Inserito il 28 Giugno 2020 alle ore 10:01 da Plinio Borghi
“Non son degno di te, non ti merito più..” cantava ai miei tempi Gianni Morandi. E siccome mi succede spesso che leggendo o sentendo qualcosa di serio mi balzi alla mente qualche riferimento strano, aprendo la pagina del vangelo di oggi il collegamento è stato immediato. Non solo, ma quella che fino a un attimo prima l’ho sempre presa per una canzonetta normale, stavolta m’è apparsa come una vera e propria preghiera. In sostanza Gesù ci dice oggi: “Chi ama qualsiasi cosa e chiunque, fosse anche suo padre o sua madre, sua moglie o suo figlio, più di me non è degno di me”. Conoscendo la natura umana e ben sapendo con quale facilità inseguiamo ciò che ci attrae nell’immediato, ancorché effimero, mi riesce difficile, pur con tutta la buona volontà, pensare che l’amore per Cristo e la sua sequela prevalgano sentimentalmente sul resto o quanto meno non spontaneamente. Allora ce la mettiamo via e ce ne facciamo una ragione, relegando a qualche sporadico esame di coscienza la constatazione dei nostri limiti nei suoi confronti? Sarebbe un peccato, perché lasceremmo il privilegio solo ai pochi e presunti “eroi della fede”. È pensabile che il nostro divin Maestro intendesse essere così esclusivista? Domanda retorica: ovvio che no. E allora vediamola da un altro punto di vista: cos’è l’amore per i propri cari, per il prossimo, per le cose della vita se non un riflesso di quello di Dio per noi? Anzi, se noi facciamo discendere dalla sequela di Gesù ogni nostro sentimento e ogni nostro interesse, automaticamente tutto ciò che esprimiamo è amore per lui. Allora sono convinto che lui ci dica: “Ama, ama sul serio, ama tutti, specialmente i più bisognosi d’amore, ama la vita, valorizzala, fai tutto non per tornaconto o meschinità o arrivismo e sarà il tuo modo di amarmi sopra tutto”. Domani è la festa dei santi Pietro e Paolo e il vangelo riporta il dialogo di Gesù con Pietro, al quale per ben tre volte chiede: “Mi ami tu?”. Al che l’apostolo finisce per agitarsi: sembra quasi una rivalsa per le tre volte che l’ha rinnegato prima di morire. Ma il Messia non è vendicativo e per tre volte, alla reiterata e decisa conferma di Pietro, gli risponde: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”. Ecco il modo di dimostrarlo, ecco il modo di ricambiare il sacrificio del Salvatore! A Pietro predirà anche il martirio, una sublimazione di questo amore, per sottolineare che la vita persa per lui, checché ne dica il mondo, è una vita guadagnata.
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Inserito il 24 Giugno 2020 alle ore 19:56 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 28/6/2020. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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https://t.me/ParrocchiaDiCarpenedoBot
Ricordiamo che in coda al foglio vengono pubblicate le pagine dedicate alla parrocchia della Santissima Trinità di via Terraglio 74/C (Mestre – VE) guidata da mons. Fabio Longoni.
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Inserito il 24 Giugno 2020 alle ore 19:49 da Don Gianni Antoniazzi
Le potenze di questo mondo sebbene apparentemente solide finiscono per crollare solo davanti a un Virus. La fede, seme umilissimo, mostra di saper attraversare i secoli e di sostenere le scelte della vita di chiunque.
In val Zoldana, ad Igne, c’è una sorta di ponte sospeso fra due pareti di roccia. A metà c’è il vuoto di un orrido. I primi passi vicino al pilone sono sicuri e stabili ma, poco più avanti, la struttura ondeggia: qualcuno si irrigidisce al punto da non guardare il panorama. Lo stesso vale per le seduzioni del mondo: dapprima sembrano solide, ma col tempo mostrano un altro volto. Poco per volta la gente si impaurisce e non contempla più la bellezza della vita.
La fede ha criteri diversi. Anche se nella proposta cristiana tutto sembra astratto e mancano riferimenti verificabili, col tempo si avverte che è salda e stabile. Certo: la stessa esistenza di Dio non è dimostrabile con criteri di laboratorio. Il cristiano però guarda in faccia Gesù, Signore morto e risorto. La sua persona ci mostra una robustezza straordinaria, inaudita. E nell’esperienza di fede i discepoli sperimentano la stessa fermezza.
In questi giorni celebriamo la memoria dei Patroni, Gervasio e Protasio. Figli del Vangelo, hanno dimostrato stabilità completa, quella di cui il mondo avrebbe tanto bisogno e oggi chiede da noi cristiani.
don Gianni
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Inserito il 21 Giugno 2020 alle ore 10:33 da Plinio Borghi
Quante fregature! A volte sono pressoché istintive, figlie del nostro innato egoismo, che tende a far andare le cose, per quanto possibile, a nostro favore, anche a danno degli altri. Altre sono volute e orchestrate con disinvoltura, senza alcun ritegno, non di rado per perseguire disegni turpi. E infatti fin dai bambini ci si perita d’insegnare a rapportarsi con gli sconosciuti con molta diffidenza, per non cadere in tranelli, che mutano nel tempo, ma evidentemente esistono da sempre. A mano a mano che si cresce, si impara a discernere con la maturità necessaria, pur mantenendoci sulla scia del famoso detto “fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio”. Pure in questo campo la gamma delle tipologie è molto vasta e non risparmia alcun settore, a tal punto che la classica patacca di borbonica fattura finisce per divenire così veniale da trasformarsi talora in uno stimolo educativo per i farlocchi, il classico “descantabauchi”. Il guaio è che l’uso di mezzi più sofisticati e aggiornati continuamente mette in difficoltà proprio le categorie più deboli e sprovvedute, che non sanno più che pesci pigliare, anche perché i mezzi di difesa propagandati a volte sono ancor più complicati (specie se si tratta di usare i telefoni senza interlocutori diretti). A rimetterci in definitiva sono i rapporti sociali (soprattutto se poi a fregarti sono proprio gli amici!), che tendono via via a inaridirsi a causa di una progressiva diffidenza a volte esagerata. Ha un bel ragionare Gesù nel vangelo di oggi “Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto”: nel frattempo chi ci è cascato se la mangia. Il fatto è che qui la Parola va oltre. I furbi o chi crede di esserlo ci sono sempre stati e nella prima lettura Geremia ne offre uno spaccato interessante, prodromo del “Gatto e la Volpe” di collodiana memoria; ma il profeta sa di lottare col Signore al suo fianco e, sicuro di sé, finisce per confonderli. Il Maestro intende rassicurarci che c’è sempre Qualcuno che non ci ingannerà mai e al Quale possiamo sempre affidarci, per non essere sopraffatti: è il Padre nostro che conosce ogni passero e ogni filo d’erba. Potrà Egli trascurarci, noi che siamo i prediletti? Quando afferma che “persino i capelli del vostro capo sono tutti contati” non è la classica iperbole, ma vuol significare la misura del nostro abbandono totale a Lui, forza inesauribile per far fronte alle nostre debolezze. Certo non è un talismano contro la malasorte. Qui è la fede la carta vincente.
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Inserito il 17 Giugno 2020 alle ore 14:45 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 21/6/2020. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 17 Giugno 2020 alle ore 14:44 da Don Gianni Antoniazzi
Il 19 giugno era anche la festa dei patroni Gervasio e Protasio, due giovani che hanno rinunciato a tutto per il Vangelo e nel fiore dell’età hanno affrontato il martirio. Esempio concreto di una fede non verbosa
Comunque la si voglia interpretare, la vita di Gervasio e Protasio risuona di una concretezza scandalosa. Non hanno parlato del Vangelo. L’hanno semplicemente messo in pratica. Quando i loro genitori furono uccisi per la fede in Cristo, non pensarono alla vendetta. Al rovescio: decisero di attuare in modo radicale i consigli di Gesù, distribuendo i beni ai poveri. Quando la durezza della persecuzione si fece aspra non si nascosero dietro un paravento di idee teologiche, adatte ad ogni circostanza e capaci di giustificare l’equilibrio di ogni scelta. Decisero che sarebbe stato un onore offrire la vita per Cristo e così andarono incontro al martirio. Loro che avevano molto da perdere fecero il possibile per rendere concreto e credibile il Vangelo.
Siccome venerdì 19 giugno, nella giornata della loro memoria, il calendario liturgico prevede quest’anno la celebrazione del Sacro Cuore di Gesù, ricorderemo i nostri Patroni alle S. Messe di domenica 28 giugno. La celebrazione delle 10:45 sarà all’esterno, in patronato.
Credo fermamente che la nostra povera Italia abbia grande bisogno di concretezza: il linguaggio del governo e dell’opposizione diventa credibile se accompagnato da una fattiva ricerca del bene comune. Anche la nostra fede deve trovare strade per la realizzazione quotidiana. Il Vangelo, infatti, funziona come una partitura: se ne può discutere quanto si vuole, ma solo la musica suonata rende merito all’autore. Solo il Vangelo vissuto fa risplendere Cristo Signore che opera fra noi.
don Gianni
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Inserito il 14 Giugno 2020 alle ore 10:00 da Plinio Borghi
Il sostentamento è il minimo comun denominatore richiesto da tutti gli aspetti che sono propri della nostra natura e delle azioni che li accompagnano. Il più immediato su cui porre l’attenzione è quello fisico, verso il quale abbiamo dei doveri imprescindibili per la nostra sopravvivenza. Pensiamo al tempo che dedichiamo a nutrirci ed ai vari obblighi che mettiamo in atto per farlo, a partire dal lavoro per guadagnare la pagnotta fino alla minuziosa ricerca d’ogni forma gradevole per mangiare volentieri (caliamo pure un velo pietoso su tutte le invadenti rubriche cartacee e audio televisive dedicate al cibo e alla cucina), e abbiamo già dimensionato il problema. Se poi allarghiamo l’ottica a qualsiasi nostro interesse turistico o sportivo avremmo la conferma che provvedere all’adeguato sostentamento è la prima cosa che teniamo a garantirci: nello zainetto per una semplice escursione non manca il posto per il panino e la bibita! Un altro problema che in questa fase ci sta particolarmente preoccupando è l’economia e la miriade di provvedimenti messi in atto per sostenerla sono lì a confermare una priorità che sfida persino il pericolo del contagio: il disastro sociale che incomberebbe è innegabile e più micidiale del corona virus. Lo stesso titolo al sostentamento lo rivestono quindi la mente, la cultura, l’istruzione, la salute e via dicendo e infine, non ultimo, lo spirito, la forza del quale, adeguatamente corroborata, stimola e rivaluta anche tutti gli altri aspetti. Oggi la liturgia pone alla nostra attenzione ciò che ne costituisce l’alimento per eccellenza: il Corpo e Sangue di Cristo. Ce n’era proprio bisogno? Non ci sono in ciascuna celebrazione della S. Messa la Parola a rafforzare la nostra fede e l’Eucaristia di cui ci cibiamo, in comunione con i fratelli, esigenza ineludibile se vogliamo uno spirito saldo e determinato a raggiungere il proprio compimento nella vita eterna promessa? È vero, ma c’è anche bisogno d’una testimonianza forte in tal senso: chi frequenta la Messa è già “conquistato” alla causa e, di contro, il mondo ha bisogno di segnali forti per comprendere e uscire dalla propria indifferenza. Non a caso a certe ricorrenze sono legati momenti particolari, come nella fattispecie è sempre stata la tradizionale “processione del Corpus Domini”. Le parole che Gesù proclama ai Giudei increduli sono la chiave che racchiude il messaggio da amplificare: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Forte e chiaro.
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Inserito il 10 Giugno 2020 alle ore 15:15 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 14/6/2020. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Lettera aperta e altre informazioni sulla parrocchia possono essere consultate anche tramite il nostro bot Telegram ufficiale:
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Ricordiamo che in coda al foglio vengono pubblicate le pagine dedicate alla parrocchia della Santissima Trinità di via Terraglio 74/C (Mestre – VE) guidata da mons. Fabio Longoni.
Nota: nelle ultime due settimane, per un disguido tecnico, è mancato in questo blog l’annuncio della pubblicazione di lettera aperta, che comunque è avvenuto regolarmente nel sito. Ce ne scusiamo con i visitatori.
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Inserito il 10 Giugno 2020 alle ore 15:07 da Don Gianni Antoniazzi
Celebriamo il Corpus Domini, nome legato a processioni, fiori, incensi e baldacchini. Pare un mondo lontano. Eppure il mistero è attuale: Dio ci dona realmente la vita purché restiamo fratelli senza arroganze e divisioni
Per mesi siamo stati senza la Messa. Personalmente ne ho sofferto. Ogni giorno ho celebrato l’Eucaristia con don Mario e la domenica l’abbiamo trasmessa su YouTube. Quando facevamo la Comunione era a nome di tutti. Senza la comunità dei fratelli, però, mancava “il più”, perché l’Eucaristia è la Pasqua di Gesù offerta a ciascuno. La salvezza è per tutto il gregge e, se manca qualcuno, nessuno è contento.
Adesso abbiamo ripreso le celebrazioni e siamo oramai al Corpus Domini. È l’occasione per capire di più la Comunione, culmine e fonte del nostro legame con Gesù Signore. Direi solo questo: già prima del Covid la nostra società era malata di individualismo. Ciascuno si sentiva “re” o “regina” sopra gli altri. La pandemia ha rafforzato quest’idea: molti hanno pensato che la vita individuale fosse più pura e preservasse dal contagio.
Ora che il Covid si è affievolito, sembriamo preoccupati di chiudere la parentesi. In realtà l’obiettivo non è tornare come prima, ma cambiare. Quel mondo individuale ci ha ammalati. Pur nella distanza fisica dobbiamo capire che davanti a Dio siamo fratelli: insieme dobbiamo saper camminare e insieme dobbiamo superare le difficoltà come insieme Dio ci ha salvati.
Guai dunque alla gente e ai gruppi ripiegati su se stessi: vivranno l’Eucaristia con disagio perché essa mette a nudo le nostre pretese di grandezza. Abbiamo bisogno di ritornare umili, carichi di speranza e trascinatori.
don Gianni
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Inserito il 7 Giugno 2020 alle ore 10:01 da Plinio Borghi
La reciprocità è alla base di ogni rapporto e di ogni formazione sociale, a partire dalla stessa famiglia e su su fino alla generale convivenza internazionale. In assenza, non può esistere equilibrio e subentrano diffidenza, prepotenza, sopraffazione e quant’altro. Sulla stessa si fonda anche il rispetto gli uni degli altri. Perfino l’amore è garantito dalla reciprocità, altrimenti o s’inaridisce o sfocia in violenza e in forme di stalking, a volte con epiloghi tragici. Spesso, nella trattativa, nella contrattazione, nello scambio, fatichiamo a trovare un accordo se non c’è riscontro di reciproca convenienza. E come mettiamo in discussione la stessa accoglienza dello straniero o dell’immigrato accampando che non c’è analogia nel suo Paese di provenienza! Lo stesso dialogo interreligioso, che si cerca di cucire a fatica, cozza nella maggior parte dei casi contro la mancata reciprocità. Che non significa annullamento dei rispettivi principi o delle rispettive caratteristiche, bensì apertura e disponibilità alla comprensione. Oggi, nella prima domenica dopo il forte periodo pasquale, festeggiamo proprio Chi ha fatto della reciprocità la sua essenza esistenziale: la Santissima Trinità. Padre, Figlio e Spirito Santo, tre Persone ben distinte nei loro ruoli, ma uguali, che nella reciprocità costituiscono un’unica divinità. Non è un concetto semplice da afferrare, anzi è il mistero per eccellenza, ma ci basti sapere, con la logica della fede, che se in Dio tutto si sublima fino a diventar concreta ogni cosa, che la nostra condizione umana si “limita” a classificare come astratta, anche la reciprocità delle tre Persone diventa Dio stesso. La Trinità assurge quindi a simbolo di Amore e di armonia e presiede a quello che è l’amore sponsale, l’amore famigliare, l’amore verso il prossimo, la fraternità universale. Dicevamo di Persone uguali e distinte: nel periodo appena trascorso Gesù l’ha più volte sottolineato (chi vede me vede il Padre, dice agli apostoli che lo incalzano; alitando su di loro –l’abbiamo letto domenica scorsa– proclama “ricevete lo Spirito Santo”; capirete tutto quando vi manderò il Paraclito ecc. ecc.). Ecco la ragione per cui la Trinità è “il prezzemolo” della Liturgia: cominciando dal Battesimo (è un ordine del Maestro) tutto si svolge nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e non è solo una battuta che “ogni salmo finisce in Gloria”. Oggi S. Paolo, nella lettera ai corinzi, ce lo spiega e conia la formula che il celebrante pronuncia giusto all’inizio della Messa.
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