Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Lo Spirito di Dio abita in noi

Inserito il 3 Luglio 2011 alle ore 08:21 da Don Danilo Barlese

La distinzione che Paolo presenta tra “carne” e “spirito” può essere lontana dai pensieri da “spiaggia”… oppure può essere proprio adatta perché è l’occasione per fermarsi con più disponibilità di tempo. Io comunque ve la propongo…

In forza dello Spirito diventa possibile e praticabile un’esistenza di obbedienza a Dio, una vita intessuta di amore in gesti e parole. L’antitesi spirito – carne presenta due mondi esistenziali opposti, ciascuno con i suoi dinamismi e le proprie finalità. L’uomo ne risulta definito. Si distinguono perciò «quelli che hanno un’esistenza a misura della carne» o «che sono sotto il dominio della carne». Nella vita ciò a cui tendiamo ricalca quello che siamo.  Quelli che si comportano in modo “carnale”, secondo l’espressione paolina, sono ostili a Dio, rifiutano il comandamento dell’amore. Sono impossibilitati dalla logica egocentrica ad obbedire al suo volere e a costruire un’esistenza veramente felice. L’estraneità alla fonte della vita li farà andare incontro ad un destino di morte eterna.

Invece «quelli  che  hanno un’esistenza a misura dello Spirito», per grazia sono stati liberati dalla sfera d’azione dell’egocentrismo e si comportano secondo l’azione dello Spirito del Risorto. Il traguardo ultimo sarà la vita eterna.

Una svolta del pensiero paolino avviene con la seconda parte del v. 9: «Se invece uno non ha lo Spirito di Cristo, costui non gli appartiene». C’è una stretta connessione tra l’avere lo Spirito di Cristo e l’appartenere a Cristo. Già all’inizio del capitolo l’azione liberatrice dello Spirito era stata collegata con Gesù. Ora il rapporto viene precisato: nell’esistenza dei credenti lo Spirito Santo è la forza creatrice di spazi di obbedienza al Signore e di accettazione della sua signoria.

Quali conseguenze scaturiscono dall’appartenenza a Cristo?
Il battezzato partecipa alla morte e risurrezione di Cristo attraverso la presenza vivificatrice dello Spirito. E se è vero che già al presente il credente sperimenta la vita del nuovo mondo, altrettanto vero è che questa avrà la sua pienezza nella risurrezione finale.

Essere ora “abitazione” dello Spirito vuol dire vedersi schiudere  davanti un destino di vita trionfante sulla morte fisica che stroncherà l’esistenza caduca e mortale dei credenti: «allora Chi ha risuscitato Cristo dal regno dei morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali in forza del suo Spirito che abita in voi». Avere la primizia del mondo dei risorti (v. 23) significa possedere nella grazia una solida speranza per il futuro ultimo. Come si sa, una costante del discorso paolino è il passaggio dall’indicativo all’imperativo. L’apostolo non si smentisce neppure qui. Se l’esistenza cristiana è a misura dello Spirito, ne consegue un preciso impegno di vita. I credenti non devono pagare più nulla alla “carne”. Sono invece in obbligo verso lo Spirito. In concreto, si tratta di liberare la propria prassi dalla presa del dinamismo individualista. Ed è un’impresa possibile con la forza dello Spirito. L’esortazione è collocata sullo sfondo del destino ultimo. Sappiano i credenti di Roma che il traguardo a cui conduce l’esistenza “carnale” è la morte eterna, mentre la vita eterna sarà donata all’uomo coerente con il suo essere “spirituale”.

Paolo afferma dunque che il credente osserva il comandamento dell’amore poiché lo Spirito opera ormai in lui e gli ispira una nuova mentalità in forza della quale egli aderisce a Dio e alla sua volontà. Pur vivendo ancora in una carne mortale, egli è già partecipe di quella vita immortale che lo Spirito ha conferito a Cristo mediante la risurrezione e darà un giorno a tutti coloro che gli appartengono.

Don Danilo

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