Come si fa a chiamarle ferie?
Inserito il 19 Agosto 2012 alle ore 07:57 da Don Gianni AntoniazziRientrato dai campi molti mi hanno chiesto come fossero andate “le ferie”. È bene chiarire, anche per difendere la qualità della proposta e l’operato degli adulti.
È bello ma non è semplice avere i figli degli altri. Sulle labbra c’è il sorriso ma nel cuore il peso di rendere conto di tutto. Chi è responsabile si sveglia presto e va a letto tardi. Dorme per modo di dire, pronto ad intervenire quando serve. La giornata è ritmata da attività continue. I responsabili partecipano alle uscite, ai momenti formativi, ma anche ai giochi e a tutti i disagi. Non si sta fermi, neppure un momento. C’è sempre la preoccupazione per la crescita umana e spirituale dei ragazzi senza la quale tutto sarebbe inutile. Ci sono mille imprevisti, le corse in ospedale, i ritardi e le contestazioni di qualcuno, perché non tutti hanno la stessa testa. Talora si dorme a terra, con una minima tendina, altre volte in mansarde impolverate o sul nudo cemento con stuoino e sacco a pelo.
Pur limitato come sono nell’uso dell’intelligenza non chiamerei “vacanza” questo tempo. Né adesso, né in passato ho visto una corsa dei preti per partecipare a queste esperienze.
E non si stacca la spina dalle attività quotidiane. La tecnologia è satanica: col cellulare e il computer si è al lavoro ovunque. Sempre connessi alla parrocchia e sempre a disposizione di chi ha necessità.
Perché scrivo queste cose? Non per difendere me stesso ma gli animatori, organizzatori, capi scout, cuochi e cambusieri. Hanno rinunciato alle ferie. Hanno faticato e vanno ringraziati. E sia chiaro che la parrocchia non propone vacanze a basso prezzo, ma esperienze a tutto tondo, gioiose e formative, appassionanti e faticose al contempo.
Spero che nessuno mi chieda più delle ferie: non le faccio da 20 anni. Semmai bisogna domandarsi se il lavoro porterà frutto.
don Gianni Antoniazzi