Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

La cicala e la formica

Inserito il 4 Agosto 2019 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

La cicala e la formica, protagoniste dell’arcinota favola di Esopo, in effetti rappresentano bene la dualità di comportamenti di noi esseri umani, fatte salve le varie sfumature che intercorrono tra un atteggiamento e l’altro. A differenza dei due simpatici animaletti, noi siamo però in grado di giustificare le nostre scelte di vita contraddittorie appigliandoci alle più disparate motivazioni. La più ovvia è che se siamo oculati e sparagnini non è per attaccamento alle cose o per avarizia, bensì per non fare la fine della cicala; di contro se viviamo superficialmente e prendiamo la vita come viene, all’insegna della spensieratezza, del divertimento e “se succede qualcosa qualche santo provvederà”, non è per imprudenza, ma perché la vita è una sola ed è bene godersela. E poi non lo dice anche il Vangelo che non dobbiamo affannarci più di tanto perché il Padre che provvede agli uccellini e ai gigli non potrà lasciare noi suoi prediletti senza risorse? E non è proprio sul vangelo di oggi che “la formica” di turno progettava di accumulare l’abbondante raccolto costruendo granai più grandi, per poi vivere di rendita e alla grande e Dio lo stronca di brutto dicendogli che la notte stessa morirà? Nulla da dire: per arrampicarci sugli specchi non ci batte nessuno, specie se si tratta di non impegnarci. La verità è che escludere l’affanno non significa fregarsene di tutto e ancor meno sfuggire agli impegni: devono cambiare il senso per cui si fanno le cose e gli obiettivi, troppo egocentrici. Il nostro scopo non dev’essere solo questa vita, ma anche quella eterna e quindi, ce lo spiega il Maestro, dobbiamo arricchire agli occhi di Dio. E come? Mettendo il prossimo al centro della nostra attenzione: ogni cosa avrete fatto a uno di questi più piccoli l’avrete fatta a me. Va bene lavorare e accumulare, ma per il bene di tutti, come fanno appunto le formiche. Altrimenti, come dice anche Qoèlet nella prima lettura, tutto quello che avremo trattenuto a chi andrà? A chi non ha per niente collaborato e si premurerà solo di sperperare. Figurarsi se Dio ci spinge a fare le cicale! Meglio che rinfreschiamo la parabola dei talenti, per rammentare che di tutto il potenziale che ci ha fornito domani ci chiederà il conto e allora saranno cavoli amari se ci saremo limitati a congelare senza investire. Ci verrà risposto come la formica alla cicala: hai voluto irresponsabilmente cantare tutta l’estate? Adesso balla (magari sui carboni ardenti delle fiamme dell’Inferno)!

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