Lettera aperta del 10 luglio 2016
Inserito il 6 Luglio 2016 alle ore 16:10 da Redazione CarpinetumAbbiamo inserito nel sito lettera aperta del 10/7/2016. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 10/7/2016. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Alcuni parlano di difficoltà al monastero di clausura “S. Maria Addolorata” di Carpenedo. La notizia si diffonde ed è giusto precisarne i limiti. Cinque anni fa le monache, Serve di Maria Eremitane Scalze, erano 8. Due sono morte e 2 sono state ricoverate già da tempo.
Ne erano rimaste dunque 4. Suor Maria Francesca, badessa, Madre Superiora, da qualche tempo è ricoverata al centro Nazareth per difficoltà di deambulazione. Anche Suor Maria Gioacchina, cuoca, è caduta e non si è più ripresa. È stata lei pure ricoverata al Nazareth.
Suor Maria Pia, Madre Vicaria, avanti negli anni, andrà forse a Roma dove ha fatto il noviziato. Suor Maria Elisabetta, anch’essa di età avanzata, potrebbe andare invece a Verona, dove ha trascorso la giovinezza. Le ultime due, ancora presenti in monastero, sono supportate da una monaca di Verona che, a rotazione con altre, permette in qualche modo la sussistenza della comunità monastica. In questo modo però non ci sono i presupposti perché la comunità monastica possa continuare.
Si pensava di attendere il Capitolo dei Servi di Maria e a gennaio 2017 prendere qualche decisione. È chiaro però che, stando così le cose, i tempi potrebbero essere anche più rapidi. Questo scriviamo visto il grande numero di persone della comunità cristiana legate alle nostre care monache e per chiarezza verso chi avesse qualche cosa da aggiungere. Se vi saranno sviluppi torneremo sull’argomento. Le monache hanno tanto pregato per noi, sosteniamole ora noi con la preghiera.
don Gianni
Nota della redazione: su lettera aperta del 10 luglio 2016 pubblichiamo approfondimenti circa la storia del Monastero e le prospettive in caso di chiusura.
I testimoni di Geova, che vediamo transitare nelle nostre strade e che suonano con una certa cadenza al campanello della nostra porta, sembra abbiano letto con attenzione il brano del vangelo che la liturgia di oggi ci propone, sebbene nei fatti ne utilizzino solo alcuni aspetti e in termini sostanzialmente distorti. Hanno preso per buono il girare a due a due e l’annuncio del Regno, ma lo fanno con aria di superiorità ed esclusività, non certo come agnelli in mezzo ai lupi; soprattutto, non scacciano demoni e non guariscono ammalati. I discepoli descritti dal vangelo, invece, sono investiti degli stessi poteri del Messia: offrono la pace e se questa non viene accettata se ne vanno (senza tornare ad insistere) scuotendo anche la polvere dai loro calzari. Un piccolo appunto: chi sono i discepoli? Sono quelli che hanno uniformato la loro vita su quella del Maestro, che hanno accettato le condizioni che Gesù poneva domenica scorsa; sono l’Eliseo sul quale Elia getta il suo mantello in segno di trasferimento del potere e di continuità del ruolo. Non sono scolari avulsi o seguaci curiosi ovvero apprendisti del mestiere: hanno fatto propria la vita e la croce dell’Unto di Dio. Per ciò, nella “prova generale” di apostolato alla quale il Salvatore li invia, giunto ormai all’epilogo della sua esperienza terrena, li investe di tutte le sue facoltà, istruendoli pure su questioni di metodo: non portare borsa né bisaccia, non fermarsi per strada, non passare di casa in casa, accettare quello che viene loro offerto da mangiare, prima di tutto curare i malati e poi annunciare che il Regno è vicino. E qui la domanda retorica sorge spontanea: quanti nei secoli seguenti, pur sedicenti discepoli di Cristo, hanno adottato questo comportamento? Se così fosse stato, la politica e la stessa presenza di Papa Francesco sarebbero del tutto superflue. È pur vero che i limiti della nostra umanità ci portano a deviare, se non fosse che qui purtroppo abbiamo invertito del tutto la rotta. Anche i settantadue di allora tornarono alquanto gasati nel constatare in particolare come riuscivano a folgorare i demoni, ma Gesù spegne i loro entusiasmi sbagliati (“el ghe dà ‘na stuada”, si direbbe più efficacemente in veneto): “Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Teniamolo a mente quando siamo tentati, soprattutto nel fare del bene, di gratificarci con momenti di compiacimento.