Inserito il 11 Marzo 2021 alle ore 17:05 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 11 Marzo 2021 alle ore 16:30 da Don Gianni Antoniazzi
In Italia, da 50 anni, il 19 marzo è la memoria di San Giuseppe e la Festa del Papà. La scorsa settimana abbiamo festeggiato la donna. Dedichiamo la copertina (di lettera aperta, NdR) al padre, consapevoli che Dio è Madre e Padre insieme
Massimo Recalcati, autorevole pensatore moderno, si è chiesto «cosa resta del padre» (2011). La società del “padre-padrone”, diffusa fino a metà del ‘900, è giustamente tramontata. Siamo però giunti alla “società senza padri”. Se il padrone è stato ucciso, con lui anche il padre. Per un lungo periodo, a partire dalla rivoluzione studentesca, chi fra noi avesse voluto essere presente nella vita dei figli, anche con sapienza, è stato scalzato, se non addirittura cacciato, estromesso, in un clima di pregiudizio sfavorevole alla figura paterna. Chi comunque ha voluto svolgere il proprio dovere, si è sentito talvolta a disagio e persino messo da parte.
In questa stagione va di gran moda parlare di Genitore 1 e Genitore 2 e guai opporsi. Che senso ha dunque fare una Festa del Papà, discriminatoria tra l’altro verso le coppie di stesso genere? Meglio archiviare?
No, cari amici. Resta l’autorevolissima figura di Giuseppe, il giovanotto che per la propria famiglia ha avuto il coraggio di spendersi fino in fondo. L’ha fatto adottando il figlio. E a pensarci bene è il destino che abbiamo tutti: per diventare genitore bastano pochi istanti, per diventare padre serve il dono di una vita intera. Un dono che somiglia di più alla stabilità della roccia che alla mobilità di una bandiera. Un dono che conferisce personalità (non solo il cognome) e sicurezza sociale (non solo apertura alle mode). Un dono che mantiene giovane chi lo riceve e chi lo dà, anche se, di buon grado, mentre il corpo invecchia, il padre non cede a frivolezze.
Scrivo tutto in prima persona plurale perché anch’io, in qualche modo mi sento padre, pur con tutte le differenze del caso, e ne vado fiero…
don Gianni
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Inserito il 7 Marzo 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi
Comandamenti e Cristo crocifisso sono i due argomenti che la liturgia odierna pone all’attenzione e che in sostanza rappresentano i due poli fra i quali si articola la nostra fede, l’uno caposaldo del Vecchio Testamento e l’altro del Nuovo. Sul primo non c’è molto da aggiungere, se non che quegli stessi principi costituiscono ancora il riferimento basilare della nostra impostazione comportamentale. Lo stesso Maestro si premura a dire che lui non è venuto ad abolirli, bensì ad interpretarli diversamente. Sul secondo è San Paolo a porre in modo lapidario un distinguo fondamentale: a chi cerca segni particolari di prestigio, noi contrapponiamo Cristo crocifisso, cioè esattamente l’opposto che chiunque possa aspettarsi. Ecco la peculiarità del nostro credo! Infatti, da un’immagine di morte, la più vergognosa e la più negletta, scaturisce la fulgidità incomparabile di una vittoria sulla stessa. Solo Dio è padrone della vita e della morte e infatti nel vangelo di oggi, che ha per corollario la vicenda dei mercanti nel tempio, Gesù dimostra la sua divinità proprio con la sfida finale: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Non era facile per alcuno capire a cosa si riferisse e non è facile ancora oggi acquisire questo concetto, tanto che lo stesso evangelista si premura a spiegare che il Messia si riferiva al proprio corpo. Non è il caso tuttavia di pensare che nel suo dire il nostro Salvatore si sia limitato a un mero gesto di affermazione personale: il corpo di ogni uomo è tempio di Dio ed è destinato alla medesima resurrezione del Cristo; come tale va curato e rispettato, cominciando a non renderlo oggetto di mercato, di azioni denigratorie e svilenti, di strumentalizzazione materiale e ideologica e via dicendo. Qui tornano a fagiolo i Comandamenti cui si accennava all’inizio, nei quali sono preminenti appunto le disposizioni che riguardano la nostra persona e quella degli altri. Dio riserva in pratica al rapporto con Lui i primi tre e questo divario la dice lunga: è il riguardo per noi stessi e per il prossimo che qualifica il nostro rispetto anche per Lui. È poi quello che ha detto Gesù riassumendoli nei due comandamenti dell’amore. C’è abbastanza carne al fuoco, allora, per aggiungere un altro tassello a questo percorso quaresimale: confrontarci con le tematiche dei Comandamenti e adottare gli opportuni correttivi al nostro modo di agire.
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Inserito il 3 Marzo 2021 alle ore 17:15 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 7/3/2021. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 3 Marzo 2021 alle ore 17:00 da Don Gianni Antoniazzi
Lunedì 8 marzo è la Festa della Donna. È una ricorrenza “laica” ma il Vangelo ha cura di tutta la persona Ciò che umanamente è buono, è sacro anche al Signore. Visti i fatti di questi giorni la ricorrenza è preziosa
Dedichiamo questo spazio alla bellezza, al rispetto, alla dignità della figura femminile. Troppo viene calpestata da noi maschi. È importante che sui mezzi di comunicazione venga ribadita la condanna verso chi prevarica sulla donna.
All’inizio di Genesi, Dio guarda l’essere umano, cioè la persona: dice che è davvero “cosa molto bella”! Passano pochi versetti, lo guarda nuovamente e giunge al rovescio: “non è bello” che la persona “sia sola”. In effetti, senza una distinzione fra maschio e femmina ciascuno potrebbe bastare a sé stesso. Dio immagina la ricchezza del genere maschile e femminile, figli della stessa costola, cioè dello stesso principio vitale. Il maschio (אִשׁ, ish) non è completo; così pure la donna (אִשָּׁה, ishàh, nome duale) ha lo stesso sentimento. Ciascuno, allora, accetta il rischio di uscire da sé stesso, di deporsi con fiducia nelle mani dell’altro per ritrovare la totalità. In questo dinamismo nuovo che lega i diversi, sorge la vita, in ogni senso. Sennonché, subito il maschio comincia a prevaricare: “Osso mio e carne mia” esclama; senza che fosse richiesto si permette anche di dare il nome. Non si capisce perché si comporti così, dal momento che alla nascita dei generi tutto era sottomesso al mistero del sonno. Dunque: secondo il racconto sapienziale e simbolico, la fatica esiste fin dal principio. Per questo bisogna lasciare il passato, “padre e madre”, e coltivare un rapporto di coppia nuovo. Ce la faremo?
Rincresce dire che nel 2021 siamo ancora molto indietro rispetto a quanto indicato da Gesù nel Vangelo. Spesso è colpa di noi maschi, che non solo dovremmo lasciare più parola alle donne, ma, prima ancora, dovremmo ascoltare quel che dicono.
don Gianni
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