Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

La notte è avanzata. Il giorno è vicino. Indossiamo le armi della luce

Inserito il 28 Novembre 2010 alle ore 08:00 da Don Danilo Barlese

“E voi sapete bene in che tempo viviamo”. Paolo inserisce le esortazioni fatte nei precedenti capitoli della lettera in una prospettiva di fede capace di valutare il tempo attuale come momento particolarissimo nella storia della salvezza (= kairós – “favorevole”), caratterizzato dalla “vicinanza” del futuro ultimo e definitivo: “perché adesso (= ORA) la salvezza ci è più vicina di quando abbiamo cominciato a credere”. L’attesa del compimento della storia è una qualifica dell’esistenza cristiana prima di essere “la paura della fine del mondo”. Lo testimonia il contesto, in cui è assente ogni tono apocalittico sul quando e sui segni premonitori, mentre tutto è incentrato in una pressante esortazione a vivere “nell’apertura al futuro”: “E’ ora di “alzarvi” dal sonno”.

In breve, il futuro decisivo è vicino non tanto come data cronologica, quanto come istanza che appella a togliersi sempre più dal vecchio mondo, indicato qui dalle tre immagini complementari della notte, delle tenebre e del sonno, tipiche della catechesi battesimale della chiesa primitiva e che ritroviamo nei passi di altre lettere.

Con più esattezza, è tempo di vigilia e di attiva attesa. La notte volge ormai alla fine e sta per nascere il giorno della venuta finale del Signore.

La fede ha collocato i cristiani in quest’ora annunciatrice dell’alba dell’ultimo giorno.

S’impone l’esigenza di essere svegli, lasciando alle spalle “le opere tenebrose” e “indossando le armi della luce”.  Ciò vuol dire, in concreto, una condotta onesta, consona a persone che la grazia divina ha illuminato di viva luce: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno”.

E qui Paolo presenta uno stereotipo elenco di vizi: “niente orge e ubriachezze, niente lussurie e immoralità, niente litigi e gelosie”. Ma non si limita a questo livello etico. Nel versetto conclusivo esorta i cristiani di Roma a rivestirsi del Signore Gesù Cristo.

La stessa espressione appare anche nella lettera ai Galati esplicitamente applicata al battesimo. Ciò che nel sacramento è evento, diventa esigenza nello stile di vita. I battezzati si sono rivestiti di Cristo per grazia e la grazia li chiama a una corrispondente esistenza impegnata.

E’ un forte invito ad “unirsi al Signore”, entrando nella sfera del suo influsso di risorto e sottomettendosi alla sua signoria. In termini negativi lo dice anche il nostro versetto che specifica: “e non curate di soddisfare le cupidigie dell’egocentrismo (lett. = della carne)”.

Una nuova dinamica regge l’esistenza del battezzato, “liberato” dalla potenza del peccato che rende schiavi e perciò “libero” per l’obbedienza a Cristo. Paolo forse qui riprende un inno battesimale della chiesa primitiva: “Già è ora di alzarci dal sonno. Avanzata è la notte e il giorno vicino. Lasciamo le opere tenebrose e indossiamo le armi della luce”.

I credenti ricevono in dono di rivestirsi del Signore Gesù Cristo, cioè di diventare una sola cosa con Lui partecipando pienamente alla sua esperienza di morte e resurrezione. Il cristiano vive nell’attesa della pienezza finale proprio anticipando nell’oggi i valori che essa implica.

Questa morale esigente che Paolo propone ai cristiani di Roma non è legata all’osservanza di singoli precetti ma all’azione della Grazia di Dio in noi, a quella “santità” che fa toccare con mano la presenza dell’Amore di Dio nella storia e la rende sempre “storia di salvezza”  fino al suo compimento.

Don Danilo

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