Inserito il 9 Maggio 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi
I paragoni valgono, eccome! Ovviamente se posti in termini corretti, cosa che, tendenzialmente, non ci riesce tanto facilmente, portati come siamo a trasformarli tout court in giudizi. Oserei dire che in assenza di parametri di riferimento viene meno anche ogni capacità di valutazione, con la conseguente privazione di qualsiasi stimolo. Il paragone, come tale, non deve generare invidia, ma la presa d’atto di una realtà per approdare, se del caso, a una sana emulazione o, ancor più, a far meglio. Chi è tronfio di sé stesso ritiene di non aver nulla da imparare dagli altri, che anzi è portato a guardare dall’alto in basso, e perde in tal modo l’occasione di arricchirsi e migliorarsi. Purtroppo i media ci stanno subissando di queste figure negative, tuttologi che esprimono una sicumera fastidiosa, specie se continuano a parlarsi addosso senza tenere in alcun conto il contributo altrui, quando non cerchino anche lo scontro, piuttosto che favorire il confronto. Durante questa pandemia, poi, il florilegio di simili personaggi si è evoluto, alimentato dal protagonismo e da esigenze di spettacolo sempre utili all’audience. Tuttavia, non meravigliamoci più di tanto: il fenomeno non è che la proiezione del nostro stesso modo di essere e non da oggi. Una cosa è certa: non è foriero d’amore, anzi, va proprio nella direzione opposta e finisce per veicolare invidia e grettezza. Oggi la liturgia ritorna su quello che dovrebbe essere lo stile di ogni cristiano: agire per amore, amarsi gli uni gli altri come criterio che identifica e caratterizza la sequela di Cristo. E se insiste a battere questo tasto è perché non è cosa facile, tuttavia è imprescindibile. Anche Gesù, a scanso di equivoci o interpretazioni limitative, ricorre nella fattispecie a un paragone, che diventa non solo vincolo, ma stimolo per un massimo irraggiungibile: “come”. Dopo aver raccomandato ai suoi di rimanere nel suo amore, osservando i suoi comandamenti, nello stesso modo in cui Egli è rimasto nell’amore del Padre, realizzando fino il fondo il suo progetto, aggiunge: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Non potrà mai essere che alcuno di noi ci riesca, troppo grande arrivare a dare la vita e, anche fosse, lo spessore del nostro Maestro sarebbe semplicemente ineguagliabile. Appunto per questo il termine di paragone pone un’asticella che non ci consente mezze misure. Sta a noi sublimarla nella sequela puntando a raggiungerla.
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Inserito il 5 Maggio 2021 alle ore 20:02 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 9/5/2021. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Lettera aperta e altre informazioni sulla parrocchia possono essere consultate anche tramite il nostro bot Telegram ufficiale:
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Ricordiamo che in coda al foglio vengono pubblicate le pagine dedicate alla parrocchia della Santissima Trinità di via Terraglio 74/C (Mestre – VE) guidata da mons. Fabio Longoni.
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Inserito il 2 Maggio 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi
Qui, o tutti o nessuno: il “si salvi chi può” vale in un naufragio o in una qualsiasi calamità naturale, ma in presenza di una pandemia, checché ne dicano i detrattori, non esiste che qualcuno pensi di sfangarla da solo. Lo continua a ribadire anche il Papa e non per un generico senso di solidarietà: mai come in questi momenti si percepisce così bene il concetto di unitarietà di tutta l’umanità. In altri frangenti l’egocentrismo, il senso di autosufficienza, il fastidio di dipendere dagli altri ci inducono a prendere le distanze, a pensare per sé, a ritenere di non aver bisogno di alcuno, e ciò scatena le più classiche presunzioni di furbizia. Dopo più di duemila anni, si fa ancora fatica a digerire bene il discorso di Menenio Agrippa e anzi lo si ritiene diretto ai babbei. Eppure non c’è espressione della natura che non dimostri l’interdipendenza di ogni fenomeno: le conseguenze del surriscaldamento del clima non sono che l’esempio più immediato. Eppure qualcosa deve averci fatto capire il processo di globalizzazione, per cui se la Russia sternuta la Patagonia va a letto con l’influenza. Allora? Tutti responsabili, nessun responsabile? Eh no, troppo comodo! Ancora una volta Gesù entra a piedi uniti e in modo inequivocabile nella questione, prendendo spunto da un elemento naturale e di una semplicità disarmante: la vite e il suo ciclo produttivo. In noi profani il pensiero corre subito al vino o al massimo ai bei grappoli maturi, ma gli agricoltori sanno benissimo quanta attenzione ci voglia a monte per ottenere un risultato apprezzabile. Il nostro Maestro ci mette a disposizione un elemento in più, che ci rassicura e nello stesso tempo ci impegna: “Io sono la vite e voi i tralci”. In buona sostanza, se vogliamo far frutto, lì dobbiamo stare attaccati e accettare di essere anche potati, perché questo serve a migliorare la produzione. Se il tralcio si monta la testa e pensa che quel che conta sia solo lui, che regge il prodotto tanto desiderato, è destinato a una fine vergognosa: s’inaridisce, si secca e sarà buono solo per alimentare il fuoco. Il fatto poi che conti solo se è un tutt’uno con la vite non è una diminutio, anzi, giustifica e valorizza il ruolo della vite stessa. Gesù ancora una volta ci fa capire che ha bisogno dell’uomo, ha bisogno della nostra testimonianza affinché il suo progetto abbia un senso. Ha bisogno di un’umanità che non si distrugga nella contrapposizione. Non a caso identifica nell’agricoltore il Padre stesso. Siamo nelle sue mani, siamo in buone mani.
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