Lo “sport” preferito del credente
Inserito il 24 Luglio 2016 alle ore 12:03 da Plinio BorghiLo “sport” preferito dal credente è rifugiarsi nella preghiera. Non c’è fede o religione che non includa nella maggior parte della sua espressione o della sua pratica il ricorso alla preghiera. Anche la nostra non fa eccezione ed è Gesù in persona, come descrive il vangelo di oggi, che ci ha insegnato quella più bella e più completa: il Padre nostro. Non solo, ma si è anche peritato di portare una serie di esempi sull’efficacia della stessa, specie se recitata con convinzione e rivolta con insistenza. Figurarsi se la Chiesa non lo prendeva in parola: non c’è rito, liturgia o invito che non siano improntati, in vario modo, sulla preghiera. Tuttavia, di primo acchito, la cosa non mi convince: ma non s’era detto che il Padre conosce fino in fondo le nostre esigenze? Non s’era detto che se il Creatore veste i gigli dei campi in modo invidiabile anche da re Salomone e si cura che nemmeno un filo d’erba perisca senza che Egli sappia, a maggior ragione avrà cura della sua creatura preferita? E quale genitore, consapevole delle esigenze del figlio, pretende di essere tirato per la giacca per soddisfarle? E poi non è un dogma di fede che non si muove foglia che Dio non voglia? E allora perché star lì a supplicare affinché le cose vadano per il giusto verso (il nostro)? Qui c’è un qui pro quo, forse è stato travisato qualcosa, si è fraintesa la natura stessa della preghiera. È umano: di fronte alla nostra impotenza non ci resta che affidarci all’Onnipotente e quando le Sue idee coincidono con le nostre ci premuriamo di riempire le pareti dei santuari di cuoricini d’argento “per grazia ricevuta”. Se talvolta non coincidono o addirittura succedono disgrazie, apriti cielo! No, è chiaro che non è questa la preghiera. Semmai è quel momento d’intimità che s’instaura con la Persona cara, è un’intesa con chi ti capisce bene, è un prendere atto che ne abbiamo bisogno sempre e continuamente, perché sappiamo di essere ascoltati e compresi. E il ripetere le cose di cui pensiamo di necessitare non lo si fa perché Lui non sa, non ci ascolta o finge di non sentirci, ma solo per rammentarlo a noi stessi, per cercare di capire il Suo disegno su di noi, per sforzarci di assecondarlo. Vista sotto quest’ottica, allora sì, occorre ripetersi e insistere, dato che uno dei nostri difetti è anche quello di essere corti di memoria. Ma tranquilli: questa prerogativa non appartiene al Padre nostro che è nei cieli.