Il blog di Carpenedo

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La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Superstizione e magia

Inserito il 13 Marzo 2015 alle ore 18:03 da Don Gianni Antoniazzi

Voltaire diceva che la superstizione sta alla religione come l’astrologia sta all’astronomia, figlia pazza di una madre prudente: ci siamo tornati in pieno.

A mio parere stanno aumentando superstizioni e scaramanzie. Ne fa uso anche gente erudita perché, dicono, “certi monili portano fortuna anche se non si crede”.

Si fa attenzione ai gatti neri, al 13, al 17 e alle scale in piedi. C’è chi pesta un “bisognino” e chi trova quadrifogli. C’è chi evita gli specchi o gli oggetti messi a croce. C’è chi scappa dagli ombrelli aperti in casa e da 4 suore raccolte in gruppo. C’è chi non regala maglioni, coltelli o perle.

La lista delle idiozie è senza fine e tocca anche gli oggetti della fede: croci, santini, medagliette… i portafortuna non si contano. Per qualcuno se l’aria spegne una candela allora è presente un demonio. A Novara, terminate le nozze, gli sposi spengono i ceri: se lo fanno insieme vivranno a lungo, altrimenti è segno di vedovanza.

Ecco: c’è chi deride la fede ragionevole (!) e poi si piega a demenze folli e stravaganti. Piuttosto che la responsabilità del rapporto con Dio Padre preferiamo la scemenza dell’occultismo e dello spiritismo.

Ogni circostanza è buona per scaricarci di dosso la fatica quotidiana. è sapiente chi è onesto con se stesso e accetta la proposta pulita del Vangelo.

don Gianni

Il gioco di parole…

Inserito il 8 Marzo 2015 alle ore 12:06 da Plinio Borghi

Il gioco di parole che sembra trasparire dalla sfida di Gesù, nel brano del Vangelo che la liturgia ci presenta oggi, m’induce a guardare al noto episodio della “cacciata dei mercanti dal tempio” da una prospettiva particolare. Il Messia, invaso dallo zelo per la casa del Padre, come annota Giovanni, risponde ai giudei che lo interrogano sul perché di tanta aggressività: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli interlocutori pensarono che si riferisse all’edificio appena sgomberato dai trafficanti, ma, si premura a chiarire Giovanni, “egli parlava del tempio del suo corpo”. S’era capito. D’altronde sappiamo che il Salvatore non è venuto per fare il taumaturgo o stupire con gli effetti speciali. Appunto per questo pare strano questo assalto d’ira per un fenomeno che non tramonterà mai: quello di trasformare i luoghi sacri più famosi e frequentati in enormi mercati. Allora il gesto poteva essere completamente figurativo e il vero tempio che aveva a cuore era quello del nostro corpo, custode della concreta presenza del Creatore, eppure così inquinato dal peccato, frutto di debolezza, ma spesso anche di lassismo, di scarso impegno, di poca cura, fino a rendere questo scrigno indegno del suo divino contenuto. Peggio, spesso non lo rispettiamo e ne facciamo scempio, incuranti del grande dono della vita e del ruolo che ci è stato assegnato: quello di restituirla come un grande investimento a Chi ce l’ha affidata. A conferma di tale interpretazione c’è la prima lettura, come al solito in sintonia col vangelo, la quale tratta proprio dei Comandamenti che Dio ha posto a fondamento di un nostro corretto comportamento. Se la scorriamo non troppo velocemente, riusciamo anche a compiere un discreto esame di coscienza e ad accorgerci di quanto spesso e volentieri siamo fuori strada, tradendo così l’enorme libertà che ci è stata messa a disposizione, non solo, ma con un dispendio di energie che, usate altrimenti, ci farebbero guadagnare tre volte il Paradiso. Bene fa il nostro Maestro allora a sferzarci duramente: ci conosce bene, fin nell’intimità. Proprio così conclude anche l’evangelista: “E non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo”. Il suo arrivo ci era stato appunto promesso per riscattarci dalla nostra ignavia. Ce n’è di che riflettere per tutta la Quaresima.

Lettera aperta dell’8 marzo 2015

Inserito il 6 Marzo 2015 alle ore 19:10 da Redazione Carpinetum

Pubblicata lettera aperta dell’8/3/2015. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.

Ritornano regole e punizioni

Inserito il 6 Marzo 2015 alle ore 18:44 da Don Gianni Antoniazzi

Mi hanno segnalato con passione questo articolo da Gente Veneta del 07/02/15, a firma di Giorgio Malavasi, sul ruolo paterno in famiglia. È un’intervista a Fabrizio Guaita dell’Ulss 13 di Dolo Mirano.

“Sono sei, sette anni che scuole, parrocchie e associazioni ci chiedono di fare formazione sulle regole nell’educazione, e sulle punizioni, quando si sbaglia, che devono stare accanto ai premi, quando li si merita. Quindici anni fa ci chiedevano tutt’altro: come si migliora la relazione fra le persone, come si fa se un ragazzino si droga…”.

Fabrizio Guaita, il responsabile del Servizio Educazione e Promozione Salute della Ulss 13, fotografa così un cambiamento culturale importante: il ritorno delle regole nell’orizzonte culturale: “è come si avvertisse che qualcosa manca. E che quel qualcosa – saper usare le regole nell’educazione – è utile”.

È la “nostalgia del papà”. Per certi versi è un cambiamento epocale. È quasi come se nell’aria si respirasse una “nostalgia del papà”. Sì, perché gli ultimi 40-50 anni sono stati segnati da un ammorbidimento, fino al limite della liquefazione, della figura paterna. Il padre di una volta, autorevole e a volte autoritario – che fissa le regole per la vita della famiglia e soprattutto per quella dei figli, che premia ma che non si fa problemi nel punire – è andato via via affievolendosi.

I papà di oggi, incapaci di fissare i limiti. Al suo posto sono arrivati i papà amici dei figli, i papà “mammi”, perfino i “papà peluche”. Hanno portato una dolcezza e una comprensività mai viste prima nel rapporto con i propri bambini e ragazzi – questo è un aspetto positivo – ma hanno anche perso la capacità di fissare i “paletti”. E i “paletti” sono invece utili nella crescita psicologica dei figli: è confrontandosi con essi che i figli possono capire fin dove ci si può spingere e dove è bene fermarsi, cosa significa avere un obiettivo e quanto valgono la fatica e il sacrificio per raggiungerlo. Se tutto è concesso, se tutto è tabula rasa, invece, prima o poi si scivola e ci si fa male.

Un utile passaparola. “Questa richiesta di fare formazione sulle regole – riprende Guaita – è un segnale crescente, che mi dà ottimismo. Oltretutto, ho la percezione che ci sia un passaparola molto utile, per cui chi avverte questa esigenza e partecipa a questi incontri, ne parla poi in famiglia, con il collega, con il vicino di casa…”.

Il primo consiglio è per i neo-genitori. E il consiglio di fondo che Fabrizio Guaita fornisce durante gli incontri di formazione? “Di tornare con convinzione ad avere famiglie dove siano chiare la funzione materna e quella paterna. Famiglie che sappiano dettare le regole e che sappiano distribuire premi, ma anche punizioni. E questo vale soprattutto per le giovani famiglie, per i neo-genitori, cui dico sempre: entro i tre anni dei vostri figli dovete dare loro delle regole. Date loro ritualità, ditegli dei no, non sentitevi cattivi se li sgridate quando trasgrediscono… Altrimenti i bambini si autoregoleranno, ma questo vorrà dire che faranno poi un’enorme fatica a trovare le coordinate della vita”.

Giorgio Malavasi

Gettare la maschera…

Inserito il 1 Marzo 2015 alle ore 11:48 da Plinio Borghi

Gettare la maschera non è sempre cosa facile, specie quando si è abituati a portarla ovvero a mostrarsi per quel che non si è. Di questo abbiamo già detto in varie circostanze e non è quindi l’argomento di oggi. Diciamo però che non sempre la maschera serve a falsare in senso negativo: una serie di attività ne richiede l’applicazione, dalla più ovvia che è quella teatrale (che poi impazza proprio a Carnevale), passando per tutte quelle per proteggere il volto a causa del pericolo derivante da mezzi o strumenti in uso e fino a quelle più seriose e necessarie, come le troviamo addosso al chirurgo che sta operando o all’ammalato in carenza di difese. Non basta. Ce n’è ancora una: quella che impattano l’ignoranza, l’inaccessibilità, la non conoscenza, la ricerca e la scoperta. È la più difficile da togliere perché di norma invisibile e perché penetrarla spetta alla soggettività altrui. Gesù ha portato e porta tuttora questo tipo di maschera, primo in quanto la definizione della sua “fisionomia” (leggi: comprensione del suo messaggio) non troverà mai compimento fino a quando non tornerà nella sua Gloria (ecco l’attualità del Vangelo) e secondo a causa dell’impenetrabilità del suo mistero, al quale a noi è dato solo di credere ciecamente. Tuttavia oggi la liturgia ci presenta un altro di quegli episodi in cui Egli ha voluto “gettare la maschera”, mostrandosi per quello che è e complice il Padre che, ancora una volta, lo indica come il Figlio diletto al quale prestare ascolto: la sua Trasfigurazione. È uno dei rari aspetti di questo periodo che trovano momenti di memoria anche in altri giorni dell’anno, in questo caso il 6 agosto. Così è ad esempio per la Croce, il 14 settembre, per il Corpo di Cristo (Corpus Domini), la domenica dopo la Trinità, per il suo preziosissimo Sangue il 1° di luglio. Con l’episodio odierno il Maestro vuole consegnare ai tre apostoli ai quali ha riservato l’evento una chiave di lettura sia della sua Resurrezione (infatti li obbliga a mantenere il segreto fino a quella data), sia del nostro destino finale. E se gli astanti hanno provato un senso di benessere tale da voler piantare subito le tende per Lui e i suoi interlocutori (Mosè ed Elìa), vuol dire che il nostro epilogo sarà veramente appagante. A questo serve la Quaresima: a penetrare il mistero della salvezza e a pregustare ciò che ci riserva il futuro nell’eternità.

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