E daje con ‘sti poveri!
Inserito il 24 Gennaio 2016 alle ore 12:10 da Plinio BorghiE daje con ‘sti poveri! Abbiamo lasciato Gesù “povero” nella mangiatoia e già ce lo ritroviamo nel suo esordio nella propria città ad annunziare “ai poveri” la buona novella. Più avanti dirà “beati i poveri”, poi che solo “i poveri” possono salvarsi, quindi ci sarà il “povero” Lazzaro col ricco epulone e via di questo passo. Ciliegina sulla torta la storia del cammello e la cruna dell’ago, tanto per far capire ai ricchi che non c’è trippa per gatti. Ce n’è abbastanza da mettere in crisi anche il tapino che ha qualche soldo messo da parte! Se leggiamo per intero la frase del vangelo che Luca ci propone oggi, tratta dal libro del profeta Geremia: “..per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi..”, ci prende pure un inizio di depressione se ci accorgiamo di non appartenere ad alcuna di queste categorie. Allora che senso ha il messaggio di Paolo nella seconda lettura, quando dice ai Corinzi che ci siamo tutti abbeverati a un solo Spirito, quello stesso Spirito che ha unto e inviato Gesù, nel quale ci identifichiamo come membra di un solo corpo? Evidentemente la Sacra Scrittura non va affrontata in modo letterale, né va interpretata come fosse una legge dello Stato. È semplicemente un percorso che ci indica le condizioni per poter camminare sulla strada giusta e gli obiettivi da raggiungere. Gesù non è nato povero: il mestiere del padre a quei tempi consentiva una vita più che dignitosa. Né lo erano i fratelli di Giuseppe e la mangiatoia era il posto più caldo di una buona casa, come si è già detto. E neppure gli apostoli lo erano: avevano un lavoro, talora faticoso, ma più che redditizio. Gesù si è fatto povero perché ha assunto la nostra condizione umana. I discepoli si sono fatti poveri perché hanno lasciato tutto ciò che rendeva la loro vita sicura e abbracciato la causa del Messia. Noi, per natura, siamo prigionieri (dei nostri difetti, dei nostri desideri, ecc.), oppressi da ciò che ci affanna e ciechi perché non riusciamo a vedere la via per la salvezza. Il Salvatore è venuto a indicarcela, ma per seguirlo dobbiamo farci poveri, liberarci cioè da tutti gli orpelli che appesantiscono il cammino, a partire dall’individualismo e dal comodo soggettivismo. La povertà è quindi una condizione dell’anima che ci consente di accogliere il nuovo messaggio che Cristo ci consegna. A noi il compito di predisporci a riceverlo; il resto viene da sé, perché quell’annuncio, quella liberazione, è per tutti.