Lettera aperta dell’11 agosto 2019
Inserito il 7 Agosto 2019 alle ore 19:38 da Redazione CarpinetumAbbiamo inserito nel sito lettera aperta dell’11/8/2019. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Maria è una donna d’Israele. Per i credenti è diventata, in modo del tutto singolare, madre del Messia. Il giorno dell’Assunta, 15 agosto, si celebra la sua realizzazione compiuta: ogni sua dimensione personale entra sul versante dell’Eterno. Ella diventa così “icona” per l’esistenza di ciascuno. Quale gioia la sua realizzazione: è l’anticipazione per il futuro di ogni persona. Ma anche la sua vita quotidiana diventa per noi un motivo di speranza. Maria non è stata fuori dal tempo. Ella ha provato la condizione sociale delle ragazze ebree; ha vissuto la fede con le incertezze e i timori della ricerca; ha cambiato i progetti dell’avvenire per fare spazio alla presenza del Figlio; ha accolto il progetto del Padre, né semplice né scontato; ha contemplato i successi del Cristo ma prima ancora è stata con Lui sul Calvario; ha sostenuto la speranza degli apostoli nel Cenacolo; ha accettato il silenzio come stile di vita.
L’Assunzione non compie solo i successi di Maria ma ogni sua fatica. Così è per l’uomo: il Padre benedice tutto di noi e porterà a compimento non soltanto i successi ma anche i dolore, le sconfitte, ogni lacrima. Tutto avrà il suo senso, tranne il peccato, perché il male, si sa, non ci conferisce nulla di buono, ma soltanto distruzione.
don Gianni
La cicala e la formica, protagoniste dell’arcinota favola di Esopo, in effetti rappresentano bene la dualità di comportamenti di noi esseri umani, fatte salve le varie sfumature che intercorrono tra un atteggiamento e l’altro. A differenza dei due simpatici animaletti, noi siamo però in grado di giustificare le nostre scelte di vita contraddittorie appigliandoci alle più disparate motivazioni. La più ovvia è che se siamo oculati e sparagnini non è per attaccamento alle cose o per avarizia, bensì per non fare la fine della cicala; di contro se viviamo superficialmente e prendiamo la vita come viene, all’insegna della spensieratezza, del divertimento e “se succede qualcosa qualche santo provvederà”, non è per imprudenza, ma perché la vita è una sola ed è bene godersela. E poi non lo dice anche il Vangelo che non dobbiamo affannarci più di tanto perché il Padre che provvede agli uccellini e ai gigli non potrà lasciare noi suoi prediletti senza risorse? E non è proprio sul vangelo di oggi che “la formica” di turno progettava di accumulare l’abbondante raccolto costruendo granai più grandi, per poi vivere di rendita e alla grande e Dio lo stronca di brutto dicendogli che la notte stessa morirà? Nulla da dire: per arrampicarci sugli specchi non ci batte nessuno, specie se si tratta di non impegnarci. La verità è che escludere l’affanno non significa fregarsene di tutto e ancor meno sfuggire agli impegni: devono cambiare il senso per cui si fanno le cose e gli obiettivi, troppo egocentrici. Il nostro scopo non dev’essere solo questa vita, ma anche quella eterna e quindi, ce lo spiega il Maestro, dobbiamo arricchire agli occhi di Dio. E come? Mettendo il prossimo al centro della nostra attenzione: ogni cosa avrete fatto a uno di questi più piccoli l’avrete fatta a me. Va bene lavorare e accumulare, ma per il bene di tutti, come fanno appunto le formiche. Altrimenti, come dice anche Qoèlet nella prima lettura, tutto quello che avremo trattenuto a chi andrà? A chi non ha per niente collaborato e si premurerà solo di sperperare. Figurarsi se Dio ci spinge a fare le cicale! Meglio che rinfreschiamo la parabola dei talenti, per rammentare che di tutto il potenziale che ci ha fornito domani ci chiederà il conto e allora saranno cavoli amari se ci saremo limitati a congelare senza investire. Ci verrà risposto come la formica alla cicala: hai voluto irresponsabilmente cantare tutta l’estate? Adesso balla (magari sui carboni ardenti delle fiamme dell’Inferno)!
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 4/8/2019. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Negli anni Ottanta, ad Eraclea era usuale imprecare il Signore. In alcune sere d’estate, i seminaristi dicevano rosario con le suore nel giardino dell’asilo. Dall’altra parte della strada, all’esterno del ‘Bar Duomo’, gli uomini giocavano a carte e le bestemmie fioccavano come litanie. Ci si ignorava, si fingeva di non capire e la vita del paese andava avanti.
Sicuramente le imprecazioni contro la fede hanno poco senso. Se si crede al Vangelo, perché prendersela col Padre di misericordia? Se, invece, non si crede, che senso ha offendere chi non esiste? Si rischia soltanto di urtare la sensibilità dei credenti. Oggi, pare che ormai la bestemmia sia molto ridotta. Non significa, però, che ci sia stata una crescita umana e di fede. Anzi: in qualche caso è aumentata la rabbia, è salito il desiderio di prevaricare sugli altri e verso Gesù si è diffusa un’indifferenza peggiore degli oltraggi.
Che la bestemmia vada multata lo prevede anche la legge italiana, ma ha senso farlo? Non sarebbe più urgente appianare i rancori, aiutarci a vivere da fratelli senza alimentare la voglia di prevaricare sugli altri? Ci sono, per esempio, due ambiti nella vita sociale, pieni di collera e volgarità: il tifo calcistico e la politica. Nelle partite, anche delle serie minori, anzi forse più ancora, adulti e genitori diventano incivili con ogni crudezza. Così la politica: manifesta modi barbari ed è diventata quasi pre-umana. Al posto di multare le bestemmie sarebbe urgente sollevare questi due ambienti e provare a farli rientrare nel mondo civile.
don Gianni