Vivacchiare o vivere?
Inserito il 16 Gennaio 2022 alle ore 09:55 da Plinio BorghiVivacchiare o vivere? Domanda retorica: chi mai vuol accontentarsi di sopravvivere o di vivacchiare senza almeno tentare di fare il possibile per realizzarsi al meglio? Ci pensano già le avversità a segarti le gambe e a far sfumare tanti sogni che non c’è bisogno di tarparsi da soli anche le ali della speranza. In più, il senso di responsabilità ci obbliga a fare il massimo per corrispondere al dono della vita. D’altronde è anche una questione di buon senso: a fare le cose male si fa la stessa fatica che a farle bene, ma nel primo caso sarà sempre una pena infinita mentre nel secondo si apre l’evenienza di vivere anche di rendita. La vita è come il motore di un’automobile: a usarlo bene e a tenerlo allegro rende il mezzo sempre più prestante; ad abusarne o a trascurarlo finisci per arrancare e restare in panne. Perché tutta questa premessa? Perché noi cristiani abbiamo in serbo un’altra domanda retorica che riguarda l’altra vita che ci attende: può il Signore che vuole quanto sopra da noi non pretendere analoga tensione per entrare alla grande anche nel suo Regno? Ancor meglio, può Egli accontentarsi di un epilogo mediocre, con tutto quello che ha fatto e fa per introdurci in un banchetto ricco e abbondante? Certo che no ed è questo il segnale che mi par di cogliere dalla liturgia di oggi, che verte sul miracolo di Gesù alle nozze di Cana. Esordire con la “mera” trasformazione dell’acqua in vino, come lo si ricorda comunemente, sarebbe da effetti speciali. In realtà in quelle nozze ci siamo noi, in veste di convitati, ma anche nell’allegoria delle giare, che il Maestro fa riempire di acqua fino all’orlo. L’acqua è simbolo di quella felicità della quale saremo colmi, però la loro grandezza dipende da noi e da come avremo investito nella nostra esistenza. Pure nell’immagine della sposa ci siamo noi, come sua Chiesa e Lui è ovviamente lo Sposo, che alla fine ci riserva il vino più buono: al Messia non vanno le mezze misure, vuole il massimo, sulla scia del suo esempio che, per salvarci, non si è lesinato né facendosi povero (carne) come noi né versando fino all’ultima goccia di sangue per salvarci. Non abbiamo alibi per elusioni tattiche. L’episodio si conclude, infatti, con “manifestò la sua gloria e i discepoli credettero in lui”. A latere, anche Maria esordisce nel suo ruolo d’interceditrice e siamo sempre noi quei servi ai quali ordina: “Fate quello che vi dirà”. È la chiave di lettura della lieta novella: appoggiamoci a Lei per interpretarla a dovere.