Occhi chiusi sulla fine
Inserito il 21 Luglio 2013 alle ore 08:02 da Don Gianni Antoniazzi“Il mondo moderno è riuscito a svilire la cosa che forse è più difficile svilire in assoluto, perché ha con sé una specie particolare di dignità: la morte”. (Charles Péguy)
Vediamo che la società contemporanea cerca di rimuovere la morte, di renderla oscena, la scaccia cioè dal teatro dei vivi. Oppure ne fa “spettacolo”, quasi un rito officiato nei mass media, per esorcizzare la paura: siamo narcisisti e abbiamo bisogno di rimuovere questo fatto, segno di ogni nostro limite. Norbert Elias ha scritto che si muore «molto più igienicamente ma anche molto più soli che in passato».
D’estate in modo particolare la società celebra l’idolo della vanità e dell’amore per la forma. Così che le esequie sono momenti deserti – prevale su tutto la vacanza – e la memoria e l’anniversario per la morte di un congiunto cade nell’oblio.
Enzo Bianchi però ricorda che questa «operazione anestetica ci priva dell’elemento che più ci aiuta a comprenderci perché costituisce il caso serio della vita». Bisogna ricordare che la visione di un uomo morto ha segnato l’inizio dell’illuminazione per il Buddha fino a quel momento vissuto nei palazzi regali e protetto da ogni male per la cura paterna. È proprio vero: solo chi ha un motivo per cui morire ha anche motivazioni per vivere e solo chi impara ad accettare i limiti dell’esistenza sa farsi amica la morte.
Sì, il memento mori è più che mai attuale. E i cristiani, che al cuore della loro fede hanno l’evento della morte del Signore e la fulgida speranza della Risurrezione, hanno anche la responsabilità e il servizio di tener viva la memoria della morte tra gli uomini. Non per cinismo, né per gusto del macabro, né per disprezzo della vita, ma per dare peso e saggezza ai giorni dell’uomo.
don Gianni