Formalità necessarie?
Inserito il 30 Marzo 2014 alle ore 12:55 da Plinio BorghiFormalità necessarie? È una domanda che sorge se m’imbatto su un brano di vangelo come quello di oggi. Gesù guarisce un cieco e per farlo sputa sulla polvere, forma del fango, glielo spalma sugli occhi, lo manda a lavarsi alla piscina di Siloe e questi riacquista la vista. Segue il lungo dialogo con i sacerdoti del tempio, poi torna, il Maestro gli si rivela e provoca nel miracolato la professione di fede. Per tanti altri miracoli, forse più “impegnativi”, sono bastate due parole. Mi verrebbe da dire che se avessi descritto i fatti non avrei impiegato più di quattro o cinque righe, quasi che la colpa fosse dell’evangelista Giovanni, che da domenica scorsa sta sostituendo Matteo con testi uno più impegnativo dell’altro: prima l’episodio della Samaritana, ora questo, la prossima la resurrezione di Lazzaro, altro percorso apparentemente faticoso. Sembra quasi di essere ritornati in epoche più remote, quando c’era bisogno di tramandare i fatti oralmente, percui si insisteva in procedimenti carichi di “simbolismo”. La creazione ne è un esempio, ma anche nella stessa prima lettura di oggi, che racconta l’episodio dell’unzione di Davide da parte di Samuele, troviamo traccia di una “ritualità” d’altri tempi, che oggi definiremmo tout court desueta. Allora, se è vero che le scritture, e il vangelo in particolare, rivestono un’attualità intramontabile, la seconda domanda che sorge, dopo quella iniziale, è: perché? Le risposte possono essere molteplici, ma ne colgo una in particolare: l’importanza del rito come veicolo della liturgia, come momento per sottolinearne le varie pregnanze. Ho già detto in passato di questo e di come non sia d’accordo con chi tende ad una eccessiva sbrigatività. Convengo che la fede non debba ridursi a gestualità di facciata, ma si basi sulle opere prima di tutto. Però siamo ciechi e l’apertura degli occhi a Cristo, l’incontro con lui, ha bisogno anche di segni e passaggi, per non ridurre la fede a mero efficientismo. Sotto quest’ottica, anche l’insistenza di Giovanni sui particolari di taluni percorsi acquista un senso stimolante. Se crediamo di vedere lo stesso, siamo come i farisei ai quali in conclusione Gesù risponde: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite ”Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». Meditiamo.