Inserito il 30 Luglio 2017 alle ore 11:51 da Plinio Borghi
Go fato un afar! Quante volte nell’effettuare compravendite abbiamo pronunciato questa frase! D’altronde è nella logica della trattativa che, nel concluderla, entrambe le parti siano convinte d’aver fatto un affare. Il libero scambio è nato con l’uomo, anche se nel corso dei tempi ha assunto modi e forme diversi, tali da lasciare talvolta perplessi. Come m’è capitato di considerare durante un viaggio in Sud Africa, quando osservavo tutti spendere e spandere per acquistare dagli indigeni paccottiglia di loro produzione. Pensai tra me e me: «Nel passato fummo noi a conquistarli e a “barattare” il loro oro in cambio di perline di vetro e quant’altro. Oggi loro ci vendono quelle perline e noi gli diamo in cambio il nostro “oro”!». E quante volte ci capita di girare e mangiare chilometri per riuscire a trovare quel che ci serve ad un prezzo conveniente e poi ci accorgiamo o che lo vendevano a meno sotto casa o che, tra benzina e spuntini strada facendo, abbiamo annullato il vantaggio! Io ho lavorato per parecchio tempo nella zona mercato di Mestre (c’erano un tempo gli uffici dell’Anagrafe) e ne ho viste di scene simili, a tutto vantaggio degli esercizi pubblici del posto! Nel vangelo di oggi Gesù esalta la tendenza all’affare con un paio di esempi, mettendo però a fuoco l’enorme valore della posta in gioco: un tesoro nel campo e una perla preziosa, cose per le quali valeva la pena di vendere tutti i propri averi pur di entrarne in possesso. Come al solito non lo fa a caso: se i due hanno agito così per qualcosa di materiale, quanto più dovremmo farlo noi per ciò che è molto più prezioso e duraturo! È un invito a non sottovalutare le nostre disponibilità, purché indirizzate alla conquista di un bene superiore, conquista che passa già qui, ora, attraverso l’equa distribuzione e l’aiuto ai più diseredati (ricordiamo la vicenda del giovane ricco, in cerca di fare qualcosa di più per la vita eterna: va’, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri e poi seguimi). Che non succeda invece che, trascurandolo, svendiamo il bene superiore per andare alla conquista della nostra paccottiglia, come esemplificavo più sopra, il che sarebbe ridicolo. Vale la pena di comportarci come Salomone (prima lettura) e perorare dal Signore soprattutto tanta, tanta saggezza, per non incorrere nel terzo esempio portato da Gesù sul regno dei cieli, quello del pescatore che, tirata su una rete abbondante, raccoglie nel canestro i pesci buoni e getta via i cattivi.
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Inserito il 26 Luglio 2017 alle ore 19:37 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 26 Luglio 2017 alle ore 19:36 da Don Gianni Antoniazzi
Il cristiano non ha una fede modesta che accetta in modo supino ogni affermazione. L’intelligenza cerca risposte che di fronte ai drammi della vita possono essere anche faticose da indagare
Qualche settimana fa, per un incidente in moto, è morto un uomo di Mogliano. Lascia soli i due figli che già da tempo avevano perduto la mamma per una malattia. Per fortuna uno è già grande, ma l’altro è poco più che adolescente.
Di fronte a queste notizie restiamo sbigottiti. Qualcuno accusa Dio e chiede ragione di questi avvenimenti. Pare infatti che vi siano profonde ingiustizie: persone ancora necessarie alla famiglia trovano la morte mentre altre, ritenute talvolta dannose alla società, vivono indisturbate e senza grandi pensieri.
Da parte mia capisco il dramma, anche interiore: è una prova di fede che esige qualche risposta. Non punto il dito contro Dio il quale ci ha dato talenti necessari per essere prudenti, per cercare soluzioni mediche, per diventare solidali verso i figli che restano in questo mondo quando una disgrazia avesse portato via i loro genitori.
Comprendo pure che la fede non può avere tutte le risposte: le riceveremo quando saremo davanti a nostro Signore e lo vedremo faccia a faccia.
Sono certo che Dio sta sempre accanto a chi soffre: è risorto coi segni della passione e ancor oggi resta in croce.
Forse talvolta noi uomini siamo assenti dalla storia e poco responsabili. La cattiva gestione della nostra libertà può creare problemi gravissimi. Succede quando al posto di usare intelligenza per creare il futuro la sprechiamo in stupidaggini, accade quando le nostre risorse sono impiegare nella corsa alle armi anziché nella ricerca medica, quando la nostra energia è sfruttata per tarpare le ali agli altri piuttosto che alimentare la speranza.
don Gianni
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Inserito il 23 Luglio 2017 alle ore 11:08 da Plinio Borghi
Un’integrazione destinata a fallire: potrebbe essere la sintesi della prima parabola raccontata da Gesù nel vangelo di oggi. Attualmente, in presenza di un numero elevato di sbarchi di profughi sulle nostre coste, i temi dell’accoglienza e dell’integrazione si stanno facendo sempre più problematici, tanto che, fatti i debiti distinguo sulle questioni di principio, sul piano pratico anche la Chiesa al suo interno si sta differenziando. Il punto debole della situazione sono proprio i non profughi, che approfittano del caos per avventurarsi verso un ipotetico futuro di vita migliore, intrufolarsi fra i diseredati con ogni mezzo (sostenuti anche da risorse in denaro) e gettare ombre sulle stesse attività di soccorso, che finiscono per essere sospettate come minimo di eccesso di zelo quando non anche di connivenza con gli speculatori di entrambe le sponde, categoria presente in ogni circostanza. Ecco i moderni nemici che si peritano di seminare zizzania nel campo di grano altrui. Che erba sia la zizzania a pochi di noi è dato di sapere, ma di che cosa sia diventata emblema lo sappiamo tutti. Al di là delle spiegazioni escatologiche della parabola esplicitate dallo stesso Gesù, resta il fatto che tentare di estirparla è molto difficoltoso e si rischia di compromettere anche la parte buona: il grano, che è l’accoglienza e l’integrazione. I figli del demonio (leggi trafficanti, scafisti, intrusi di vario tipo) non potranno mai integrarsi e prima o poi andranno smascherati e rigettati al loro destino, proprio come la zizzania. Ma noi non possiamo attendere inerti, e quindi ben venga ogni iniziativa progettuale che stronchi l’insano tentativo di gonfiare le fila dei veri profughi, sia essa la revisione del piano Triton e degli accordi che vi stanno a monte, oppure trovar modo di interagire con i Paesi di provenienza per migliorarvi le condizioni di vita ovvero e comunque mettere in atto disegni chiari e certi per un percorso di inserimento produttivo e interattivo di tutti quelli che sbarcano, prima che diventino dei girovaghi nulla facenti o, peggio, dei mantenuti. Così intanto neutralizzeremo gli speculatori, che sono il nemico che ha seminato la zizzania, e poi circoscriveremo la zizzania stessa, a meno che nel frattempo da erba matta (miracolo dei miracoli) non si sarà trasformata in un’erba salutare e perfettamente integrata. Difficile, basti vedere chi è candidato a sostituire il, si presume, defunto capo dell’Isis Al Baghdadi: un tunisino, cittadino francese da una vita!
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Inserito il 19 Luglio 2017 alle ore 15:45 da Redazione Carpinetum
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Inserito il 19 Luglio 2017 alle ore 15:40 da Don Gianni Antoniazzi
Fra sacerdoti avvertiamo un clima pesante sia a livello sociale sia nelle comunità cristiane e in diocesi. Una monaca di clausura riferisce la sua opinione serena e indica quale potrebbe essere la soluzione alle tensioni
Ho raccontato a una monaca di clausura il clima generale che si respira in città, anche a livello di fede. Gli ultimi spostamenti di sacerdoti hanno fatto emergere ulteriori fragilità sia per il numero che per la robustezza del clero.
La monaca pur non dotata di eccessiva cultura possiede saggezza da vendere. Ha ricordato che già Papa Benedetto XVI segnalava il nemico di Cristo dentro la Chiesa. Anche Paolo VI vide
“il fumo di satana” in seno alla comunità cristiana. Allo stesso modo, fra i 12, Pietro rinnegò e Giuda tradì.
Secondo la monaca il “tentatore” usa maldicenze, tensioni e proteste “interne” per incatenare quei cristiani che seguono la logica del mondo. Gesù chiede invece di stare dietro a lui. È sufficiente che anche uno solo accetti il Vangelo e già un anello si sgretola e la “catena” non stringe più.
La monaca osservava che Gesù non ha fatto calcoli: ha percorso vie sconvenienti, fino al Calvario, così ha tolto il laccio della morte.
Condivido questo ragionamento. Mi piacerebbe attuarlo se ne fossi capace. La Chiesa di Venezia ha bisogno di qualcuno che accetti il Vangelo fino in fondo e non segua le durezze del mondo. Ne basta uno perché si spezzi la rabbia e torni uno spiraglio di pace anche nelle realtà tormentate.
don Gianni
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Inserito il 16 Luglio 2017 alle ore 11:29 da Plinio Borghi
Un bivio senza segnaletica ingenera ipso facto il dubbio classico: da che parte andare? Su strada è una situazione pressoché superata, tali e tante sono le indicazioni fornite, sebbene talora siano così eccessive da richiedere uno sforzo interpretativo, che non sempre è possibile compiere al volo mentre si guida. I più attrezzati si affidano al navigatore satellitare; gli altri al massimo si fermano al primo distributore a chiedere ragguagli. In montagna, però, è tutt’altra faccenda e non ci sono né navigatori né distributori. Lì soccorrono pure segnali e cartine dei sentieri, ma, vuoi per ragioni di comprensione vuoi per carenze di manutenzione, il dilemma si presenta ancora in tutta la sua drammaticità; anche perché sbagliare direzione non è più una questioncella da mao mao micio micio, come direbbe il buon Enzino Iacchetti. Se poi uno l’orientamento ce l’ha nel sangue (mai fidarsi troppo di chi lo dice!), passi, altrimenti… qui ci vorrebbe il classico gesto di portare le dita racchiuse verso la bocca: mangiarsela! Sono pensieri balzati alla mente leggendo il vangelo di oggi sulla nota parabola del seminatore, l’unica che Gesù si perita di spiegare ampiamente agli apostoli perplessi. Non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro, se non che in natura il fatto che il seme cada fra i sassi o fra i rovi, piuttosto che nel terreno fertile è un fatto puramente casuale o al massimo conseguenza di un movimento maldestro del seminatore stesso. Nessuna colpa specifica è imputabile a qualcosa o a qualcuno. Viceversa nell’uomo insiste una responsabilità ben chiara circa le sue impostazioni caratteriale, mentale e spirituale, tutte frutto di sue scelte nel processo formativo. Ebbene, da lui tutta la creazione aspetta una risposta feconda alla Parola, per essere riscattata dalla caducità, come ci dice San Paolo nella seconda lettura. Purtroppo la sua aridità, le sue debolezze, le sue preoccupazioni lo portano a ritardare quella produzione di bene che gli frutterà la completa redenzione. Niente paura, comunque. Il Signore non demorde e Isaia ce lo ricorda: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra … così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. Lo cantiamo spesso alla proclamazione della Parola e c’è da crederci e fidarsi: al Signore non manca il senso dell’orientamento!
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Inserito il 13 Luglio 2017 alle ore 11:41 da Redazione Carpinetum
Ricordiamo ancora che da questa domenica, 16 luglio 2017, passeremo all’orario estivo delle S. Messe.
Nel mattino dei giorni festivi l’orario delle celebrazioni sarà il seguente: 8.30; 10.00; 11.30.
La sera rimarrà invariato: sempre alle 18.30.
L’orario ordinario riprenderà domenica 3 settembre.
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Inserito il 12 Luglio 2017 alle ore 20:43 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 16/7/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 12 Luglio 2017 alle ore 20:09 da Don Gianni Antoniazzi
La solennità del Redentore, nata da una fede profonda, si è trasformata col tempo in un festeggiamento laico, occasione dove molti cercano lo sballo. Urge un ritorno alle origini
In parrocchia siamo per lo più di origini e cultura veneziane. La terza domenica di luglio abbiamo sempre celebrato la Messa con le letture del SS. Redentore: è previsto dal calendario liturgico e ci fa piacere camminare con la Diocesi.
Confesso però che, dato il clima di trasgressione festaiola, talvolta ho avuto i miei dubbi nel celebrare questa ricorrenza. Da principio la festa è stata un appuntamento di fede profonda. Il senato e il popolo di Venezia hanno riconosciuto in Cristo il loro baluardo di salvezza e hanno fatto voto di erigere il tempio se la peste fosse stata vinta. Ancor oggi quel tempio è per noi un segno della fede antica. Tuttavia l’appuntamento si è trasformato in un pretesto per gozzovigliare. Par quasi che si ripeta l’episodio dell’Esodo: Mosè da solo sta con Dio sul Sinai e il popolo, per suo conto, festeggia gli dei pagani col vitello d’oro.
Allo stesso modo noi cristiani, in 4 gatti, rendiamo grazie a Dio per la sua grazia mentre la città, nel suo insieme, fa baldoria nella trasgressione e attira un turismo spesso degradato. La situazione è così compromessa che, in quest’occasione, molti veneziani scappano dalla città e, nell’immaginario, la festa del Redentore è diventata il sabato sera, non la domenica, non la celebrazione dell’Eucaristia.
Resta la speranza che si possa riproporre la fede, sembra però una battaglia persa, un’impresa superiore alle nostre forze.
don Gianni
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