Dopo l’Epifania inizia il tempo di “carnevale” che culmina nelle feste del Giovedì e Martedì Grasso, prima dell’inizio della Quaresima. Il periodo di trasgressione è celebre a Venezia, ma imbarazzante per la fede.
Parliamo del Carnevale perché, se Dio vuole, il 4 febbraio (fra 15 giorni) lo festeggeremo con bambini e giovanissimi. La festa ha radici lontane: la troviamo nella civiltà egizia, greca e poi romana. Il rapporto col Vangelo non fu facile. Solo nel 1468 papa Paolo II, amante delle feste e della buona cucina, volle indire solennemente il Carnevale nella città di Roma mettendo fine a secoli di ostilità.
La parola Carnevale deriva dal latino carnem levare (eliminare la carne), o forse carnem vale (carne addio) e indicava il banchetto prima della Quaresima. Fin dal principio, però, questo era concepito come un periodo di trasgressione: ci si maschera il volto, se ne combina di cotte e di crude, si ride, si mangia, si beve, si balla, si scherza su tutto e su tutti, salvo diventare serissimi quando si fanno i conti. Sì, perché il Carnevale è (anche) un grosso affare.
Secondo i dati Cna del 2017, in Italia si fatturano 200 milioni di euro: al primo posto Venezia, con 55 milioni, poi Viareggio (26 milioni), Ivrea (2,5 milioni), e gli altri. Da segnalare solo questo: nella nostra città, il Carnevale è a uso di fotografi, poco più.
Non condanno la festa, per quanto in alcune parti del mondo (come in Brasile) sia del tutto trasgressiva. Anche Gesù ha partecipato a banchetti e danze del tempo, al punto da essere chiamato “mangione e beone”, amico dei pubblicani e dei peccatori (Mt 11,19).
Noi non ci vergogniamo di dire che domenica pomeriggio, 4 febbraio, faremo festa. Anzi. Abbiamo l’ardire di chiedere ai genitori di darci una mano e di lasciare in segreteria il nome di chi fosse disponibile. Questo perché la fede non limita, ma compie anche la gioia della persona.
don Gianni