La vita va investita…
Inserito il 19 Novembre 2017 alle ore 11:05 da Plinio BorghiLa vita va investita. Nel percorso escatologico di cui si parlava domenica scorsa, non poteva mancare l’arcinota parabola dei talenti, che stimola il plauso per i due che hanno saputo raddoppiare il capitale loro affidato e la disistima per il tapino che ha sotterrato l’unico talento per paura di perderlo o che gli fosse trafugato. E se ai bravi fosse andata male e con investimenti sbagliati si fossero mangiati il capitale? Cambierebbe il nostro giudizio nei confronti del più cauto? Forse no: siamo tutti convinti che se si vogliono raggiungere buoni profitti od obiettivi ambiti occorre saper rischiare, nel poco e nel molto, anche se ci rendiamo conto che può andar male. Chiaro che rischiare non è sinonimo di agire in modo avventato. Il padrone stesso, descritto da Gesù, non rimprovera il servo infingardo per non aver rischiato, bensì per non aver nemmeno affidato il denaro ai banchieri affinché fruttasse almeno gli interessi. Andiamo piano, comunque, a sorridere con una certa sufficienza di quest’ultimo: gratta gratta, se analizziamo bene la stragrande maggioranza dei nostri comportamenti, non siamo tanto diversi. Tendiamo, infatti, a ricercare tutti gli elementi che ci possono far condurre una vita tranquilla, senza eccessivi pensieri, evitando per quanto possibile fattori di contrasto o di preoccupazione. Chi investe e rischia, poi, non può fermarsi là, deve difendere i risultati e i capitali solo continuando a rischiare e a investire. E che vita è? Anche se s’investe sul sociale ci devi rimettere la faccia e il tempo, non contando che ti riempi di rogne senza ottenere in cambio alcun compenso. Lottare per migliorare, ammesso poi che ci si riesca, è stressante. Rispondere positivamente a certi appelli? Attenti, gli dai una mano e ti prendono un braccio! E così via. Per questo, tra l’altro, se c’è bisogno di qualcuno, risponderà più facilmente quello che ha già mille impegni, piuttosto di colui che non ha niente da fare. Ecco la terra sotto la quale sotterriamo il nostro “talento” e magari saremmo anche capaci di borbottare che pure il nostro Maestro sposa la tesi che “i schei va dai schei”, visto che alla fine premia chi ha già tanto e a chi ha poco toglie anche quel poco che ha. Leggiamola in proiezione e supponiamo per un attimo di essere chiamati ora a oltrepassare la soglia: potremmo in tutta sincerità dire di aver usato la vita che ci è stata affidata in modo corretto? Per quanto mi riguarda, ho dei profondi dubbi.