Negare il perdono è tagliare il ponte
Inserito il 21 Novembre 2014 alle ore 18:43 da Don Gianni AntoniazziTrent’anni fa si diceva che il primo compito del parroco era il servizio alla Parola e all’Eucaristia. Oggi si dovrebbe aggiungere la capacità di mantenere unita la gente. È forse l’urgenza per ogni educatore.
Ce lo siamo detti più e più volte: viviamo in un tempo di rabbia e rancore. I segni li troviamo su giornali, radio, tv e, soprattutto, internet. Riconosciamo che anche fra cristiani facciamo spesso fatica a vivere la correzione e la riconciliazione fraterna. Perché mai dobbiamo imparare a perdonarci l’un l’altro? Che convenienza c’è a non vendicarsi? Da uomo, prima ancora che da prete, credo profondamente in alcuni detti proverbiali, come: “Chi non perdona spezza il ponte sul quale lui stesso dovrà passare”. Ad esempio, distrutto il legame con la moglie viene meno il sostegno nella necessità: la Bottega solidale è piena di persone che si sono isolate. Ancora: “Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che il prigioniero eri tu”. Verissimo: la rabbia fa prigionieri noi che la proviamo, non gli altri. E da ultimo: “Un uomo che medita la sua vendetta mantiene sempre le ferite sanguinanti”. Sperimentato anche questo più volte e se ancora non lo abbiamo capito la vita ce l’insegnerà a caro prezzo. Ma, da cristiani, c’è una considerazione che supera le altre: un giorno saremo portati al giudizio di Dio. Quella sarà un’atmosfera di misericordia, perché Lui è un Padre che ha cura di noi. Ma se non avremo imparato fin d’ora a perdonarci e sostenerci l’un altro, la misericordia di Dio per noi sarà un gas fra i più velenosi.
Come non riflettere?
don Gianni
Gent.mo Gianni ti scrivo da ex parrocchiana, ma soprattutto da grande tua amica, e condivido pienamente tutto ma proprio tutto ciò che scrivi, ma un dubbio tuttavia mi sorge spontaneo : quando siamo in presenza di vero perdono ? Il perdono tra due persone si può compiere se si rifiuta a priori qualsiasi forma di chiarimento ?
Oppure se dei terzi, anche sacerdoti, nel ruolo di mediatori, rifiutano espressamente la possibilità che i due chiariscano apertamente i fatti?
Che valore può avere un incontro di perdono tra due persone dove il mediatore impone di chiudere a chiave la brutta storia nel “cassetto dei dispiaceri”, prescindendo dal voler conoscere a priori i fatti che l’hanno originata?
Riporto un pezzo di articolo dove Papa Francesco si esprime chiaramente sul dovere del cristiano a chiarirsi, che è all’origine del dubbio che ti ho appena esposto.
“Papa Francesco, fautore di questa logica dell’incontro, afferma, come si diceva, che la
verità del cristiano (e anche del non cristiano) è soggettiva e se la verità è soggettiva,
ciò significa che la si raggiunge soltanto mediante la dialettica. Vi è dunque un dovere,
che consiste nel mettere in comune questa parte della verità che sta in noi, e vi è anche
un diritto, quello di essere ascoltati dagli altri, perché il nostro apporto possa
contribuire alla comune ricerca e quindi al bene di tutti. Se la ragione è di ogni uomo, se
la parte di verità apportata da ciascuno ha sempre una dignità ed una importanza, non
bisogna rifiutare il dialogo, la dialettica , il transito delle idee da un uomo all’altro.
Quindi non è morale, e non è degno di un cristiano, sottrarsi a questo confronto.”
( tratto da Il Papa dà lezione di giornalismo http://www.zenit.org/it/articles/il-papa-da-lezione-di-giornalismo-ma-soprattutto-di-rispetto-per-la-liberta)
Ti ringrazio per aver letto queste righe, anche perchè questo mio non è uno sfogo, ma un profondo desiderio di trovare la verità per la mia serenità.
Ciao Elvia