Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Il Signore mi libererà e mi porterà in salvo nei Cieli. Amen

Inserito il 24 Ottobre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

Quanto a me, il mio sangue sta per essere versato in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. San Paolo parla al presente (come anche il Signore nel momento dell’istituzione dell’eucaristia quando parla di sangue versato). Tutti i pericoli affrontati dall’Apostolo durante la sua opera di annunciatore del Vangelo non erano che un paragone del definitivo “naufragio” di tutta l’esistenza (sciogliere le vele) sulla spiaggia della vita eterna.
Ho combattuto la nobile battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fedeltà alla fede.
La fine è, volgendosi indietro, una vittoria. E questa volta Paolo si volge indietro: un breve sguardo all’insieme della sua vita che gli era apparsa sempre una “battaglia” e una “corsa”. Il corridore, giunto alla meta, non può fare a meno di portare dentro di sé la strada percorsa, incisa nel suo corpo e nel suo spirito. Se durante la corsa a causa della pura azione ci si è un po’ dimenticati di contemplare la ragione di ogni correre, la beatitudine della fine consiste nell’aver conservato «la fedeltà alla fede», fondata in tutto e per tutto sulla “FEDE” di Cristo, che ci ha serbato fedeltà tanto da donarla anche a noi perché la serbassimo.
Il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno la ”corona di giustizia”. Andare incontro così al giusto giudice, e non con la paura di chi teme di essere condannato, è la «franchezza» cristiana. È privilegio di coloro che amano il Signore e hanno «fiducia nel giorno del giudizio».
La Chiesa, in quanto sposa e corpo di Cristo, ha la certezza della salvezza, ed ognuno può averne parte nella misura in cui vive come membro vivo della Chiesa. Nella misura in cui, invece di peccare, ama, la sua angoscia scompare lasciando il posto alla fiducia, fino al limite di un completo superamento dell’angoscia del giudizio per mezzo dell’amore (1Gv 4,18). L’idea di predestinazione di Paolo è sempre ecclesiale, cioè “inclusiva”: dall’”io” passa senza soluzione di continuità al “noi”.
Paolo lotta, come sempre, non per la sua persona, ma per la sua missione e perciò per Colui che l’ha mandato. La Chiesa, “mater dolorosa” sulla “via crucis”, non ha la facoltà di mitigare la luce tremendamente cruda della passione. Senza volerlo e forse senza saperlo è posta alla sequela.
A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. Tutto: Paolo, il suo destino e la sua missione, i suoi ascoltatori e i destinatari delle sue lettere, le sue comunità e le loro condizioni, ma anche i suoi nemici, i caparbi e quelli soltanto negligenti e vili, la Chiesa con la sua sofferenza e la sua esitazione, la sua luce immutabile e l’ombra che si estende su di essa, l’umanità con la sua speranza di redenzione e i «mali» sempre nuovi che si scatenano su di essa e di cui cade vittima: tutto alla fine viene offerto e presentato a Dio nella preghiera. E l’«Amen» che Paolo stesso pronuncia è da lui inteso come l’Amen degli ascoltatori e dei lettori, di tutta la Chiesa. Ognuno di noi lo faccia proprio.

Don Danilo

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