Inserito il 30 Gennaio 2022 alle ore 10:06 da Plinio Borghi
La verità mi fa male, lo so: così cantava qualche decina d’anni fa la nostra Caterina Caselli, senza inventare peraltro nulla di nuovo, vista la reazione di sdegno che Gesù ha provocato in Sinagoga quando ha rinfacciato il trattamento che il suo popolo aveva riservato ai vari profeti. In quel momento, pur presi dall’ammirazione per le sue discettazioni, stavano rivolgendo anche a lui i medesimi riguardi, cercando di sminuire la portata delle sue parole e di esautorarlo perché sapevano bene da che famiglia veniva. E qui il Messia ha coniato il famoso ed imperituro proverbio “nemo propheta in patria”, così pungente da causargli l’immediata aggressione degli astanti, che lo volevano buttare dal ciglio del monte dove lo avevano nel frattempo sospinto. Qui, se la cosa non fosse seria, saremmo alla più classica delle comiche: il Maestro si sfila dall’ammucchiata e se ne va. Non è dato di sapere se qualcun altro ci ha rimesso le penne al suo posto o con quale palmo di naso gli attori siano rimasti, ma di certo non se la sono messa via e riusciranno alla fine ad ottenere “per vie legali” quello che oggi avrebbero voluto con giustizia sommaria. Sarà ancora la verità l’input che indurrà gli accusatori a stracciarsi le vesti e Ponzio Pilato a lavarsene le mani, ma la conclusione non sarà diversa: Gesù si “sfilerà” anche dalla morte e stavolta la resurrezione non lascerà più spazio a rivalse, non solo, ma sancirà anche da che parte sta la verità e come essa risieda solamente nel nuovo messaggio portato dal Salvatore. La liturgia di oggi, quindi, ci offre un’anteprima del grande epilogo, ma ci interpella soprattutto sul piano della nostra refrattarietà nell’accettare la provocazione della verità, la quale il più delle volte pone in evidenza le nostre contraddizioni, ci mette a nudo, ci fa sentire a disagio, fino al punto di reagire con delle terribili botte alla già scarsa solidità della nostra fede. A noi non è concesso di trattare Gesù come gli ebrei trattarono i loro profeti o come saremmo portati a rispondere ai nostri simili quando ci scoprono gli altarini. Per adeguarci dobbiamo scrollarci di dosso le incrostazioni fatte di pregiudizi e presunzione, dobbiamo aprirci alla voglia di capire. Il canto al Vangelo di oggi è un grazie al Padre perché ai piccoli ha rivelato i misteri del regno dei cieli. Per diventare piccoli, tanto per usare un linguaggio più moderno, occorre “resettarci” per lasciare che il Signore possa caricare in noi la sua storia.
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Inserito il 26 Gennaio 2022 alle ore 17:33 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 26 Gennaio 2022 alle ore 17:29 da Don Gianni Antoniazzi
L’8 dicembre scorso è stata montata la stella di acciaio e cristallo sulla Torre Maria della Sagrada Familia. Altezza da vertigini e costi elevati per un’opera mozzafiato. I turisti la trovano splendida. Può sembrare un dispendio di energie poco adatto a questo periodo. In realtà un senso c’è.
Partiamo da lontano ma andiamo veloci. Al tempo dei nostri genitori c’era il valore della fedeltà, il senso del dovere, la disponibilità al lavoro e al sacrificio, il riconoscimento delle regole.
Poi, con la nostra generazione (cinquantenni) c’è stato il criterio del “secondo me”. Non più una regola generale ma una riflessione personale orientava la morale, le scelte, i valori.
Oggi si è fatto strada un principio diverso: l’ago dei valori si è spostato sul “mi piace”. Non è soltanto il pollice in su, il “like” che domina Facebook o YouTube. È l’abitudine ad orientare la morale e le decisioni in base all’emozione più che alla riflessione. Celebre, per esempio, la frase pronunciata, forse da Raffaella Mennoia, spalla di Maria De Filippi (quale cultura…): “Se uccidi uno scarafaggio sei un eroe, se uccidi una farfalla sei cattivo”. La morale ha standard estetici, corrispondenti al piacere personale. Ed è vero: la gente pensa così, in molti ambiti della propria vita.
Rispetto al passato si preferisce il riferimento al piacere e al divertimento, e si rivolge l’attenzione a valori diversi, che hanno il vento in poppa: apertura, relazione, uguaglianza, difesa delle minoranze, flessibilità…
Non è un male: il pensiero greco, da Platone in poi, aveva già assimilato la bellezza alla bontà. Da parte mia, al di là delle mode, sento sempre più il bisogno di una stella fissa. La trovo nel Vangelo. È una stella che non conosce tramonto. Passa il mondo ma “le mie parole non passeranno”, dice Gesù.
Comincio a capire l’importanza simbolica, per l’occidente, di fissare sopra una torre alta una stella, a dominare le miserie di tanta confusione umana.
don Gianni
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Inserito il 23 Gennaio 2022 alle ore 10:05 da Plinio Borghi
Rompere il ghiaccio è spesso riferito al superamento di una situazione di stallo, all’apertura di un dialogo in difficoltà o al primo intervento in un dibattito dopo la relazione, ecc. Di solito è sufficiente per rimuovere l’impasse ed evolvere, specie se è lo spunto che mancava a un progetto che aspettava il momento buono per prendere il via. Né più né meno di quel che è successo a Gesù dopo la “forzatura” sul primo miracolo, compiuto alle nozze di Cana e ricordato domenica scorsa. Ormai, fosse giunta o no la sua ora, il dado era tratto, si era rivelato ai pochi intimi per quello che era, tutti credettero in lui e quindi non era più il caso di procrastinare l’annuncio del Regno e l’avvio del percorso di salvezza universale che era venuto a compiere. Sennonché in questo esordio ha pensato bene di saggiare il terreno circostante, quello in cui era sempre vissuto e certo non per timore bensì per avere un riscontro immediato del lieto annuncio che stava per fare. Succede di solito anche a noi: prima di imbarcarci in qualcosa di grosso e d’impegnativo, buttiamo l’amo nelle vicinanze, magari sfruttando qualche conoscenza o, se si tratta di un’idea, esprimendola negli ambienti che normalmente frequentiamo. Se vediamo che funziona, ci sentiamo più tranquilli nel compiere il balzo successivo. Non so se anche il nostro Maestro ha agito parimenti o se, per la fama che già godeva, avrà voluto tentare un affondo pure dalle sue parti, fatto sta che non ha trovato di meglio che approfittare della sua abituale frequenza in sinagoga per proclamare che in lui si stavano realizzando le profezie di Isaia. Mal gliene colse e lo vedremo domenica prossima. Ciò che interessa oggi è comunque l’imprimatur che ha voluto apporre alle sue azioni, delle quali ormai tutti erano pressoché consapevoli, gesto che serviva a contestualizzarle e a sublimarle a progetto divino, proprio per la loro consequenzialità a quanto i vari profeti nel corso degli anni avevano anticipato e di cui i suoi erano ora testimoni. Per quel che ci riguarda, noi, che siamo a conoscenza dei fatti e dell’epilogo, dobbiamo solo prendere atto che in Gesù si è sul serio realizzato l’intervento di riscatto che il Padre aveva promesso ai nostri progenitori disobbedienti, che Egli è veramente il Figlio da Lui inviato per realizzarlo al massimo livello e che stiamo effettuando nel Vangelo il percorso necessario alla sua completa affermazione, nel cammino missionario che ci è stato impartito.
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Inserito il 20 Gennaio 2022 alle ore 11:56 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 20 Gennaio 2022 alle ore 11:50 da Don Gianni Antoniazzi
Piovono elenchi con le più varie cifre. Ci sono i numeri del Covid e quelli per l’elezione del Presidente. Ci sono i numeri della ricchezza per pochi e delle bollette per molti. Insieme ai dati serve giudizio.
In queste settimane l’Italia è invasa da calcoli numerici. C’è la “conta” dei grandi elettori per eleggere il futuro Presidente della Repubblica. Ci sono i conti della pandemia che ciascuno interpreta dal proprio punto di vista. C’è il conto per il gas e la luce, e sarà da capire se riusciremo a sostenerne il peso. Nei giornali c’è anche il conteggio dei ricchi del pianeta che negli ultimi anni hanno raddoppiato gli introiti mentre sono cresciuti anche i poveri che non riescono a vivere.
I verbi contare, calcolare, misurare… da soli non bastano. I numeri non sono sufficienti a capire come orientare la vita. Si può contare per avarizia, come fa il ricco stolto della parabola evangelica: allarga i magazzini ma subito si spegne e rende la sua vita a Dio. Si possono contare 5 pani e 2 pesci, dono completo di un ragazzo, rendere grazie, moltiplicare e sfamare una folla. Si può calcolare il popolo col censimento, come fa il re Davide, per gonfiarsi del risultato, e si può invece passare in rassegna le pecore, come il buon pastore, per capire se ne manca una. Si può imparare a contare il tempo della vita, come suggerisce il salmo, per giungere alla saggezza, e si può misurare il dono dell’amore senza capire che «è un amore ben povero quello che si può calcolare» (William Shakespeare).
Noi sogniamo una matematica esatta, un conto della vita senza un resto d’incertezza. Ma non va così: per vivere occorrono i numeri ma anche un cuore saggio perché «tutti bravi a calcolare la distanza tra due punti, ma unirli, quello riesce a pochi» (FrankVirzi). Non solo: «ognuno di noi è la somma di ciò che non ha calcolato» (Tom Wolfe).
don Gianni
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Inserito il 16 Gennaio 2022 alle ore 09:55 da Plinio Borghi
Vivacchiare o vivere? Domanda retorica: chi mai vuol accontentarsi di sopravvivere o di vivacchiare senza almeno tentare di fare il possibile per realizzarsi al meglio? Ci pensano già le avversità a segarti le gambe e a far sfumare tanti sogni che non c’è bisogno di tarparsi da soli anche le ali della speranza. In più, il senso di responsabilità ci obbliga a fare il massimo per corrispondere al dono della vita. D’altronde è anche una questione di buon senso: a fare le cose male si fa la stessa fatica che a farle bene, ma nel primo caso sarà sempre una pena infinita mentre nel secondo si apre l’evenienza di vivere anche di rendita. La vita è come il motore di un’automobile: a usarlo bene e a tenerlo allegro rende il mezzo sempre più prestante; ad abusarne o a trascurarlo finisci per arrancare e restare in panne. Perché tutta questa premessa? Perché noi cristiani abbiamo in serbo un’altra domanda retorica che riguarda l’altra vita che ci attende: può il Signore che vuole quanto sopra da noi non pretendere analoga tensione per entrare alla grande anche nel suo Regno? Ancor meglio, può Egli accontentarsi di un epilogo mediocre, con tutto quello che ha fatto e fa per introdurci in un banchetto ricco e abbondante? Certo che no ed è questo il segnale che mi par di cogliere dalla liturgia di oggi, che verte sul miracolo di Gesù alle nozze di Cana. Esordire con la “mera” trasformazione dell’acqua in vino, come lo si ricorda comunemente, sarebbe da effetti speciali. In realtà in quelle nozze ci siamo noi, in veste di convitati, ma anche nell’allegoria delle giare, che il Maestro fa riempire di acqua fino all’orlo. L’acqua è simbolo di quella felicità della quale saremo colmi, però la loro grandezza dipende da noi e da come avremo investito nella nostra esistenza. Pure nell’immagine della sposa ci siamo noi, come sua Chiesa e Lui è ovviamente lo Sposo, che alla fine ci riserva il vino più buono: al Messia non vanno le mezze misure, vuole il massimo, sulla scia del suo esempio che, per salvarci, non si è lesinato né facendosi povero (carne) come noi né versando fino all’ultima goccia di sangue per salvarci. Non abbiamo alibi per elusioni tattiche. L’episodio si conclude, infatti, con “manifestò la sua gloria e i discepoli credettero in lui”. A latere, anche Maria esordisce nel suo ruolo d’interceditrice e siamo sempre noi quei servi ai quali ordina: “Fate quello che vi dirà”. È la chiave di lettura della lieta novella: appoggiamoci a Lei per interpretarla a dovere.
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Inserito il 12 Gennaio 2022 alle ore 18:10 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 16/1/2022. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 12 Gennaio 2022 alle ore 17:54 da Don Gianni Antoniazzi
Di fronte all’obbligo del vaccino, più di qualcuno esprime dissenso e si appella alle parole di Mons. Viganò che da tempo sostiene tesi complottiste. È importante che la Chiesa prenda le distanze.
Come sempre, sono abituato a distinguere la gente in 3 categorie: gli intelligenti che fanno il proprio bene facendo anche quello degli altri. I ladri, che curano il proprio interesse facendo dei danni agli altri. Gli stupidi che pur di fare del male agli altri ne fanno a sé stessi. E come sempre ricordo che la stupidità non dipende dal livello di istruzione, dalla cultura, dall’appartenenza sociale e neppure da quella religiosa. Di fronte a questa categoria di persone, l’unico modo per salvarsi è perdere subito, senza esitare, e tenersi poi quanto più lontani possibile.
È giusto riferire che, in questa categoria di persone, metto da lungo tempo Mons. Viganò, un ex nunzio della Santa Sede. Di lui mi vergogno. Ha fatto affermazioni aberranti di cui porterà piena responsabilità davanti al Signore Gesù.
Non conosce la realtà, non ha fatto esami di medicina e, soprattutto, non ha visto la dedizione dei medici e del personale che negli ospedali hanno lottato per salvare i malati mettendo a repentaglio la propria vita. È vicino alla realtà quanto il pomodoro al gelato. Rifiuta ogni tipo di confronto leale con professionisti.
Pubblica di quando in quando video farneticanti in Internet e gode di un certo consenso da parte di chi, come lui, non accetta la fatica dello studio rigoroso. È arrivato a dichiarare che il Covid19 è un’invenzione: su questo, volendo, si potrebbe anche discutere. Ha aggiunto però che il personale sanitario uccide deliberatamente i pazienti pur di imporre lockdown e mascherine. Parole che offendono gravemente chi ha rischiato la vita ed è morto per servire gli infermi.
Sono affermazioni che, pronunciate in abito talare, spogliano di credibilità la fede cristiana, posizioni che mettono confusione nelle scelte di molti. Grazie ai vaccini ora vediamo una possibilità di qualche ripresa. Grazie alla medicina abbiamo evitato stragi. Ringrazio chi ha il coraggio intellettuale di mantenere fede alla ricerca e supplico il Signore di proteggerci da chi segue le orme della stupidità più bieca.
don Gianni
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Inserito il 9 Gennaio 2022 alle ore 10:02 da Plinio Borghi
Ricominciamo da tre. No, tranquilli, non ho alcuna intenzione di riesumare il già troppo supercitato Massimo Troisi e il suo film del 1981. Solo che la botta mi è venuta per associazione d’idee quando, in questa fase di chiusura delle festività natalizie, sono andato a leggermi l’antifona al Magnificat del giorno dell’Epifania: Tribus miracolis. Essa si rifà ai tre miracoli che la liturgia accomuna nella manifestazione di Gesù, nel suo rivelarsi per quello che è. Pur essendo i fatti ben a distanza di tempo fra loro, costituiscono un tutt’uno nella loro funzione di sostanziare la presenza fra noi del Messia, la cui venuta abbiamo appena celebrato. Ne abbiamo parlato ancora, ma non è male ricordare il principio generale che “il venire a conoscenza dei fatti” riveste la stessa importanza dei fatti stessi: la loro ignoranza equivale a come se non fossero mai accaduti. Perciò l’Epifania va celebrata alla pari del Natale: i Magi rappresentano il mondo che cerca il Salvatore e lo trova grazie alla stella che li guida fino a Betlemme. E questo è il primo miracolo. Il secondo lo stiamo celebrando oggi: il Battesimo di Gesù nel Giordano. I cieli si aprono di nuovo e la voce del Padre, accompagnata dalla “corporea” discesa dello Spirito Santo sotto forma di colomba, lo proclama suo Figlio e se ne compiace. È una doppia rivelazione: la realtà della Trinità e il progetto di salvezza già in atto. Son passati trent’anni nel nascondimento, ne potevano passare benissimo altrettanti, ma ora i tempi erano maturi. Più tardi, alle nozze di Cana, ci pensa Maria a innescare “anzitempo” il terzo miracolo, avanzando al Maestro una richiesta che non poteva rifiutarle: la trasformazione dell’acqua in vino (e pure buono!). “Donna, non è ancora giunta la mia ora”, le aveva appena risposto il Figlio. Lei lo dribbla rivolgendosi direttamente ai servi: “Fate quello che vi dirà”. Oltre al miracolo, siamo al varo di due strumenti di fede ineludibili e imperituri: saremo salvi solo mettendo in pratica quanto il Redentore è venuto a dirci e il ruolo d’interceditrice della Madonna. Perché Gesù ha ceduto se non era la sua ora? Non lasciamoci fuorviare dall’idea che fosse tutta una manfrina, quasi un gioco delle parti, ma non cerchiamo nemmeno di capire: è un mistero, che il Santo Rosario comprende fra quelli della Luce, nel quale si completa il processo della manifestazione. Dopo non sarà più come prima. A noi spetta il compito di prenderne atto e di viverlo.
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