Inserito il 25 Ottobre 2017 alle ore 21:44 da Redazione Carpinetum

Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 29/10/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.

Ognissanti e defunti

Inserito il 25 Ottobre 2017 alle ore 14:16 da Don Gianni Antoniazzi

Nei prossimi giorni, l’uno e il due novembre, la Chiesa celebra la solennità di tutti i Santi e ricorda la memoria dei fedeli defunti. Siamo invitati a vivere intensamente i due appuntamenti.

La vita non si esaurisce nel tempo, ma ci prepara al giorno senza tramonto di Cristo Signore. Nessuno è escluso da questo dono pasquale. Alcuni ci spiegano che, nel momento della nascita, il feto è spaventato. Allo stesso modo l’uomo è atterito quando giunge la propria morte, eppure con essa entra nelle nozze eterne. Forse questa fede non risponde alle verifiche da laboratorio. Tuttavia, anche se non è dimostabile, è fondata sull’evento di Cristo e resta più che ragionevole. Ha senso dunque stare presso le tombe con animo lieto, vista la sorte dei nostri cari. E d’altra parte, se da risorti fossimo visibili nel tempo e nello spazio, saremmo ancora sottoposti alla fragilità. L’uomo ha il desiderio di infinito. Dio stesso ha posto questo sentimento, che non ci illude, ma ci conduce alla pienezza.

don Gianni

Tirare Dio per la giacchetta…

Inserito il 22 Ottobre 2017 alle ore 08:06 da Plinio Borghi

Tirare Dio per la giacchetta è il primo gradino del soggettivismo, cui si arriva proprio attraverso il tentativo di creare Dio a nostra immagine e somiglianza, dimenticando o fingendo di dimenticare che tutto era caso mai iniziato all’inverso. Senza farlo apposta, a mano a mano che l’uomo ha invertito la logica di partenza mettendo al centro sé stesso e le proprie esigenze, incurante di allinearsi al progetto che il Padre aveva ed ha su di lui, ha di fatto aperto la strada ai detrattori di un Creatore, agli gnostici, agli atei, all’insinuazione che qualsiasi divinità è pura invenzione dell’uomo, il quale ha un bisogno fisico e psicologico di qualcosa di trascendentale. Bel servizio, eccellente, non c’è che dire! La scena che il Vangelo ci descrive oggi, arcinota a tutti tanto da far assurgere a livello di motto comune la famosa frase “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, è emblematica di come si arrivi a tentare d’ingannare il Signore per portar acqua al proprio mulino. Si sa che il Messia che doveva venire era visto come un liberatore del popolo eletto, allora soggiogato dai Romani, e che sacerdoti e farisei non avevano né il coraggio né l’interesse di fare i capi popolo contro l’oppressore. Di contro gli zeloti rimasero delusi da un Gesù che apparentemente predicava un atteggiamento remissivo. Insomma questo Maestro aveva deluso tutti e quindi cercare di farlo cadere in contraddizione perché fosse tolto di mezzo era diventato lo sport preferito. Gesù, come al solito, non si lascia prendere per il naso: “Ipocriti, perché mi tentate?”. In sostanza, avete accettato di servirvi di quella moneta con l’effige di Cesare e allora gli pagate anche le tasse, ma senza sottrarre il dovuto a Dio. Ci sono due implicanze in questa risposta: la prima è che il cristiano non può sottrarsi agli obblighi che l’ordinamento sociale in cui vive gli impongono (vox populi vox Dei); la seconda è che nulla può giustificare un comportamento elusivo dell’attenzione dell’uomo al progetto che Dio ha su di lui. Ovvio che non è facile pensare con la “testa” di Dio (a volte nemmeno con la nostra!), altrimenti non saremmo qui a ragionarci, e per farlo il primo atteggiamento è quello di farsi guidare da Lui, come recitiamo nella Colletta. Dio può servirsi di tutto e di tutti. Ciro il Grande, che non lo conosceva affatto, è pur stato un suo strumento per la liberazione del suo popolo, come ci illustra la prima lettura. Smettiamola allora di fare i furbi con Lui.

Lettera aperta del 22 ottobre 2017

Inserito il 19 Ottobre 2017 alle ore 23:10 da Redazione Carpinetum

Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 22/10/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.

Un corso per sposarsi

Inserito il 18 Ottobre 2017 alle ore 19:39 da Don Gianni Antoniazzi

Nella nostra comunità tante realtà sono ripartite e adesso è il momento di annunciare una delle iniziative più feconde: il corso fidanzati. Per coltivare il senso delle nozze cristiane.

Qualcuno sostiene che fino alla fine degli anni Ottanta molte coppie si sposavano in chiesa, indotte a questo passo dai genitori o dalla tradizione. Di fatto, e fino alla metà degli anni Novanta, il numero dei matrimoni era elevato e ci si doveva prenotare in largo anticipo per sperare di trovare posto in questa chiesa.

Poi abbiamo assistito al declino: tanto rapido quanto difficile da spiegare. Pare che il matrimonio, così come era vissuto, fosse oramai una specie di palcoscenico, privo di una vera e propria convinzione profonda. Crollato il palco non è rimasto niente, se non la voglia di seguire i sentimenti personali. Per molti anni anche in questa parrocchia abbiamo avuto poche celebrazioni, riservate per lo più a qualche coppia maturata in seno alla comunità cristiana.

Finalmente in quest’ultimo periodo c’è stata una certa ripresa. Per carità, l’incremento è stato lieve e non basta una rondine per far primavera. C’è però una nuova consapevolezza: chi chiede il matrimonio non intende dare un tributo alla tradizione, ma lo immagina come una ricchezza per il rapporto di coppia. Si avverte che la decisione è profonda e matura. In molti casi fiorisce dalla fede. Quasi mai è dettata dall’ossequio verso la madre della sposa, che pure mantiene un ruolo importante. Molti cercano una proposta definitiva, fedele, aperta alla vita, secondo la visione del Vangelo.

Per coloro che dunque volessero approfondire la proposta cristiana dell’amore o avessero l’idea di sposarsi entro il prossimo anno, c’è un corso per fidanzati che inizia a gennaio, sarà di sabato sera, alle 20.45, insieme alle coppie delle parrocchie vicine. Le indicazioni sono all’interno di Lettera aperta di questa settimana.

don Gianni

Il senso di appagamento…

Inserito il 15 Ottobre 2017 alle ore 11:03 da Plinio Borghi

Il senso di appagamento che si prova alla conquista di una postazione prestigiosa inseguita da tempo o della poltrona di responsabilità per la quale ti sei spezzato le reni lavorando ovvero del posto a tavola in pole position a un simposio o ad un meeting, osservato e ammirato da tutti, è a dir poco indescrivibile. Del primo aspetto ho letto proprio domenica scorsa, in un bollettino parrocchiale del vicariato, la testimonianza della mamma della campionessa italiana di ginnastica artistica: erano le parole di chi ha seguito l’impresa (che registrava oltre tremila partecipanti “tutte assetate di vittoria”) con un occhio di riguardo, ma facevano trapelare prima l’ansia, poi la trepidazione, il brivido, l’emozione e infine la gioia. Figurarsi i sentimenti della protagonista che si è sciolta in lacrime nel ricevere la medaglia! Sul secondo aspetto non mi soffermo, perché chiunque stia leggendo avrà efficaci esempi da addurre. Del terzo, invece, dopo aver provato esperienze in varie sistemazioni, posso testimoniare di quanto siano appaganti quelle citate, sebbene io mi senta più seguace di de Coubertin: conta partecipare. Ebbene, con questi discorsi siamo in pieno clima delle letture che la liturgia di oggi ci propone. C’è un banchetto preparato sul monte dal Signore, dice Isaia, dove tutti i popoli sono attesi, nessuno escluso, e dove finalmente si riconosceranno e non vi saranno più lacrime né morte. Un po’ drastico invece il racconto di Gesù, che cita quante persone di prestigio, pur invitate, disattendano l’adesione adducendo mille veri o finti impegni e come uno dei poveracci e diseredati chiamati a coprire i posti a tavola, scoperto senza “l’abito nuziale” e cioè “senza carte in regola” per meritare il posto, venga legato e gettato nelle tenebre, dove sarà “pianto e stridore di denti”. Ma come? Se veniva già dalla strada, perché dovrebbe star peggio? E invece è proprio quest’ultimo che dà un senso alla premessa: stava assaporando l’appagamento di poter essere al banchetto speciale e la perdita è cocente. Il salmo 22, richiamato nel Responsoriale, fa sintesi del clima che si gode nella casa del Signore: non si manca di nulla, si riposa in placide acque, non si teme più alcun male perché si è con Lui, è preparata una mensa davanti ai nemici e il calice trabocca, felicità e grazia sono compagne. Vogliamo giocarci tutto ciò per rincorrere le nostre fatuità? Padronissimi. Poi però non ci si lagni quando, fra pianti e stridore di denti, ci si renderà conto di quel che s’è perso!

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