La furbizia nel chiedere
Inserito il 16 Ottobre 2022 alle ore 09:59 da Plinio BorghiLa furbizia nel chiedere si apprende dagli infanti: chi ha ne ha fatto esperienza lo sa bene. A prescindere da come la richiesta viene posta, in modo accattivante o ammiccante, col far da “ruffiano” o con finta nonchalance, elementi per sé già sufficienti a far andare in brodo di giuggiole nonni, zii e parenti vari, di fronte al diniego subentra l’insistenza, magari accompagnata dal piagnisteo. E qui
si scopre la capacità istintiva del pargolo nel calcolare i tempi utili al cedimento e nel distinguere le differenze tra i vari interlocutori, di solito il papà e la mamma. Se, preso dall’esasperazione, uno molla i cordoni dopo, diciamo così, cinque minuti, stiamo tranquilli che la volta successiva la manfrina non avrà tempi inferiori. E se, per mostrare una certa fermezza, riusciamo a tirarla per dieci o venti minuti, dopo l’insistenza non durerà meno. Se invece la fermezza di uno dei due non troverà cedimento, i tempi d’insistenza con questo saranno nulli e il giochino durerà con l’altro. Ovvio che l’esperimento non può essere introdotto a processo educativo avanzato, ma da subito. Come facciano i piccoli a essere così “furbi” lasciamo agli esperti la parola. Noi impariamo a trasferire questa esperienza nei rapporti col Padre celeste, che, a quanto ci dimostra la liturgia di oggi, ha la stessa sensibilità dei genitori, compresa la pazienza nell’ascoltare le nostre istanze. Con una leggera differenza, però: a conoscere i tempi necessari per cedere e concedere non siamo noi, ma Lui stesso. A noi spetta solo chiedere con insistenza e, ovviamente, con tanta fede. Qui un paio di interrogativi sorge spontaneo: perché chiedere così tanto al Padre, quando Egli conosce le nostre esigenze meglio di noi e a cosa può servire questo modo incessante di pregare? La prima questione è semplice: serve a noi, per l’attenzione che dobbiamo ad ogni aspetto dei nostri bisogni. La seconda è strettamente legata alla crescita della nostra fede. Tutte le religioni prevedono forme rituali ricorrenti e ripetitive, che servono a catturare mente e cuore mentre si è in tensione con l’Essere superiore. L’episodio di Mosè nella prima lettura è l’esempio di quanta efficacia rivesta la continuità di questo rapporto. Il Rosario, cui questo mese è dedicato, e la contemplazione dei misteri ne è una delle espressioni più belle, anche per rispondere in concreto alla domanda con cui si chiude il vangelo di oggi: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”