Il linguaggio dei gesti…
Inserito il 30 Aprile 2017 alle ore 11:08 da Plinio BorghiIl linguaggio dei gesti sembra, di primo acchito, appannaggio dell’ambiente dei sordomuti. Se però ci riflettiamo un po’, ci accorgiamo di quanto quell’uso sia del tutto marginale. Osserviamo due persone che discorrono normalmente: la quantità dei loro movimenti (di mani, di braccia, di spalle, di corpo, di mimica facciale) è enorme; a tal punto che, se anche non li udissimo, saremmo in grado di indovinare quasi tutto il contenuto del loro scambio. Noi italiani, poi, abbiamo la nomea di non saper proferire verbo senza poter gesticolare. Qui a Venezia abbiamo addirittura coniato il detto: “Ti fa come el gondolier, che par parlar el mola el remo!”. Spesso taluni gesti mirati sostituiscono le parole: ad esempio l’indice portato perpendicolare alla bocca per indurre al silenzio, più perentorio se accompagnato da un moto di sbarramento degli occhi; battere di rovescio il dorso della mano destra sul palmo della sinistra per dire a qualcuno di andarsene; alzare le spalle per disinteresse e così via. Molte volte assumono pure valenza di offesa o di volgarità. Eppure la gestualità diventa anche di grande aiuto, specie se si è all’estero e non si parla molto bene o affatto la lingua; a questo punto farsi capire è un’arte. Poteva Gesù non conoscerla a fondo? Certo che no e il vangelo di oggi ne è una dimostrazione. La vicenda dei discepoli di Emmaus descrive come non abbiano riconosciuto nel compagno di strada il Maestro, malgrado i discorsi fossero tali da poter essere ricondotti solo a Lui. E sì che il loro cuore ardeva nell’ascoltarlo a spiegare le Scritture! Evidentemente prevaleva lo sconforto per tutto ciò che era accaduto. Tuttavia, il solo gesto di spezzare il pane ha fatto scattare la molla e la corsa di ritorno nella notte, col cuore gonfio di gioia. Quando la sera dell’ultima cena Gesù lo eseguì per la prima volta, accompagnandolo al mandato: “Fate questo in memoria di me”, sapeva che quello sarebbe stato un segno di riconoscimento, il segno liturgico per eccellenza; perché ogni volta che si fa Pasqua, cioè ogni volta che si celebra l’Eucaristia, l’evento della passione, morte e resurrezione del Salvatore si ripete (“annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione in attesa della tua venuta”): questo significa “far memoria”. Da allora tutta la liturgia si è arricchita di gesti tutt’altro che casuali o scaramantici, bensì pregni di un significato che spetta a noi cogliere con attenzione e introiettare. Se poi, capendoli, ci danno la carica, meglio.