Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

La canonica è sempre aperta

Inserito il 8 Novembre 2017 alle ore 19:48 da Don Gianni Antoniazzi

Chi viene in parrocchia sa di poter trovare qualcuno che accoglie alla porta dalle 5.45 alle 22.30. S’incontra un clima sempre familiare e ci si stupisce se qualche volta, per un caso, non fosse così.

Chi di noi si mette in contatto con un ufficio pubblico o è costretto a risolvere un’urgenza per acqua, luce o gas sa che, nonostante i moderni mezzi di comunicazione, è difficile parlare con la persona interessata. Qualche volta il numero squilla a vuoto, altre volte si trova una voce che ripete di attendere, ma invano. Talvolta c’è una risposta automatica, quasi mai efficace per il nostro problema. È quasi impossibile trovare direttamente un operatore. Se poi è necessario raggiungere una figura di rilievo, sembra di doversi mettere in ginocchio. Mi sembra che invece questa canonica sia sempre aperta. È proprio come una famiglia in mezzo a tante famiglie della parrocchia. La gente dà per scontato che qualcuno apra o risponda: dal mattino fino alla sera tardi. Così pure la chiesa: le porte sono sempre spalancate ad accogliere chiunque fosse di passaggio. È raro non trovare alcuno. Magari al telefono qualcuno potrebbe presentarsi senza tirarla per le lunghe. Forse qualche altro potrebbe suonare il campanello in orari più consoni, visto che quasi mai vi sono urgenze, ma nella sostanza va più che bene così: noi preti ci sentiamo parte di una comunità viva che respira in tutte le ore del giorno. C’è anche da ringraziare Dio per la disponibilità di tanti laici che durante tutta la settimana, compresa la domenica mattina, assicurano questo servizio di accoglienza: è un servizio fatto a Cristo. L’atto più alto e più fecondo della libertà umana sta, infatti, più nell’accoglienza che nel dominio (Jacques Philippe).

don Gianni

Millantare credito…

Inserito il 5 Novembre 2017 alle ore 10:21 da Plinio Borghi

Millantare credito è una pratica diffusa nella nostra società, giacché va di pari passo con la difficoltà ad essere sé stessi, a presentarci per quello che siamo. Ne abbiamo facile riscontro nel campo del commercio e nella relativa pubblicità: se dovessimo prendere per buono tutto quello che ci propinano non conteremmo le conseguenti fregature; invece siamo costretti a farne almeno la radice quadrata. Un tempo il concetto era ben riassunto nella famosa frase in lingua locale: “Xe come domandarghe a l’osto se ‘l vin xe bon!”. Non parliamo poi dello spreco di titoli che girano indebitamente, derivati spesso da un fugace approccio a qualche incarico (dagli onorevoli in giù è un florilegio), ma spesso nemmeno da quello e costruiti ad arte per impressionare gli interlocutori: abbiamo in circolazione più presidenti che automobili! Anche se conseguiti regolarmente, vengono sovente sbandierati in maniera strumentale; non siamo più al “lei non sa chi sono io”, altrimenti al giorno d’oggi incrementerebbe in maniera esponenziale la produzione di pernacchie, ma siamo lì con forme più sottili. Anche nell’ambito della gerarchia ecclesiastica si è teso più di qualche volta a sovrabbondare e a spacciare come conseguito per meriti qualche titolo onorifico invece acquistato. E pure qui talora di quelli effettivi si fa sfoggio nell’abbigliamento (rigorosamente previsto dalle norme) senza ragioni di sostanza. Papa Francesco ha richiamato spesso alla sobrietà e al ritorno all’essenziale. Ce n’era proprio bisogno? Il vangelo di oggi dimostra non solo che il problema è atavico, ma che basterebbero le parole di Gesù a riportare le cose a più miti pretese: “Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro … E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo …”. Senza contare come aveva redarguito scribi e farisei poco prima: “… Amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze …” e non si comportano come predicano. La prima lettura è ancora più pesante con i sacerdoti che non ascoltano la parola del Signore: “Cambierò in maledizione le vostre benedizioni”. Non sono moniti rivolti ovviamente solo al clero, come potrebbe sembrare. Infatti Paolo offre come sempre alcuni spunti comportamentali per agire da persone che hanno ascoltato e assimilato il Vangelo. Varrebbe la pena di ripercorrere, magari a casa, con calma, tutti e tre i testi e farne tesoro.

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