Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

L’éscamotage di Gesù…

Inserito il 19 Ottobre 2014 alle ore 12:01 da Plinio Borghi

L’éscamotage di Gesù per dribblare la domanda trabocchetto postagli da inviati dei farisei ed erodiani è tra i più noti, ma anche di un’estrema attualità. Sebbene i presupposti siano diversi (gli ebrei allora erano soggetti a pesanti imposizioni da parte dei romani), la domanda è sempre la stessa: “È lecito e fino a che punto pagare le tasse?”. Il Maestro, una volta sbugiardati gli interlocutori, avrebbe potuto limitarsi a concludere: “Date a Cesare quel che è di Cesare”. Perché allora aggiungere: “E a Dio quel che è di Dio?” se non era stato interpellato in proposito? C’è, secondo me, una duplice ragione: una, richiamata anche nella prima lettura, che al centro del nostro agire c’è Dio e solo Lui, mentre noi troppo spesso Gli anteponiamo le nostre preoccupazioni, i nostri interessi, le nostre mire, adorando così ben altri dei (vedi I° comandamento); la seconda che Dio lo troviamo nell’amore al prossimo, nell’attenzione alle sue necessità, nel perseguire il bene comune, in poche parole nella Carità. L’evasione fiscale, quindi, è in contro tendenza rispetto a ciò e, nel defraudare la collettività, va a colpire proprio i più deboli, i poveri e i diseredati, che verranno in tal modo privati di servizi per loro essenziali. Il ricco, in un modo o nell’altro, se la cava, è meno soggetto al danno arrecato alla pubblica amministrazione. Per ciò il sottrarsi agli obblighi fiscali costituisce (per lui, ma anche per tutti, falsi invalidi compresi), oltre che reato, peccato gravissimo, tanto quanto quello di chi ruba o va per tangenti, peggio ancora se preposto al governo o al controllo (ogni riferimento alle vicende del MOSE o dell’EXPO è voluto e non casuale). Lasciamo alle leggi degli uomini le sottigliezze circa il peso tra elusione o evasione e pure se lo si sia fatto per sé o per il partito: per un sedicente seguace di Cristo non c’è differenza. Gesù ha dato come sempre una proiezione universale alla sua parola nel dire: a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, perché in definitiva le due direzioni sono parallele e, direbbe il Moro di augusta memoria, convergenti. Arrampicarsi sugli specchi con speciose giustificazioni non fa che danneggiarci le unghie, infastidire le orecchie ed assimilarci ai furbastri di allora, che il Messia ben definisce ipocriti.

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