Lettera aperta del 9 dicembre 2018
Inserito il 5 Dicembre 2018 alle ore 19:53 da Redazione CarpinetumAbbiamo inserito nel sito lettera aperta del 9/12/2018. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Pensiamoci bene: in fondo il peccato è l’illusione di essere perfetti. Per esempio: Adamo non ha accettato di essere una creatura. Ha sognato di farsi Dio e ha ottenuto risultati ridicoli. Il “peccato originale” limita la nostra visione perché, prima di rovinarci, ci illude di essere forti. Maria, immacolata dal peccato, ha potuto invece vedere tutta la sua umanità, senza inganni. Ha capito di essere vulnerabile, con pene e scompigli quotidiani. Ha dunque faticato quanto noi perché si è misurata “in toto” col peso della fragilità. Cercava affetto, comprensione e amicizia. Non sempre li ha ricevuti come voleva, nemmeno da Gesù. Non è stata impermeabile ai problemi e ai dolori. Ha comunque pronunciato fino in fondo il sì e il seme dell’amore di Dio, in lei, si è trasformato nell’albero di una vita donata. Per questo ha tracciato una strada luminosa così che anche noi non ci spaventiamo delle debolezze. La perfezione non ci appartiene. Non ora. Saremo uomini e santi se ci alzeremo dopo ogni caduta.
don Gianni
Un Avvento proprio a fagiolo che riflette l’attesa che c’è anche nella situazione politica del Paese. Come andrà a finire? Penso che nemmeno la fattucchiera con la sfera di cristallo sia in grado di azzardare presagi, tali sono gli elementi di novità innescati da marzo in qua. C’è nell’aria una certa apprensione, vieppiù accentuata da tutte le contraddizioni che si sono verificate finora (la controversa vicenda del ponte di Genova non è che uno dei tanti esempi). Questo dà modo di constatare cosa significhi in concreto vivere un’attesa in ogni caso foriera di novità. Se poi allargassimo un po’ l’ottica alla nostra vita in generale, ci accorgeremmo che parecchio del nostro tempo è dedicato all’attesa, di qualcuno o di qualcosa, atteggiamento a volte produttivo, quando il tutto è programmato e quindi si occupa il tempo con altre incombenze, ma tante altre volte inerte e inutile: i lunghi soggiorni nelle sale d’aspetto, le code eccessive in strada o alle casse del supermercato, alle fermate dell’autobus che non arriva o in casa per il rientro a cena del solito ritardatario e così via. Quel che snerva è quando il fenomeno è attribuibile a lentezze burocratiche o, peggio, ad una colpevole e cattiva organizzazione; non parliamo poi delle pretese velleitarie che inducono a tentativi inutili destinati a fallire e a dover rifare tutto daccapo. Nulla di tutto ciò ha a che fare, per fortuna, con l’Avvento liturgico che ci apprestiamo a vivere, tranne una sana e attiva apprensione. Dice: “Ma se sappiamo già Chi attendiamo, come arriverà e con quale scopo, cosa serve ogni volta riproporre l’attesa? Non siamo in presenza di un mero fatto rituale?”. Banalmente sarebbe da rispondere che anche far da mangiare tutti i giorni non dovrebbe destare aspettative particolari, eppure ci si sforza per far sempre meglio e si pregusta quello che sarà il frutto del nostro impegno. Ogni anno che passa anche noi siamo diversi, migliori (si spera) o peggiori e comunque cresciuti; il messaggio che da duemila anni ci arriva è sempre lo stesso, ma trova terreno nuovo su cui agire. Non è un caso che nel Vangelo, pur passando dal percorso con Marco a quello con Luca, l’ultimo brano e il primo dei due anni liturgici che si susseguono abbiano gli stessi argomenti e il medesimo taglio apocalittico: l’uno rivolto alla venuta e l’altro al ritorno di Gesù. Dovrà essere quindi anche stavolta un Natale ex novo e tutto da impostare, proprio tramite un’attesa attiva e apprensiva e, possibilmente, con poche distrazioni.