La misericordia di Dio è infinita?
Inserito il 29 Settembre 2019 alle ore 10:01 da Plinio BorghiLa misericordia di Dio è infinita? Dipende da che punto di vista. No, non voglio essere blasfemo ponendo limiti alle qualità del supremo Creatore né aumentare margini d’insicurezza in qualche peccatore incallito. I limiti sono nostri se dimentichiamo che in Dio tutte le doti, non solo la bontà, convivono in maniera sublime e quindi verrà il tempo in cui la Giustizia si prenderà la scena. Matteo descrive così bene quel momento nel noto cap. 25 (31-46), quando si divideranno le pecore dai capri. Lì non ci sarà più trippa per i gatti: lo spazio per la misericordia sarà finito. Conosciamo bene tutti la parabola che Gesù racconta nel vangelo di oggi ed è particolarmente significativa: la storia di Lazzaro, povero e piagato mendicante, e il ricco epulone, tronfio del suo benessere. Che l’epilogo fosse quello descritto era scontato: il primo sale in paradiso alla destra di Abramo e il secondo scende tra le fiamme dell’inferno. È un motivo conduttore che il nostro Maestro non si stanca mai di ripetere sotto varie forme, come quella che gli ultimi saranno i primi e viceversa. Ma c’è una conclusione stavolta che offre uno spaccato diverso e che completa la domanda iniziale: l’epulone chiede una goccia d’acqua per un po’ di sollievo e gli viene negata. Lo spazio invalicabile è soltanto un pretesto: gli è che scatterebbe un’impropria incoerenza da parte del Padre. Di più. Il ricco supplica che almeno Lazzaro gli avverta i familiari affinché si ravvedano e qui la risposta è magistrale: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi.” Pertanto c’è un tempo per il ravvedimento, ma pure un metodo, che prevede un minimo d’espressione di fede che si alimenta con l’attenzione alla Parola. Un ultimo tocco si evidenzia nel brano in lettura: il povero è indicato per nome, il ricco no. Non è per voler discriminare; solo che “epulone” è una qualifica, un atteggiamento, che appartiene un po’ a tutti quando ci chiudiamo in noi stessi, nella nostra autoreferenzialità, nel nostro egoismo, nella nostra tendenza a badare prima alle nostre necessità e poi, se avanza, anche a quelle degli altri; quando predichiamo l’accoglienza, ma non ci dedichiamo a realizzarne gli strumenti adeguati, quando scordiamo che poveri ed emarginati non sono categorie di derelitti, ma persone con nome e cognome. Continuando così, loro li conserveranno per il passi al banchetto finale e noi saremo esclusi perché finiremo col perdere, appunto, ogni residuo di identità.