Inserito il 10 Dicembre 2017 alle ore 10:27 da Plinio Borghi
Maria, pilastro dell’Avvento. Dicevo la volta scorsa che l’Avvento è attesa e perciò abbisogna di predisposizione e di concentrazione, di tensione, appunto. Il periodo di gravidanza è uguale: basti pensare a tutte le emozioni e i sentimenti che prova una futura madre in quelle condizioni. Figurarsi se per Maria non doveva essere ancora di più, non solo per essere anche vergine e non sposata, ma soprattutto per essere stata catapultata in un ruolo a dir poco incredibile: diventare madre del Salvatore! Se ne sarà resa conto fino in fondo? No di certo, ma ha capito che il Signore da lei voleva qualcosa di grande e, come dovremmo fare tutti davanti al progetto che Dio ha su di noi, si è messa a completa disposizione. La sua è stata un’attesa attiva: ha dovuto spianare non pochi contrasti, specie col suo novizio Giuseppe; non ha esitato a mettersi in viaggio per assistere la cugina Elisabetta, molto più anziana di lei; quasi alla fine si è messa ancora in moto per il censimento e, non bastasse, ha partorito nelle condizioni più disagiate. Tanto per limitarsi al solo periodo di attesa, senza contare il dopo. Mai per un istante ha comunque dubitato della validità del compito al quale era stata chiamata. Merita quindi una posizione particolare come riferimento e come esempio anche nel nostro percorso d’Avvento e giustamente la liturgia ha collocato la sua festa più significativa nel bel mezzo di questo periodo. Altrettanto giustamente il brano del Vangelo che si legge nella solennità dell’Immacolata è il medesimo della IV domenica. Oggi invece fa eco all’esempio di Maria la voce di Giovanni il Battista, tratta dall’incipit del vangelo di Marco (l’Evangelista che ci accompagna quest’anno), che dal deserto incita al pentimento per accogliere degnamente la salvezza che è ormai vicina. Giovanni impersona quel “messaggero” preconizzato da Isaia, che è incaricato di preparare l’arrivo del Messia e invita a spianargli la strada e a raddrizzargli i sentieri, metafora di una seria predisposizione dell’animo che dobbiamo adire se vogliamo essere anche noi, come Maria, un vero strumento di salvezza. Occorre a questo proposito altrettanta disponibilità e accondiscendenza piena: le mezze misure e i distinguo non servono e lasciano il lavoro a metà. Dio non voglia che la salvezza scelga allora altre strade e altri strumenti e ci cancelli definitivamente dai suoi itinerari: avremmo vissuto invano.
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Inserito il 6 Dicembre 2017 alle ore 15:45 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 10/12/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 6 Dicembre 2017 alle ore 14:41 da Don Gianni Antoniazzi
Il comitato sorto per iniziativa dell’avvocato Ugo Ticozzi, raccoglie un gruppo di persone non schierato politicamente, ma appassionato per il futuro di Mestre. Un’esperienza che merita di essere sostenuta di più.
L’Avvento ci chiede di riconoscere le realtà positive intorno a noi. È un esercizio difficile. Per natura il male fa più chiasso e anche i giornali riferiscono tante volte il peggio della nostra realtà. Se però abbiamo il cuore disperato e gli occhi gonfi di delusione, saremo come i due di Emmaus che non riconoscono il Signore vivo e operante né tantomeno la sua nascita.
È importante distinguere i segni di speranza e sostenerli. Uno di questi è, a mio parere, “Mestre Domani”, nato nella primavera di quest’anno. Vi partecipano persone libere da programmi di partito che hanno a cuore il futuro mestrino e la riqualificazione socio culturale della città. Conducono una attività politica appassionata e suggeriscono proposte per la realtà urbana del domani. Le loro idee hanno profonde radici nel passato, sono ancorate alle necessità del presente e meriterebbero più attenzione. Di recente, per esempio, hanno suggerito un impiego migliore per Villa Settembrini e per cui si attende ora la risposta della Regione Veneto.
Segnalo, con passione, l’attività di questo gruppo e mi domando se, per caso, qualche altro fra noi che ne avesse le capacità, non potesse unirsi al suo operato.
don Gianni
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Inserito il 3 Dicembre 2017 alle ore 11:51 da Plinio Borghi
Il richiamo del viola nei paramenti sacri e l’eliminazione della recita del “Gloria” durante la Messa, dopo l’atto penitenziale, sono, per noi profani, i segni più evidenti con i quali la liturgia ci fa capire che siamo entrati in uno dei tempi cosiddetti “forti”: l’Avvento. Nell’altro, la Quaresima, tempo penitenziale per eccellenza, si evita anche di recitare l’Alleluia. Mi sono sempre chiesto il motivo. Sul fatto del colore la risposta è più scontata, perché è sempre servito da richiamo alle varie celebrazioni: il rosso per i martiri e la Pentecoste; il bianco per il Natale, la Pasqua e le altre solennità, come quella dell’Immacolata che arriva fra cinque giorni; il verde per il tempo ordinario; una volta andava come il pane anche il nero per i funerali, per i quali oggi si preferisce declinare sul viola. Il viola, appunto, è per i tempi forti; un colore meno provocatorio, meno festoso, più contenuto, che richiede più concentrazione su ciò che ci induce a cambiare il registro delle nostre corde. Nella fattispecie caratterizza l’attesa del Messia, attesa che si rifà al lungo periodo intercorso fra la cacciata dei nostri progenitori dal paradiso terrestre, quando Dio promise che avrebbe mandato addirittura suo Figlio a riscattarci dal peccato, al momento della nascita del Salvatore, evento che ora non siamo qui a ricordare, bensì a vivere. L’Avvento è simbolo di ogni attesa, come quella della liberazione del popolo eletto dalla prigionia cui era stato relegato dopo la deportazione e che induce Isaia (prima lettura) a rivolgersi al Signore come Padre e Redentore, compiendo un importante atto di introspezione e di umiliazione per le colpe di cui il popolo si era macchiato. Il Profeta alla fine si affida completamente al suo Creatore per essere rigenerato: “Noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti siamo opera delle tue mani”. Ecco, un vero ritorno alle origini, per annullarci nella grande prospettiva della rinascita definitiva, che non sappiamo quando sarà, per cui dovremo vegliare e non farci sorprendere, come Gesù continua a ripetere ai suoi discepoli (vangelo): guai a trovarci addormentati o impreparati al momento topico! Anche San Paolo ci ricorda che in Cristo ci siamo arricchiti di ogni dono e pertanto sarebbe un peccato non presentarci irreprensibili alla manifestazione finale di nostro Signore. Quindi c’è bisogno di concentrarci in questi periodi forti ed è probabilmente per agevolarci che la liturgia si riduce all’essenziale.
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