Lettera aperta del 24 dicembre 2017
Inserito il 21 Dicembre 2017 alle ore 17:46 da Redazione CarpinetumAbbiamo inserito nel sito lettera aperta del 24/12/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Dorotea Russo, dirigente della scuola “Italo Calvino” di Via Frigia (Milano), domenica 17 ha organizzato la “Grande festa delle buone feste”. Nessun riferimento al Natale, per non discriminare alcuno. Massimo Gramellini, giornalista acuto, scrive: “Quale enorme danno può creare nella psiche di un bambino la decisione arrogante, tipica della mentalità competitiva occidentale, di stabilire una gerarchia tra feste presunte grandi e feste medie, medio-piccole, festicciole e, non sia mai, festini…!”. E continua: “Anche la parola festa è senza rispetto verso chi non ha proprio nulla da festeggiare”.
In ogni caso, dunque, si finisce per urtare la sensibilità di qualcuno a meno che non si smetta di averne una di propria. “Nel mondo slavato dei non luoghi e delle non identità, l’unica soluzione è la negazione perpetua”, ha annotato Gramellini. Arriveremo alla versione “Non auguri di non buone feste di non Natale?”.
Chi cerca “Natale” nelle immagini di Google trova palline, gatti, luci, stelle, renne, babbi Natale, pupazzi, alberi, vischio, campanelle, candele, slitte, neve, spumante, panettone, anche donne mezze nude, ma nessun Cristo Signore fra le prime 500 immagini.
La colpa è di noi cristiani che non conosciamo più la ragione della nostra fede. Se siamo di Cristo annunciamo il Natale del Vangelo. Se riduciamo la festa ad un banale “vogliamoci bene” e a una preghiera per la pace, anche il più struzzo dei tacchini sentirà che la fede è in agonia e chiederà che, in Italia, il cadavere del Cristianesimo venga sepolto. L’annuncio del Natale ha un’energia esplosiva: Cristo-Dio rinnova per noi la sua presenza nella storia, la guarisce, la risana e noi nasciamo come Suoi figli. Se questo non ci rallegra ci siamo oramai assuefatti a tutto.
don Gianni
Abbiamo pubblicato i sussidi per la Veglia di Natale realizzati negli ultimi tre anni dal Gruppo sposi.
Un sano protagonismo è quanto di più efficace e corretto si possa richiedere per portare avanti un ruolo di prestigio, soprattutto se l’azione implica il conseguimento di obiettivi impegnativi e rivolti a un bene comune, sia esso privato che pubblico. Comporta ovviamente l’assunzione piena delle proprie responsabilità e ciò non implica tuttavia l’arrogarsi titoli o funzioni che non competono ed esclude pertanto l’indebita invasione di campi altrui. La falsa modestia o, peggio, l’operare sotto vento per eludere implicanze dirette sono forme deleterie e intralciano il percorso. L’opposto è usare del protagonismo a soli fini personali, per appagare il proprio ego, senza alcun obiettivo se non quello di ostacolare gli altri, nella presunzione che la loro collaborazione ti metta in ombra: la classica malattia da protagonismo, molto più diffusa, purtroppo, e che è causa sovente di divisioni e contrapposizioni speciose, fenomeno che si riscontra palesemente in politica. Il Giovanni Battista che la liturgia odierna ci propone è un vero protagonista, investito di un compito non da poco: fare da apripista al Messia inquadrando le regole comportamentali per accoglierlo adeguatamente; non solo, ma indicandolo quand’è il momento, affinché non vi siano dubbi su chi sia la vera figura cui va rivolta l’attenzione. Si dà tanto da fare, il Battista: richiama, battezza e predica con autorità, tanto da essere scambiato egli stesso per il Salvatore atteso; ma egli correttamente non ingenera equivoci e, a chi lo interroga in proposito, precisa: “Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo”. Bello il dialogo che precede questa affermazione conclusiva: sembra quasi di assistere ad un’antesignana trasmissione de “I soliti ignoti” in onda su Rai uno dopo il TG! Dagli indizi sembrava che… e invece: “No, non sono io il Cristo”. E c’è una correlazione, in effetti: se si cerca bene e si arriva al personaggio scatta il premio. L’Avvento serve ad affinare la nostra ricerca, Gesù non lo si trova per caso e la strada da seguire è proprio quella che ci indica la “voce che grida nel deserto”. Ancora oggi, se si passa attraverso Giovanni il Battista, mediante una seria introspezione cui far seguire la vera conversione, allora saremo gratificati anche di quel Battesimo di Spirito e fuoco che solo Gesù è venuto a portarci. Il protagonismo di Giovanni Battista non si è esaurito duemila anni fa, ma è ancora attuale e funzionale.
Durante un pranzo don Mario ci ha raccontato un episodio simpatico sui preti. Per la processione del Corpus Domini il parroco aveva mosso il paese: c’era la banda, le donne con drappi eleganti, i bambini con i cesti di fiori, le maestranze più rinomate e i chierichetti al gran completo; non mancava nessuno. Il sacrestano e gli aiutanti avevano preparato il baldacchino con i candelieri, l’ostensorio dorato, le torce e il turibolo con l’incenso. La corale aveva intonato i canti tradizionali e la processione si era incamminata per uscire di chiesa. In quel momento un chierichetto cominciò a tirare la tonaca del prete e quello borbottò: «Cosa vuoi adesso?». «Monsignore – disse il ragazzo – nell’ostensorio manca l’Ostia». Al chè il parroco, infastidito e contrariato, rispose: «Cosa pretendi? Sono solo, non posso mica pensare a tutto».
Il racconto vale per la nostra preparazione al Natale. Nei prossimi giorni avremo parecchi impegni perché la festa del Signore sia completa: cene e pranzi con i parenti, regali e addobbi, manifestazioni e recite. Non accada di dimenticare il “festeggiato”. Il modo migliore per scongiurare il pericolo è dedicare ogni giorno qualche istante alla preghiera, celebrare la Messa e fare comunione con Dio. Mi permetto di suggerire la lettura del vangelo di Marco e di invitare tutti, la notte del 24 dicembre a mezzanotte o il giorno del 25, alla celebrazione della Santa Messa.
don Gianni
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 17/12/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Maria, pilastro dell’Avvento. Dicevo la volta scorsa che l’Avvento è attesa e perciò abbisogna di predisposizione e di concentrazione, di tensione, appunto. Il periodo di gravidanza è uguale: basti pensare a tutte le emozioni e i sentimenti che prova una futura madre in quelle condizioni. Figurarsi se per Maria non doveva essere ancora di più, non solo per essere anche vergine e non sposata, ma soprattutto per essere stata catapultata in un ruolo a dir poco incredibile: diventare madre del Salvatore! Se ne sarà resa conto fino in fondo? No di certo, ma ha capito che il Signore da lei voleva qualcosa di grande e, come dovremmo fare tutti davanti al progetto che Dio ha su di noi, si è messa a completa disposizione. La sua è stata un’attesa attiva: ha dovuto spianare non pochi contrasti, specie col suo novizio Giuseppe; non ha esitato a mettersi in viaggio per assistere la cugina Elisabetta, molto più anziana di lei; quasi alla fine si è messa ancora in moto per il censimento e, non bastasse, ha partorito nelle condizioni più disagiate. Tanto per limitarsi al solo periodo di attesa, senza contare il dopo. Mai per un istante ha comunque dubitato della validità del compito al quale era stata chiamata. Merita quindi una posizione particolare come riferimento e come esempio anche nel nostro percorso d’Avvento e giustamente la liturgia ha collocato la sua festa più significativa nel bel mezzo di questo periodo. Altrettanto giustamente il brano del Vangelo che si legge nella solennità dell’Immacolata è il medesimo della IV domenica. Oggi invece fa eco all’esempio di Maria la voce di Giovanni il Battista, tratta dall’incipit del vangelo di Marco (l’Evangelista che ci accompagna quest’anno), che dal deserto incita al pentimento per accogliere degnamente la salvezza che è ormai vicina. Giovanni impersona quel “messaggero” preconizzato da Isaia, che è incaricato di preparare l’arrivo del Messia e invita a spianargli la strada e a raddrizzargli i sentieri, metafora di una seria predisposizione dell’animo che dobbiamo adire se vogliamo essere anche noi, come Maria, un vero strumento di salvezza. Occorre a questo proposito altrettanta disponibilità e accondiscendenza piena: le mezze misure e i distinguo non servono e lasciano il lavoro a metà. Dio non voglia che la salvezza scelga allora altre strade e altri strumenti e ci cancelli definitivamente dai suoi itinerari: avremmo vissuto invano.
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 10/12/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
L’Avvento ci chiede di riconoscere le realtà positive intorno a noi. È un esercizio difficile. Per natura il male fa più chiasso e anche i giornali riferiscono tante volte il peggio della nostra realtà. Se però abbiamo il cuore disperato e gli occhi gonfi di delusione, saremo come i due di Emmaus che non riconoscono il Signore vivo e operante né tantomeno la sua nascita.
È importante distinguere i segni di speranza e sostenerli. Uno di questi è, a mio parere, “Mestre Domani”, nato nella primavera di quest’anno. Vi partecipano persone libere da programmi di partito che hanno a cuore il futuro mestrino e la riqualificazione socio culturale della città. Conducono una attività politica appassionata e suggeriscono proposte per la realtà urbana del domani. Le loro idee hanno profonde radici nel passato, sono ancorate alle necessità del presente e meriterebbero più attenzione. Di recente, per esempio, hanno suggerito un impiego migliore per Villa Settembrini e per cui si attende ora la risposta della Regione Veneto.
Segnalo, con passione, l’attività di questo gruppo e mi domando se, per caso, qualche altro fra noi che ne avesse le capacità, non potesse unirsi al suo operato.
don Gianni
Il richiamo del viola nei paramenti sacri e l’eliminazione della recita del “Gloria” durante la Messa, dopo l’atto penitenziale, sono, per noi profani, i segni più evidenti con i quali la liturgia ci fa capire che siamo entrati in uno dei tempi cosiddetti “forti”: l’Avvento. Nell’altro, la Quaresima, tempo penitenziale per eccellenza, si evita anche di recitare l’Alleluia. Mi sono sempre chiesto il motivo. Sul fatto del colore la risposta è più scontata, perché è sempre servito da richiamo alle varie celebrazioni: il rosso per i martiri e la Pentecoste; il bianco per il Natale, la Pasqua e le altre solennità, come quella dell’Immacolata che arriva fra cinque giorni; il verde per il tempo ordinario; una volta andava come il pane anche il nero per i funerali, per i quali oggi si preferisce declinare sul viola. Il viola, appunto, è per i tempi forti; un colore meno provocatorio, meno festoso, più contenuto, che richiede più concentrazione su ciò che ci induce a cambiare il registro delle nostre corde. Nella fattispecie caratterizza l’attesa del Messia, attesa che si rifà al lungo periodo intercorso fra la cacciata dei nostri progenitori dal paradiso terrestre, quando Dio promise che avrebbe mandato addirittura suo Figlio a riscattarci dal peccato, al momento della nascita del Salvatore, evento che ora non siamo qui a ricordare, bensì a vivere. L’Avvento è simbolo di ogni attesa, come quella della liberazione del popolo eletto dalla prigionia cui era stato relegato dopo la deportazione e che induce Isaia (prima lettura) a rivolgersi al Signore come Padre e Redentore, compiendo un importante atto di introspezione e di umiliazione per le colpe di cui il popolo si era macchiato. Il Profeta alla fine si affida completamente al suo Creatore per essere rigenerato: “Noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti siamo opera delle tue mani”. Ecco, un vero ritorno alle origini, per annullarci nella grande prospettiva della rinascita definitiva, che non sappiamo quando sarà, per cui dovremo vegliare e non farci sorprendere, come Gesù continua a ripetere ai suoi discepoli (vangelo): guai a trovarci addormentati o impreparati al momento topico! Anche San Paolo ci ricorda che in Cristo ci siamo arricchiti di ogni dono e pertanto sarebbe un peccato non presentarci irreprensibili alla manifestazione finale di nostro Signore. Quindi c’è bisogno di concentrarci in questi periodi forti ed è probabilmente per agevolarci che la liturgia si riduce all’essenziale.
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