Inserito il 27 Luglio 2014 alle ore 12:05 da Plinio Borghi
C’è veramente da pensare se osserviamo, nei brani del vangelo che si susseguono in queste domeniche, l’insistenza di Gesù sulle similitudini del Regno dei cieli e sulla questione delle cose ultime. E’ vero che siamo gente di dura cervice, tutti, apostoli compresi, ai quali fornisce poi delle spiegazioni delle quali nemmeno i bambini avrebbero bisogno, e fosse un altro a trattarci così, probabilmente proveremmo del risentimento. Tenuto conto che, dette una volta o dieci, le cose non cambiano poi tanto: il nostro cliché umano è tale che, chi più chi meno, finiamo per essere facilmente travolti più dalle cose allettanti della vita che dalle migliori prospettive dell’aldilà. Gesù lo sa bene e allora perché insistere? Prima con il seme che cade sui diversi tipi di terreno, poi con la zizzania e il grano buono, che alla fine verranno divisi per ben diverse destinazioni, oggi con i pesci buoni e quelli cattivi. Evidentemente la ragione è un’altra e cioè che a Dio sta così tanto a cuore la sorte dell’uomo che non lascia nulla di intentato per conquistarlo a sé e le prova tutte, fino alla fine e a costo di ripetersi. Ancora: il bene definitivo che ci promette è talmente grande e duraturo che non lo possiamo ottenere col minimo sforzo, ma dobbiamo dare il massimo. Ecco l’esempio che ci viene dall’uomo che trova un tesoro nel campo e aliena tutto ciò che possiede pur di comprare quel campo. Collegato al vangelo, c’è pure un messaggio che ci arriva dalla prima lettura ed entra in concreto nella nostra vita di tutti i giorni: Salomone che, interpellato da Dio perché chieda ciò che vuole, risponde che la cosa che gli preme di più è la saggezza nel governare il suo popolo. Quanti fra i nostri governanti avrebbero fornito analoga risposta? Quanti perseguono in primis obiettivi di capacità nel procurare il bene alla collettività, posponendo o, meglio, escludendo del tutto il tornaconto personale? Domande chiaramente retoriche e che sollevano appena qualche amaro sorrisino in tutti noi, specie in questo periodo, nel quale stiamo assistendo allo scempio di valori e di priorità nelle cose. Ci sarà spazio per recuperare? Spero di sì e auspico a questo punto che Gesù insista sull’argomento del vero tesoro che ci aspetta, finché qualcuno si decida a scardinare questo monolitismo di vedute. Il resto verrà da sé e sarà una valanga.
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Inserito il 27 Luglio 2014 alle ore 08:01 da Don Gianni Antoniazzi
Le vacanze ricordano la fatica di preparare la valigia. I nostri giovani devono riempire di speranza i loro bagagli per il viaggio della loro vita.
Non mancano i segni di sconforto. Le industrie hanno ridotto ancora del 2% il fatturato e più del 2% gli ordinativi. La ricerca del lavoro si fa drammatica e il debito pubblico cresce. La politica urlata è instabile e anche la giustizia mostra fragilità: un giudice ha dichiarato inesistente quello che una sua collega aveva punito come un reato grave e certo. A livello mondiale spaventa la tensione venutasi a creare fra Israele e Palestina. A livello personale in molti abbiamo un grave senso di impotenza.
Serve speranza. Servono segni ricchi di energia per il tempo futuro. Serve qualche profeta che insegni, soprattutto ai più giovani, ad alzare lo sguardo senza lasciarsi prendere nelle reti dell’affanno.
Qualche gesto profetico c’è. A mio parere, per esempio, suona come una profezia l’ulivo piantato dal Papa coi leader d’Israele e Palestina. C’è anche una forte ricerca di verità, di semplicità, di essenzialità, di rispetto. La lista sarebbe lunga.
Se non che oltre a queste voci ci sono quelle dei falsi maestri che annunciano non sogni ma illusioni e miraggi. Sono slegati dalla vita, non pagano pegno per le loro affermazioni, hanno a cuore i propri interessi non il bene comune. Questi maestri di morte tarpano le ali dei giovani dopo averli illusi. Troppo li abbiamo lasciati parlare e molto ne siamo responsabili noi adulti.
don Gianni
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Inserito il 24 Luglio 2014 alle ore 22:00 da Redazione Carpinetum
Pubblicata anche online lettera aperta del 27/7/2014. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Ricordiamo che il fondo del parroco e le meditazioni vengono pubblicate la domenica, coerentemente con il giorno al quale sono dedicate e cui spesso fanno riferimento.
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Inserito il 20 Luglio 2014 alle ore 12:52 da Plinio Borghi
Il Redentore ha assunto nel tempo le caratteristiche di una festa patronale, complice probabilmente la stagione in cui cade la festa, il folk che lo accompagna o anche l’aver concentrato meglio il momento religioso in occasione della Madonna della Salute. Ciò non sminuisce il significato intrinseco del titolo di Redentore attribuito a Gesù, che è quello che maggiormente rappresenta il senso del progetto di Dio nei confronti dell’uomo, progetto che ha incluso proprio l’azione salvifica derivante dall’incarnazione, dall’annuncio del Regno, dalla morte e dalla resurrezione del Figlio. Quello stesso Figlio che oltre al compito di redimere avrà anche quello di dirimere (mi piace questo gioco di parole, quasi anagrammi l’una dell’altra) definitivamente l’umanità, quando tornerà nella sua Gloria. E questo concetto, guarda caso, si attaglia perfettamente con quello che è il tema della liturgia della XVI domenica del tempo ordinario, che oggi a Venezia lascia spazio al Redentore: la parabola della zizzania seminata nel campo dal nemico e che il padrone lascia crescere assieme al grano, riservandosi la dovuta divisione al momento della mietitura, quando la gramigna verrà separata e bruciata. L’allegoria non richiama solo l’eterna compresenza nel mondo del bene e del male, dualismo quanto mai necessario e che mette alla prova il livello di libertà e responsabilità dell’uomo, ma anche l’epilogo che dovrà vedere premiati coloro che avranno risposto al progetto sopra citato e castigati gli altri. Sarà proprio lo stesso Matteo, al famoso cap. 25 a specificare cosa doveva essere stato fatto (ogni volta che l’avrete o non l’avrete fatto a uno di loro, l’avrete o non l’avrete fatto a me). I riflettori sui campionati mondiali di calcio si sono spenti, anche se le polemiche non si sono ancora affievolite, ma il riferimento ci soccorre per dire che entrare nel Regno non è come sollevare trionfalmente una coppa: ce ne passa e ben vana sarebbe l’opera di redenzione se si riducesse a questo. Il Padre parte col principio e la volontà che tutti vincano, che tutti si salvino. Se saremo dannati, non sarà frutto di una perdita fortuita, ma di un rifiuto vero e proprio, soprattutto se si tiene conto di quanto Dio sia disposto a perdonarci, sempre, fino all’ultimo momento della nostra esistenza terrena. Dopo è troppo tardi.
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Inserito il 20 Luglio 2014 alle ore 08:00 da Don Gianni Antoniazzi
Le vacanze sono un’occasione di svago e riposo. Occasione conquistata con fatica e ardore, liberazione dalle abitudini che avviliscono.
I giorni di ferie sono l’occasione per godere la “vita che desideriamo” facendo spazio a quello che per noi dà senso all’esistenza.
È necessario tener conto che quest’anno il 50% degli italiani non potrà permettersi alcuno svago. È importante poi ricordare anche il senso profondo che il riposo ha nella nostra vita.
Se la vacanza è il momento per portare a termine i propri desideri, realizzare i propri sogni, com’è triste la situazione di molti che non hanno alcun obiettivo di vita e si contentano di seguire i capricci e mode del momento. E com’è poi faticoso tornare agli impegni quotidiani se l’orizzonte dei nostri pensieri non sa trovare un senso compiuto che sostenga la fatica. Rischiamo così di cadere nella schiavitù di un consumismo vuoto.
Il riposo diventa vero quando offre un senso all’esistenza quotidiana.
Nelle ferie, per esempio, potremmo riscoprire un ritmo più opportuno. Perché non leggere la Scrittura Divina, testo sempre nuovo, fonte di sapienza? Perché non dedicarsi al silenzio, al contatto con la natura, col mare e la montagna? La tavola è vita più per le amicizie che la compongono che per la novità del cibo. Viaggiare è una vittoria sulle proprie abitudini più che un vagare senza meta.
Se abbiamo trovato l’architettura della nostra persona, la ripresa della vita ordinaria diventa una luminosa ricchezza di relazioni, amicizie e riconciliazioni.
don Gianni
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Inserito il 18 Luglio 2014 alle ore 22:46 da Redazione Carpinetum
Pubblicata anche online lettera aperta del 20/7/2014. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Ricordiamo che il fondo del parroco e le meditazioni vengono pubblicate la domenica, coerentemente con il giorno al quale sono dedicate e cui spesso fanno riferimento.
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Inserito il 13 Luglio 2014 alle ore 12:36 da Plinio Borghi
La lingua batte dove il dente duole. Gesù sa bene da quale gamba andiamo zoppi e non perde mai l’occasione di sgamarci: le parabole e quant’altri riferimenti di cui abbonda il Vangelo non sono che supporti per l’attualità della buona novella, stimolano le dovute riflessioni e autocritiche per provocare in ciascuno di noi le adeguate risposte. Ma tutti questi input che riscontro trovano? Con la parabola del seminatore il Maestro affronta proprio questo aspetto: il seme che cade nel selciato ed è mangiato dagli uccelli, quello che va a finire in un terreno sassoso e non trova terra per attecchire, un altro riesce a diventare virgulto, ma viene soffocato dai rovi, finalmente un altro trova il terreno buono e diventa fecondo. La pericope prosegue con la spiegazione, su sollecito degli stessi apostoli, delle rispettive similitudini, dalle quali si evince che il seme è la parola del Regno, il selciato l’incomprensione, della quale il diavolo approfitta, il terreno arido l’incostanza, i rovi le seduzioni del mondo, il terreno buono dove dà frutto. Non ditemi presuntuoso, ma una simile spiegazione, detta così, non mi convince del tutto: sembra quasi che vi sia un’oggettività di situazioni, mentre non è vero. La responsabilità soggettiva del singolo, della comunità e della società ci sta tutta. Il più delle volte l’incomprensione nasce dalla superficialità e dal pressappochismo dell’approccio, complice la trascuratezza con la quale facciamo catechesi in casa, nella comunità, nella scuola, ecc. Idem per l’aridità: nulla cresce se non viene adeguatamente alimentato e un tempo anche le tradizioni erano un buon veicolo. I rovi sono la perdita dei valori, meglio, il loro travisamento: non riusciamo più a creare una graduatoria reale e finiamo per esaltare ciò che nulla conta. Ne consegue che Il danno maggiore lo subisce proprio il seme che cade sul terreno buono: fino a che punto siamo disposti a difendere il prodotto? O la corruzione di cui parlavamo domenica scorsa mina anche i buoni frutti? Gesù sorvola su questo, forse per non farci perdere quel barlume di speranza. In compenso la parabola della zizzania, in onda domenica prossima, evidenzia l’unica situazione oggettiva: è il nemico che la semina, ma ciò non impedisce che il grano possa crescere e maturarsi. Prendiamo dunque coscienza di essere depositari della rivelazione e accogliamo l’invito di San Paolo: “Le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura”.
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Inserito il 13 Luglio 2014 alle ore 08:00 da Don Gianni Antoniazzi
Selfie deriva dall’inglese self, sé. È una delle novità lessicali più in voga degli ultimi mesi. È lo scatto di se stessi con telefono o tablet.
Il selfie è diventato rapidamente una moda diffusa.
Il vecchio autoritratto era arte: l’autore cercava l’immagine di sé, e arrivava a dire “io sono questo”.
Il selfie non è arte, non è ricerca di sé, e nemmeno volontà di conservare memorie. Chi pensa di trovarsi in una situazione importante o di avere un aspetto degno di nota allora scatta.
Secondo alcuni corrisponde alla ricerca di approvazione e di gradimento, una conferma della propria esistenza. Altri ricercatori (neozelandesi) sostengono che i selfie cancellano più velocemente i ricordi. Si è concentrati su se stessi al punto da non osservare la realtà intorno. In questo modo dimentichiamo i momenti più belli.
Per alcuni infine può diventare un’ossessione. Una bambina di 10 anni, in pochi minuti, davanti alla parrucchiera ha scattato e condiviso sul web 46 selfie: “È divertente, ha detto, e poi lo fanno tutti”. La mamma preoccupata ha aggiunto: “Per lei nulla conta se non si scatta una foto”.
A suo tempo si prendeva il telefono per chiamare. Adesso per farsi foto. Qualcuno avrà l’impressione che il selfie sia l’esaltazione dell’egocentrismo. Se non che anche papa Francesco ha accettato questo stile e con un selfie ha mostrato una Chiesa vicina all’uomo contemporaneo e alle sue mode. Tranquilli: tutto passa.
don Gianni
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Inserito il 10 Luglio 2014 alle ore 08:52 da Redazione Carpinetum
Pubblicata anche online lettera aperta del 13/7/2014. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 6 Luglio 2014 alle ore 12:29 da Plinio Borghi
La corruzione, di primo acchito, mi dà la sensazione di qualcosa che si logora, si sfalda, marcisce; non solo in senso materiale, come un corpo ormai in decomposizione, ma anche morale, culturale, spirituale. Quante volte abbiamo sentito censori inveire contro la corruzione dei costumi, il disfacimento dell’integrità morale, il degrado del livello culturale e così via? E Gesù stesso non apostrofa i farisei e gli scribi con l’epiteto di “sepolcri imbiancati”, così intendendo che, al di là delle apparenze, erano marci dentro? Pensieri che mi assillano particolarmente in questi giorni, mentre sto seguendo l’evolversi dei fatti legati agli scandali dell’Expo di Milano prima e del “Mose” a Venezia poi, ma in particolare quest’ultimo, perché mi tocca più da vicino, perché coinvolge persone più note (parecchi di loro li conosco sin dai tempi in cui si sono affacciati alla politica) e perché si è infiltrato prepotentemente nelle istituzioni pubbliche. A prescindere da chi alla fine sarà giudicato più o meno colpevole, resta la sostanza dei fatti: la decadenza di ogni valore sociale, morale e umano, la percezione che tutto e chiunque si possa comprare. Ciò pesa ancor più in un momento in cui al popolo vengono chiesti sacrifici per salvare il salvabile, mentre chi lo rappresenta e lo dovrebbe tutelare non solo sperpera, non solo se la spassa alla grande col frutto dell’inganno, ma si ingegna pure per affinare gli strumenti che gli permettano da un lato di sfuggire e dall’altro di allungare i tempi di funzionamento del meccanismo perverso, innescando giri di appalti e ammanigliamenti vari. E noi continuiamo a pagare due volte: per le tangenti e per i lavori che non finiscono mai, con la speranza che almeno li facciano bene, cosa di cui dubito (il mancato affiancamento del tunnel al Mose e la tardiva richiesta in merito la dice tutta). Se questo e il risultato nel diventare grandi e sapienti, bene ha fatto Gesù a ringraziare il Padre, Signore del cielo e della terra, perché ha nascosto loro la lieta novella e l’ha rivelata ai piccoli, come ci ricorda il vangelo di oggi. Purtroppo sono anche duemila anni che San Paolo continua a proclamare invano che non siamo sotto il dominio della carne, ma dello Spirito. Gesù conclude, per chi lo segue, che il suo giogo è dolce e il suo peso leggero. Mi auguro che quello dei corrotti sarà ben amaro e pesante e intanto elevo con i nostri padri latini il perenne lamento: “O mores, o tempora!” (che costumi, che tempi!).
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