Inserito il 29 Luglio 2018 alle ore 09:58 da Plinio Borghi
A pancia piena si ragiona meglio. Quante volte avremo esordito con quest’affermazione, specie se la sensazione di fame non ci consentiva di pensare ad altro che a calmarla! Eppure non è così venale come potrebbe sembrare, anzi, ha un fondamento scientifico, sociale, politico e financo religioso. Sul piano scientifico, il nostro intestino è il “carburatore” per il funzionamento armonico degli altri organi, cervello compreso, il tutto sintetizzato nel famoso detto latino “Mens sana in corpore sano”. L’aspetto sociale è nel processo a monte: attorno alla tavola imbandita ci si riappacifica tutti, si affrontano meglio anche i problemi più ostici, si allacciano rapporti duraturi. Infatti, cosa si dice a chi si prende troppe confidenze? “Quando mai abbiamo mangiato pasta e fagioli assieme?”, appunto. Il risvolto politico è presto detto: purtroppo si parla più alla pancia per solleticare la testa a votare in certa direzione. Per quanto concerne il profilo religioso rimando il lettore direttamente al Vangelo e al comportamento del nostro Maestro, che non trascurava mai incontri conviviali di ogni tipo, pur di avvicinare le persone e far passare il lieto annuncio; non a caso il primo miracolo è scattato proprio durante un pranzo di nozze e la predicazione si conclude con un’ultima cena tutta particolare. Nel brano in lettura oggi Gesù esprime tutta la sua preoccupazione per quella folla che l’ha ascoltato ed ora è lì senza mangiare, al punto da compiere uno dei miracoli più famosi: la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Dietro alla quale l’evangelista Giovanni, che non lo fa come gli altri tre all’ultima cena, colloca proprio il riferimento diretto alla stessa Eucaristia, il cibo che non toglie una fame provvisoria, ma ti nutre per la vita eterna. L’episodio è ricco di particolari interessanti: l’esigenza della “materia prima” (in possesso di un ragazzo), la collaborazione dei discepoli per la distribuzione (l’intervento non viene solo calato dall’alto) e infine la raccolta degli avanzi, perché nulla vada sprecato. Nel celebrare l’Eucaristia avviene lo stesso: gli elementi più semplici (pane e vino), l’intervento del sacerdote per il sacrificio, la presenza totale di Cristo in ogni briciola o goccia. La precede la liturgia della parola, che si fisserà in noi proprio tramite l’assunzione delle sacre specie e questa simbiosi ci accompagna in questa vita e ci proietta in quella eterna. Anche in questo caso, a “pancia piena” non solo si ragiona meglio, ma anche ci si assicura la salvezza. Orbene, se abbiamo la fame giusta, sappiamo qual è il desco e come soddisfarla.
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Inserito il 25 Luglio 2018 alle ore 18:19 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 25 Luglio 2018 alle ore 18:03 da Don Gianni Antoniazzi
Facciamo attenzione a come spendiamo il denaro. A Carpenedo pare che gli ipermercati raccolgano consenso fra la gente. C’è però chi la pensa diversamente: che abbia ragione? Proviamo ad imitarlo
La Nuova Venezia del 22/7 racconta di un pescivendolo che a Olmo di Martellago ha chiuso i battenti per mancanza di clientela. Accusa i giovani che preferiscono pesce surgelato nei supermercati piuttosto che quello fresco nel negozio. Gosaldo sta morendo per ragioni analoghe: dopo la pizzeria e qualche negozietto, anche il bar e altre piccole attività sono in difficoltà. Il paese sembra deserto. Per le spese si va ad Agordo “perché si risparmia e c’è più scelta”. Non manca poi la novità degli acquisti in Internet e da quest’anno, appena sotto la Malga dei Faggi, parcheggia un furgone per la consegna di quella merce.
Ma c’è anche chi va contro corrente e sceglie di tornare al negozio sotto casa. Per esempio: durante i campi c’è stato un cuoco davvero attento ai consumi. Non va al supermercato né in Internet. Fa le spese nei piccoli negozi di quartiere e sostiene di spendere la metà. Compra quel che serve di giorno in giorno. Non si lascia sedurre dall’esposizione del superfluo. Non butta niente, il suo frigo è vuoto e in casa non ci sono dolci o riserve per l’ingordigia. Dice di aver guadagnato non solo in qualità, convenienza e salute, ma anche nei rapporti umani: oramai i commercianti lo conoscono e partecipa alla vita del territorio. Che abbia ragione? Dispiacerebbe vedere Carpenedo ridotta come Gosaldo. Prima di arrivare a quel limite direi di fare tutti i nostri tentativi e tutte le riflessioni del caso.
don Gianni
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Inserito il 22 Luglio 2018 alle ore 10:21 da Plinio Borghi
Lo sciopero bianco consiste nello svolgere le proprie mansioni mettendo pedissequamente in atto tutte le procedure che le presiedono, con la rigorosa osservanza di norme e leggi, e quindi con un rallentamento pazzesco dei tempi, a volte strumentalmente voluto. Non si era molto adusi ricorrervi, per due principali motivi: sotto certi aspetti era una vigliaccata, perché di fatto non si scioperava e pertanto non costava nulla; inoltre era molto pesante per chi lo faceva e per chi lo subiva. Sostanzialmente si trasformava il lavoratore in becero mercenario. Questo non significa che la giusta mercede, anche se agevola, innesti ipso facto nell’esercizio della propria professione la passione e l’eroicità: ci vuole ben altro. Ho ancora nelle orecchie l’intervista al giudice Gratteri, ospite di Augias, quando il conduttore, udito com’era vivere costantemente sotto scorta, gli chiese se fosse normale per un uomo, pur servitore dello Stato, condurre un’esistenza in quelle condizioni o se non fosse più logico defilarsi in qualche Procura più tranquilla. La sorprendente risposta è stata che ne avrebbe avuta la possibilità, ma che si sarebbe sentito un vigliacco se non avesse continuato nell’opera intrapresa, che lo teneva sempre sotto il mirino della malavita organizzata. Con ciò, gli altri non sono meno onesti e impegnati, ma, per mille valide ragioni, certamente più restii a esporsi. Col foglietto della Messa di questa domenica in mano, del quale avevo appena scorso la prima lettura, ho detto tra me: “Ecco uno che ha la stoffa per essere un bell’esempio di buon pastore!”. Il Signore è esigente con chi si prende cura delle sue pecore quanto è intransigente con chi si comporta da mercenario, non se ne cura più di tanto, le disperde e non si precipita certo a salvarle se sono in pericolo. Per tale motivo ha riassunto nella figura di suo Figlio il modello di Pastore da imitare. Infatti, nel vangelo di oggi Gesù, pur ricercando per sé e i suoi un momento di meritato riposo, appena sbarcato si è trovato la folla ad attenderlo ed ha avuto compassione: sembravano pecore senza pastore. Farà seguito la famosa moltiplicazione dei pani e dei pesci. Vivesse oggi, anche al nostro Maestro verrebbe assegnata una scorta. E invece ha dato la vita per le sue pecore. A fronte di tanta attenzione, però, anche a noi “pecore” spetta una risposta. Quale? Presentarsi gli uni gli altri al Padre in un solo Spirito, come ci suggerisce San Paolo nella seconda lettura.
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Inserito il 18 Luglio 2018 alle ore 19:24 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 18 Luglio 2018 alle ore 19:02 da Don Gianni Antoniazzi
I fatti avvenuti nella grotta della Thailandia sono stati seguiti in tutto il mondo con molta apprensione. C’è stato anche un morto fra i soccorritori. Non è male riflettere sulla condotta del responsabile: l’allenatore.
Abbiamo seguito i fatti della Thailandia con 12 ragazzi finiti dentro una grotta per la scemenza del loro allenatore, che li ha accompagnati nel pericolo nonostante i cartelli raccomandassero di non entrare. Una stupidaggine, grande come una casa, che ci ha mantenuti col fiato sospeso.
Bisogna riconoscere, però, che il responsabile di questa vicenda, un allenatore di 25 anni, ha subito chiesto scusa ai genitori riconoscendo il proprio sbaglio. Ha aggiunto soltanto che sarebbe uscito per ultimo dalla grotta. Ha insegnato ai ragazzi l’arte della sopravvivenza e della concentrazione per aiutarli a superare l’angoscia. Ha rinunciato alla propria razione di cibo per sostenere i più giovani. Non ha mai fatto mancare la speranza. Anche se ha compiuto uno sbaglio grave, figlio della giovinezza, ha mostrato in fretta la fibra dell’uomo.
Maturo non è chi gode di perfezione: tutti sbagliamo 70 volte al giorno. La persona matura, però, paga per primo e resta al proprio posto tirandosi fuori per ultimo dalle difficoltà. Che differenza fra questo tipo di persone e molti italiani, anche di Chiesa, che ritengono di essere grandi perché riescono ad evitare la responsabilità degli sbagli! Pensano poi di doversi togliere per primi dagli impicci lasciando gli altri a pagare il peso per le loro scelte o mancate decisioni.
Quanta differenza fra questo minuscolo allenatore diventato uomo e la nostra cultura, da giuristi latini e imprenditori anglosassoni, così fragile in questo momento storico! Gramellini, in uno scritto del Corriere del 10 luglio scorso, ha messo in evidenza che l’allenatore Ekke fu educato dalla nonna: ne tengano conto le nostre nei riguardi dei nipoti.
don Gianni
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Inserito il 15 Luglio 2018 alle ore 09:59 da Plinio Borghi
Ci risiamo con la fiducia. C’era una volta una réclame che diceva: “La fiducia è una cosa seria e si dà alle cose serie”. Tanto vale ovviamente anche per le persone e per le istituzioni. No, non ho alcuna intenzione stavolta di riferirmi alla politica, anzi, rilancio un concetto sul quale sono già due o tre volte che, sotto vari aspetti, il nostro parroco insiste: la fiducia è la chiave che apre le porte del cuore, è il volano che innesca un rapporto e lo fa funzionare, è lo strumento che rende autorevole il messaggio da trasmettere. Nemmeno Gesù, l’abbiamo visto domenica scorsa, riesce a impostare un minimo di dialogo in assenza di fiducia; al contrario, è costretto a filarsela. Oggi lo vediamo inviare i suoi discepoli a due a due per annunciare la lieta novella, guarire i malati e convertire; una sorta di prova sul campo, e lo fa tra mille raccomandazioni: non portarsi appresso nulla se non il bastone, una tunica soltanto e un paio di sandali. Men che meno soldi o una bisaccia per la sussistenza. Perché? Perché la gente deve capire di essere al centro dell’attenzione e che a nient’altro si tiene se non a quello che si sta facendo: prima di ogni cosa va guadagnata quella fiducia che rende credibile l’azione salvifica che si sta elargendo. Ciò nonostante, ci può essere ancora qualche risposta negativa: succede che taluno non voglia aprirsi e impegnarsi o che addirittura tutta questa disponibilità dia fastidio, specie se mette in discussione un comportamento diametralmente opposto. Anche qui il nostro Maestro insegna a non imporre alcunché, a non portare rancore, a buttarsi alle spalle malegrazie e derisioni: è il significato di “scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro”, che spesso è inteso come un “pussa via!” o “va là che non capisci niente!”. In quest’ultima ipotesi non sarebbe una bella “testimonianza” e si chiuderebbe anche lo spiraglio attraverso il quale potrebbe un giorno passare la fiducia. Pensiamo a quante porte si chiudono in faccia a un prete che va a benedire le case! Eppure egli ritorna, convinto che qualcuna di quelle porte prima o poi si aprirà. Oggi a Venezia festeggiamo Gesù come Redentore e cos’è la Redenzione se non un abbandono al progetto d’amore del Padre nei nostri confronti, che pur di “recuperarci” ha sacrificato il Figlio e ci ha lasciato quale caparra lo Spirito Santo, come dice San Paolo? Vogliamo ricambiare quest’offerta illimitata almeno con un po’ di fiducia, che serva a ravvivare la nostra fede talvolta assopita?
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Inserito il 11 Luglio 2018 alle ore 20:00 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 15/7/2018. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 11 Luglio 2018 alle ore 19:40 da Don Gianni Antoniazzi
Da sempre la comunità cristiana pone l’accento sulla crescita integrale delle nuove generazioni
Stando continuamente accanto ai più giovani si comprende che è questo il bene più prezioso.
In passato, per diventare adulti bastava ripetere le scelte dei genitori. Oggi i ragazzi crescono in una realtà più complessa: se il papà ha trascorso una vita in banca non è detto che anche i figli possano farlo; se i genitori hanno frequentato la scuola o hanno lavorato in ospedale non è detto che anche i nipoti possano godere delle stesse opportunità. Alle nuove generazioni non basta ripetere un percorso. Il loro mondo cambierà di continuo, di decennio in decennio. In questo contesto la ricchezza più preziosa è la formazione, se con questo termine intendiamo l’insieme dei valori che anche in passato ha permesso di affrontare la vita e di superare le trasformazioni più dure.
A Carpenedo abbiamo ragazzi capaci. Purtroppo noi adulti ci limitiamo a proporre per loro l’attività sportiva, quella scolastica, alcune competenze lavorative e poco altro. La vita però chiederà loro sapienza e coraggio, stabilità, disponibilità al cambiamento insieme alle virtù che hanno permesso alle generazioni precedenti di superare le guerre e le carestie. Il Vangelo racconta di Gesù che insegnava: non ha messo al primo posto il possesso dei beni o di titoli scolastici – a suo tempo c’erano le scuole rabbiniche – ma la sapienza. A noi ha lasciato il suo Spirito di vita. E la sfida decisiva si gioca ancora sulla maturazione, soprattutto dei giovani.
don Gianni
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Inserito il 8 Luglio 2018 alle ore 10:22 da Plinio Borghi
Io te l’avevo detto! È una delle frasi più classiche che circolano in famiglia (il più delle volte da genitori a figli), a scuola, nei posti di lavoro, nei gruppi operativi o di ricerca e così via. Perché? Beh, in linea di massima siamo un po’ tutti contrari al fatto che qualcuno ti venga a dire cosa devi o non devi fare o in quale direzione andare ovvero quale metodo tu debba adottare. Nella migliore delle ipotesi ci si schiva col manifesto proposito di pensarci su o di verificare la validità dei consigli; nella peggiore si comincia a mettere in discussione l’autorevolezza di chi li dispensa: “Anch’io ho il diritto di vivere le mie esperienze“(di norma i figli), “Chi sei tu per dirmi cosa debbo o non debbo fare?”, “Ma ti rendi conto degli anni di lavoro che ho alle spalle?”, “Da quando in qua sei diventato un esperto in materia?” e altre analoghe espressioni che ognuno conosce a iosa. Evidentemente non è una novità, se anche a Gesù è successa la stessa cosa quando si è messo in testa di andare a predicare nella sinagoga del suo paese: “Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti con le sue mani? – sono gli apprezzamenti più accettabili, cui seguono: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ecco, ci siamo, ed è proprio in questa circostanza che dallo sconcerto del Maestro è nato il famoso detto “Nemo propheta in patria”, tradotto nel vangelo di oggi con “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. A dire il vero un fatto simile è ripreso anche nella prima lettura, dove, davanti alla perplessità del profeta di andare a parlare con “figli testardi e dal cuore indurito”, Dio gli dice: “Ascoltino o non ascoltino – perché sono una genia di ribelli – sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”. È un po’ il motivo conduttore di tutti coloro che partono in missione o si mettono a disposizione per la salvezza delle anime. Tornando a bomba, qual è l’epilogo peggiore? Il sentirsi apostrofare con “Te l’avevo detto”. Di solito i più intelligenti evitano di mortificare così e preferiscono, per motivi educativi o per quieto vivere o per non apparire supponenti, non infierire su chi ha già preso la scornata. Nel Giudizio finale, però, il Signore non può esimersi dal valutare come abbiamo prestato ascolto alla Parola e sarebbe piuttosto grave sentirsi dire da Lui: “Io te l’avevo detto!”.
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