Inserito il 12 Giugno 2016 alle ore 11:30 da Plinio Borghi
“Fede, non superstizione; fede, non creduloneria!”, ha tuonato Massimo Cacciari un paio di settimane fa a Campalto, durante un convegno organizzato dalla parrocchia dei SS. Benedetto e Martino e dalle Associazioni Dossetti e Amici di don Germano Pattaro, per ricordare il patriarca Marco Cè con raccolte di omelie e scritti. “Superstizione è star seduti sopra qualcosa nella più completa immobilità” – ha continuato poi – “mentre la fede è continua ricerca di risposte, di verità. La creduloneria è fiducia cieca e superficiale, mentre la fede è un dubbio continuo, un’esigenza di approfondimento” (non ricordo se fossero le parole giuste, ma il concetto era questo). Il pubblico era attento e un po’ attonito, visto che la “predica” veniva da chi afferma di non avere tale dono. Già prima aveva sostenuto con forza che sulla Misericordia divina il Papa non ha inventato nulla: esiste da sempre, sebbene noi siamo più propensi ad invocare giustizia, almeno verso gli altri. “Piuttosto la misericordia comporta la povertà e qui il Papa sta dando un forte scossone ad una Chiesa che non spicca in questa direzione”, aggiunse. Sembra che il nostro filosofo abbia attinto a piene mani dalla liturgia di oggi, che ci presenta nella prima lettura proprio un Dio che, tramite Natan, perdona il re Davide, sinceramente pentito dei suoi misfatti. Il vangelo poi è la piena esaltazione di quella fede che diventa percorso d’amore e, come tale, provoca una cascata di misericordia. Gesù è ospite di quel fariseo, che evidentemente si riteneva giusto al punto da criticare la peccatrice che ha lavato i piedi del Maestro con le sue lacrime di pentimento, li ha asciugati con i suoi capelli e quindi cosparsi di olio profumato. Gesù non solo lo mette in mora per la sua scarsa ospitalità, ma lo inchioda definitivamente con la parabola dei due debitori, della quale il fariseo stesso, chiuso e tronfio, fornisce il significato, dandosi da solo la zappa sui piedi. Alla grande peccatrice è servito un duro percorso di fede e tanto amore per riscattare il perdono. L’ospite e i suoi commensali sono rimasti “seduti sopra” le proprie convinzioni al punto da mettere in dubbio la stessa autorità del Messia a perdonare i peccati. È ovvio che non saranno sfiorati nemmeno da un soffio di quella grazia salvifica. E noi da che parte siamo? Siamo per un cammino di conversione o per vivere pedissequamente secondo la legge, facendo della fede la nostra gabbia dorata? Nella seconda ipotesi, dice San Paolo, Cristo è morto invano.
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Inserito il 8 Giugno 2016 alle ore 15:21 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 8 Giugno 2016 alle ore 15:18 da Don Gianni Antoniazzi
Stiamo sempre a guardare il bicchiere mezzo vuoto. In effetti le cattive notizie fanno sempre più scalpore di quelle positive, che però non mancano. Anzi
Domenica scorsa, conclusa la messa delle 12.00 una parrocchiana è venuta in canonica tenendo in mano un sacchetto. L’ha consegnato al parroco dicendo che era stato trovato a terra in una via vicina alla parrocchia. Dentro c’erano 100 euro. Qualcuno evidentemente li aveva perduti per strada e lei, lungi dal tenere la cifra per sé, ha ritenuto di doverla consegnare.
Non è la prima volta che accade: in molte altre circostanze vengono portati in segreteria portafogli ritrovati e quasi sempre si riesce a risalire al proprietario. In molti casi dentro ci sono ancora tutti i soldi e i documenti.
Anche nel caso presente, l’articolo viene scritto nella speranza di ritrovare il proprietario dei 100 euro, che può venire serenamente a prendere la cifra, a patto ovviamente che dia una descrizione del contenitore.
Di continuo compaiono articoli che narrano di furti nelle zone di Mestre. Qui a Carpenedo pare che si possano raccontare storie ben diverse. Non è così male come qualcuno vuol far sembrare.
don Gianni
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Inserito il 5 Giugno 2016 alle ore 12:03 da Plinio Borghi
L’attenzione agli altri, il cosiddetto prossimo (termine a volte troppo generico e che si presta ad essere eluso), è uno dei motivi conduttori intonato ad ogni piè sospinto dal nostro papa Francesco. Poco tempo fa l’ha ben sottolineato disquisendo sull’amore che proviamo e dimostriamo verso gli animali domestici e magari non ci accorgiamo nemmeno del disagio che vive il vicino di casa. Allargando un po’ il discorso, potremmo aggiungere che ci sono tante cose che, pur passandoci sotto il naso, manco ci creano un minimo di preoccupazione. Le stesse notizie tragiche riportate dai quotidiani, se non ci riguardano direttamente, vengono archiviate o, meglio, resettate nel giro di ventiquattr’ore. Se poi ci toccano più da vicino o se i media stessi le mantengono in evidenza, durano qualche altro giorno, ma poi rischiano di destare lo stesso interesse di una soap opera. Stiamo perdendo il senso delle cose, non siamo più capaci di darci una graduatoria di valori. Oggi c’è Gesù che ci richiama, ancora e come sempre, all’ordine mediante l’esempio pratico: si ferma davanti a un funerale che passa, ma non formalmente. Osserva e nota la vedova che piange il figlio morto. Non basta, ha compassione di lei, molta, sottolinea il vangelo. Quante volte ci succede di vedere un funerale che passa! Un tempo almeno ci si toglieva con deferenza il cappello o ci si faceva il segno della croce: era pur sempre un modo per partecipare. Oggi è già molto se ci ricordiamo di averlo visto passare, figurarsi se ci muoviamo a compassione o se azzardiamo una concreta espressione di vero cordoglio. Anche la morte è annoverata in modo asettico fra le cose ricorrenti della vita. Il nostro Maestro, invece, risuscita quel figlio, come già fece il Geremia della prima lettura, soprattutto per dimostrare il livello di coinvolgimento provato: Lui, figlio di Dio ed Egli stesso Dio, origine della vita, esprime così il massimo del suo dolore per quella madre distrutta; a noi sarebbe richiesto un minimo avvicinamento al dolore altrui, meglio se riuscissimo a condividerlo. Ma ci spetta pure riconoscere quanto “vitale” sia aprire il nostro cuore al passaggio di Gesù, riconoscere che solo da Lui deriva quel soffio vitale, non tanto fisico, quanto in grado di rivoltare come un calzino il nostro stato d’animo assopito e insensibile, affinché riviva in noi la solidarietà, che comincia proprio col trattare le angosce degli altri come se ci appartenessero.
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Inserito il 1 Giugno 2016 alle ore 19:32 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 5/6/2016. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 1 Giugno 2016 alle ore 19:18 da Don Gianni Antoniazzi
Il 2 giugno del ’46 l’Italia passò dalla monarchia alla repubblica e fu una festa. Da allora è sempre scesa la responsabilità, l’interesse e la fiducia nella “cosa comune” e da cittadini siamo ormai individui
La festa del 2 giugno, con la deposizione della corona all’altare della Patria, rischia di diventare un pretesto per fare qualche giorno di riposo in attesa delle vacanze estive.
L’Italia è res publica. Le cose (res) non sono di un re che le concede benevolmente in uso ai sudditi; sono di tutti. Ne dovremmo essere responsabili, con passione e competenza. Sembrano virtù di pochi: fra gli amministratori c’è la gara all’interesse personale e non comune e così c’è il furto su quel che è di tutti.
La Repubblica ha il suo nemico: la burocrazia. È vero: servono processi di trasparenza e di garanzia. L’attuale peso burocratico è tale da dimenticare la vita della gente e soffocare l’entusiasmo di chiunque.
La Repubblica si fonda sul lavoro, perché è dignitoso chi vive con la propria energia. Qui va male: una volta si obbligavano gli schiavi a lavorare, oggi, per avere un lavoro, si è disposti a tornare schiavi. Senza lavoro non c’è vita sociale, perché si spegne la dignità di ciascuno. La Chiesa non può stare a guardare.
don Gianni
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