La presunzione
Inserito il 28 Febbraio 2016 alle ore 11:28 da Plinio BorghiLa presunzione è la madre di gran parte delle disgrazie. È la convinzione di aver raggiunto un livello di preparazione tale da poter affrontare con tranquillità ogni tipo d’impresa, in campo sportivo come in quello intellettuale, nello svolgimento di un lavoro come nelle cose pratiche di tutti i giorni, nel percorso religioso o nell’impegno sociale, e così via. Tanto per citare esempi a portata di mano: la guida, lo sci, la montagna. Quanti incidenti sono imputabili all’imperizia, alla sopravvalutazione delle proprie capacità e alla conseguente temerarietà nell’affrontare le difficoltà! Dice il proverbio che chi non risica non rosica, ma è sottinteso che ogni rischio deve essere calcolato e alla sua base ci deve sempre stare quella dose di prudenza e di umiltà che consentano una buona percentuale di copertura, altrimenti si finisce per non rosicare alcunché, anzi. Sarebbe niente, poi, se le conseguenze fossero solo personali, ma nella stragrande maggioranza dei casi a pagarle concorre anche qualcun altro, coinvolto direttamente o comunque socialmente, che della nostra presunzione non ha colpa alcuna e che magari aveva fatto tanto per evitare funesti epiloghi. Quanto all’impegno sociale, mi si consenta un richiamo a chi assume cariche di rappresentanza o di governo: la loro incapacità ricade sulla pelle di ognuno di noi e compromette la qualità della vita. Peggio di ogni altra disgrazia. Ho citato anche il percorso religioso, specie in un periodo come questo nel quale abbiamo la possibilità di testare lo spessore delle nostre risposte ai solleciti di conversione e di salvezza. Tutte le letture che la liturgia ci pone oggi all’attenzione sono un richiamo a non dare nulla per scontato, perché il tranello sta sempre dietro l’angolo: la parabola del fico che non dà frutti e il continuo invito alla conversione se si vuol evitare una brutta fine, nel vangelo; l’incredulità (altro frutto della presunzione) degli ebrei (perciò decimati nel deserto), alla base delle preoccupazioni di Mosè, nella prima lettura; Paolo infine che ci raccomanda di non dimenticare che tutti ci siamo abbeverati allo stesso Spirito, per dire che la crescita di ognuno va anche a beneficio della comunità intera e viceversa, e ci richiama alla consapevolezza e alla responsabilità. Bella la conclusione della seconda lettura, che fa sintesi di tutta la nostra presunzione: “Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere”. No comment.