Inserito il 30 Agosto 2015 alle ore 12:07 da Plinio Borghi
Una bella lezione di vita ci arriva oggi dal vangelo di Marco, al quale siamo tornati dopo cinque domeniche trascorse in compagnia di Giovanni sul tema che si riassume nell’Eucaristia. Una lezione di vita, ma anche una proiezione incredibile che va ad innestarsi direttamente nella recente enciclica di Papa Francesco. Lo spunto (polemico) arriva come il solito da scribi e farisei, venuti direttamente da Gerusalemme per mettere in difficoltà il Maestro su un tema talmente banale, rispetto a quelli sollevati in altri frangenti, da far emergere ancor più tutta la sua pretestuosità: il mancato rispetto delle tradizioni da parte dei discepoli di lavarsi accuratamente le mani prima di prendere il cibo. Evidentemente certe formalità danno ai nervi a Gesù, che li apostrofa come ipocriti e, richiamandosi a Isaia, rileva uno dei più brutti difetti dell’uomo “sociale”: voler apparire quello che non è, ricorrere alla formalità o alla ritualità per camuffare il suo animo arido. “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”, cita testualmente e qui ci sta tutta la doppiezza di sempre, specie quando ci si trincea dietro a riti e regole inventati dagli uomini, ma che nulla hanno a che vedere con la sostanza che richiederebbe l’amore per Lui. E qui, forse in modo plateale ma efficace, parte l’affondo: non è quello che entra nell’uomo ad inquinare (queo che no sofega, ingrassa..), ma quello che ne esce, cioè la sua cattiveria, le sue iniquità e le sue impudicizie. Qui ci sta il suo comportamento dannoso nei confronti non solo di sé stesso, ma di tutta la natura in generale. Anche qui spesso ci facciamo scudo di norme e regolamenti che ci possono anche legittimare certo scempio, che però non sono giustificabili quando conosciamo benissimo il danno che ne deriva. Figurarsi poi quando non ci peritiamo nemmeno di camuffare il malfatto e diamo la stura ad abusi micidiali: ogni riferimento alla violenza sul territorio con disboscamenti e costruzioni in zone proibitive (e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti anche in questi giorni), ogni riferimento alle terre dei fuochi ed a criminali smaltimenti di rifiuti ordinari e speciali, ecc. non sono assolutamente casuali. Bene ha fatto quindi il Pontefice ad affrontare l’argomento e a mettere in mora chiunque, incurante, continui a segare il ramo dell’albero sul quale sta seduto. Soprattutto quando si dichiara cristiano.
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Inserito il 27 Agosto 2015 alle ore 10:55 da Don Gianni Antoniazzi
Siamo ad agosto e forse molti non sono ancora rientrati dalle vacanze. Tuttavia è giusto dare subito l’orario della catechesi per elementari, medie e giovani in questa parrocchia.
Cercheremo di pubblicare ancora questo calendario (su lettera aperta, NdR) perché tutti ne siano a conoscenza. Si sappia però fin d’ora che è impossibile trovare un orario che vada bene a tutti. La parrocchia si sforza di fare il possibile e lo fa con largo anticipo organizzandosi coi catechisti e con le stanze. Di più è proprio difficile riuscire a fare. Le famiglie che hanno piacere di offrire una catechesi per i propri figli cerchino di tener conto di questi orari; diversamente si dovrà cercare qualche cosa di più confacente nelle vicine parrocchie del vicariato.
- 2a elementare: giovedì ore 17.00
- 3a elementare: giovedì ore 17.00
- 4a elementare: lunedì ore 17.00
- 5a elementare: lunedì ore 17.00
- 1a media: lunedì ore 17.00
- 2a media: giovedì ore 17.30
- 3a media: venerdì ore 17.30
- 1a-2a superiore: venerdì ore 18.30
- 3a superiore: martedì ore 19.00
- 4a-5a superiore: lunedì ore 19.00
- Universitari: martedì ore 20.45
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Inserito il 26 Agosto 2015 alle ore 16:57 da Don Gianni Antoniazzi
Ha ragione il Vangelo: tante volte chi vuol togliere la pagliuzza al fratello ha una trave nel proprio occhio. Un proverbio sardo usa parole colorite: “Su cacàtu si nde ridet de su pissiàtu”.
Elton John se l’è presa col Sindaco di Venezia che ha ritirato i racconti gender dalle scuole: «La meravigliosa Venezia sta indubbiamente affondando, ma non tanto rapidamente quanto il bifolco e bigotto Brugnaro».
Non si possono trattare argomenti così complessi per slogan. La vita chiede di essere compresa con preparazione, tempo e pazienza. Qui spendo una parola sul modo di questo intervento.
Primo: mi sarei rivolto al Sindaco con più riguardo. È stato eletto liberamente. Dare del “bifolco” a lui è offendere i veneziani.
Secondo: come puoi chiedere rispetto per le tue diversità se già mentre parli offendi chi la pensa in modo difforme da te? Otteniamo stima se noi per primi abbiamo attenzione per gli altri.
Terzo: mi pare manchi il buon senso. Nella Corona e nel Parlamento d’Inghilterra non sono mancati gli scandali. Un inglese potrebbe essere più umile nel giudizio del Sindaco veneziano.
Ancora. Elton John ha dato visibilità mondiale e gratuita a Brugnaro in tutti i canali di comunicazione. Il suo gesto non pare proprio un atto di furbizia.
Detto questo vengo ai testi gender in questione. Se si fosse usata più prudenza al momento di proporli e altrettanta quando è stato deciso di toglierli forse oggi avremmo la possibilità di discutere più serenamente. Venezia in passato è stata città capace di dialogo (soprattutto a Oriente). Abbiamo perso questa dote? Questa fragilità è una pagliuzza fastidiosa che disturba la nostra vista. Vediamo di ricuperare i nostri talenti di saggezza ed equilibrio. È per il futuro di tutti.
don Gianni
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Inserito il 23 Agosto 2015 alle ore 12:03 da Plinio Borghi
Delusione e sconforto attraversano spesso taluni momenti della nostra vita, specie quando si ripongono eccessive aspettative su persone, progetti e obiettivi, che vengono poi in tutto o in parte disattesi. Peggio ancora se crollano ideali o ci riscopriamo incapaci di affrontare certe sfide che credevamo alla nostra portata. Mi ricordo il periodo del crollo dell’Unione sovietica e di conseguenza di tutta l’impalcatura che reggeva la grande idea di un comunismo reale. Avevo amici sinceramente convinti, che avevano fatto di questi ideali la loro vera religione e che si sono ritrovati con un pugno di mosche. E come li capivo! Succedesse a me una cosa analoga con la mia fede, ne uscirei con le ossa rotte e annientato. Ė un po’ questo il clima che si respira nella liturgia di oggi, dall’episodio di Giosuè, il quale, visto lo stato confusionale degli ebrei per il prolungarsi della conquista della terra promessa, li invita a scegliere se servire ancora il Signore o altri, al Vangelo, dove Gesù avverte un clima di disarmo a fronte delle dure parole sin qui proferite circa le condizioni per essere suoi seguaci, clima vieppiù accentuato dal fatto che molti si erano configurati un Messia ben diverso da quello che si era poi rivelato. Parecchi hanno gettato la spugna, fra gli apostoli stessi si sta delineando il tradimento di Giuda e Gesù, lungi dall’ammorbidire il tono, affronta anche i più intimi a muso duro: “Volete andarvene anche voi?”. Massima libertà di scelta, dunque, ma tenendo conto che “la chiamata” è un dono ricevuto, che la fede non è una cosa che ci siamo costruiti e dimensionati in autonomia, per cui le condizioni non le dettiamo noi, ma il Padre stesso. Lo diceva un paio di domeniche fa Gesù: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato..”. Mirabile in questo contesto è allora la sintesi ruspante di Pietro, che non è che avesse capito più degli altri, ma non intendeva arrendersi alla sua incomprensione: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna..”. Ė un punto fermo non da poco il paletto che l’apostolo ha piantato, per lui, per la futura Chiesa, per tutti noi. Ė il perno su cui ruota ogni adesione e ogni conversione a Cristo, è il primato del Vangelo e della nostra fede su tutte, anche se a volte la coerenza non è il nostro forte: solo questo Messia, solo questo Maestro ha parole di vita eterna. Rinunciarvi vuol dire rimanere ipso facto delusi e disorientati. Di conseguenza lo sconforto la farebbe da padrone.
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Inserito il 19 Agosto 2015 alle ore 20:54 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 23/8/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 19 Agosto 2015 alle ore 20:22 da Don Gianni Antoniazzi
Non è uno scherzo dell’estate. Uno studio di Microsoft, colosso dell’informatica, ha dato un esito stupefacente. Dobbiamo tenerne conto soprattutto coi ragazzi.
Un pesce rosso si concentra più a lungo di noi. Non è una scemenza strampalata. A dirlo è la potentissima Microsoft che studia come attirare l’attenzione.
Ha lavorato su un campione di duemila canadesi. In media l’essere umano tiene l’interesse su un concetto per circa 8 secondi. Il pesce rosso per 9. Il fatto più preoccupante è la tendenza. Nel 2000 il tempo di concentrazione medio era di circa 12 secondi e nei decenni precedenti la capacità era di gran lunga superiore. I ragazzi e i bambini di oggi sono iper-dinamici, non perché siano problematici, ma perché figli del nostro tempo. Bisogna precisare: la cosa non è un decadimento negativo della natura umana, ma un’evoluzione, un adattamento. Il nostro ambiente iper-stimolante propone continuamente immagini, suoni, messaggi, notizie e incontri. Tutto è fatto per attirare attenzione e il cervello ha imparato a fare più cose nello stesso momento, mentre ha smesso di seguirne una in modo stabile.
Certo, esistono diversi tipi di attenzione. Altro è l’impegno per la meditazione yoga, altro è guardare un cartone della Disney dove la proposta è più dinamica e più vicina alle nostre esigenze.
Per la nostra salute mentale Microsoft raccomanda di non controllare di continuo i vari dispositivi che abbiamo. Ce la faremo? Da parte sua la parrocchia dovrà tenerne conto con le nuove generazioni. Occorre uno stile più snello, dinamico, dove il linguaggio sia fatto di esempi, storie, episodi di vita concreta, con un ritmo vivace. Anche la predica dovrà essere più breve, gli incontri di catechesi più vari. Alla Messa del fanciullo sarà il caso di rinunciare ad una lettura: la Cei lo prevede da anni.
don Gianni
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Inserito il 16 Agosto 2015 alle ore 12:23 da Plinio Borghi
Presso i Maya e gli Aztechi i sacrifici umani non erano solo una ritualità, che noi non abbiamo esitato a definire macabra e truculenta, ma necessari alla sopravvivenza e a rinvigorire i popoli stessi. C’era infatti la credenza che, cibandosi del proprio simile, se ne acquisiva lo spirito e la forza. Addirittura nel gioco della pelota erano i vincenti ad essere sacrificati, perché il sacrificio costituiva per loro una sorta di premio. Non è facile condensare in poche righe la complessa struttura di queste società millenarie, ma ne ho accennato per mettere in evidenza come da sempre siamo consapevoli che c’è una simbiosi tra noi e quello che mangiamo, che si traduce palesemente nelle varie differenze della nostra conformazione fisica, da un continente all’altro come da un passato remoto al giorno d’oggi, e nella durata stessa della vita media. Tornando ai popoli cui si accennava, immaginarsi quanto fu facile nella fase di conversione far acquisire il concetto di un Figlio di Dio che si è sacrificato fino alla morte per la nostra salvezza, che il pane che lui portava era la sua carne per la vita del mondo, che “se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita”, che “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”, ecc. ecc.! Era più difficile non cadere noi in contraddizione cercando di dissuaderli dalle pratiche cui erano avvezzi. Certo che se noi abbiamo trovato una strada di fede per aderire a queste verità, per gli ebrei di allora non doveva essere così facile e il vangelo lo fa infatti notare. Non cadiamo però nella tentazione del pressappochismo relegando tutto il discorso che Gesù ci sta facendo in queste domeniche ad un livello meramente allegorico. Quando parla di carne e sangue, così è letteralmente, come cantiamo nell’inno “Pane della vita”: vero corpo e vera bevanda. Cibarsene comporta effettivamente un processo di simbiosi che ci deve trasformare e conformare e non tanto per questo corpo mortale o questa vita transitoria, bensì per quella eterna e definitiva; vuol dire credere che solo così e da subito Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, si insedia dentro di noi. Per il momento, se siamo in difficoltà, guardiamo a Maria già assunta al banchetto celeste, proprio per mostrarci il certificato di garanzia della prospettiva che ci attende.
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Inserito il 12 Agosto 2015 alle ore 22:35 da Redazione Carpinetum
SABATO 15 AGOSTO, LE S. MESSE AVRANNO IL CONSUETO ORARIO FESTIVO: 8.30; 10.00; 11.30 E 18.30. CI SARÀ ANCHE LA MESSA VESPERTINA DEL VENERDÌ SERA ALLE 18.30
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Inserito il 12 Agosto 2015 alle ore 22:23 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 16/8/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 12 Agosto 2015 alle ore 14:07 da Don Gianni Antoniazzi
Il “sì”, a tutto, è la caratteristica dei giovani. Il “no” è segno di maturità. Detto con eleganza è frutto di saggezza. Indicato con l’esempio è proprio di una guida
In Australia è nata una ditta che, a pagamento, si incarica di dire al partner che il rapporto è finito. L’idea è di un’ex infermiera, capace di trovare le parole opportune nelle situazioni più difficili. La ditta scrive un biglietto in nome di chi vuole troncare il legame. Dire un “no” alla persona amata è infatti uno stress faticoso. Meglio lasciarlo fare ad un professionista.
È un esempio, ma bisogna ammettere che è un problema dir “no” a qualcuno: che sia il figlio o un ragazzo di parrocchia, un educatore o un adulto al quale si doveva un piacere.
Da una parte non vogliamo deludere le persone care. Altre volte temiamo di essere maleducati. Per qualcuno c’è la paura dei conflitti seguenti. In altri casi sembra di perdere un’opportunità. Di fatto, però, dire sempre di “sì”, mostra una personalità scadente e ingenua.
In certe occasioni il “no” è fondamentale: dà orizzonti chiari, evita confusioni e drammi. Solo certi “no”, fermi e delicati, maturano in chi li riceve la convinzione di un interesse autentico. Alcuni metodi educativi, diffusi anche fra i cristiani, cercano di evitare il “no”. I risultati sono pessimi.
Impariamo a dire “no” e la bocca non stra-carichi la schiena.
don Gianni
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