Lettera aperta del 3 dicembre 2017
Inserito il 29 Novembre 2017 alle ore 20:03 da Redazione CarpinetumAbbiamo inserito nel sito lettera aperta del 3/12/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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La liturgia dell’Immacolata ci offre pagine bibliche singolari e profonde. Nell’Antico Testamento c’è il ricordo della prima maledizione: “Maledetto il serpente più di tutte le bestie selvatiche” (Gn 3, 14). è la condanna di Dio contro le realtà che rovinano la natura umana.
Purtroppo questa parola è stata usata anche altre volte, ma dall’uomo contro i suoi fratelli e Dio stesso. Così, con queste divisioni, il segno doloroso del peccato e della rabbia è entrato nel mondo e anche ora ci perseguita. Forse non sempre arriviamo a pronunciare un’imprecazione, ma ci sono momenti in noi e negli altri che possono suscitare l’atteggiamento della ribellione. Ahimé, avviene anche con Dio, perché non capiamo se e quanto Egli ci ama.
È un atteggiamento terribile, quello dell’odio, che si riproduce nella storia. Tuttavia la fatica dell’esistenza non va attribuita agli altri ma al “peccato” che genera malcontento, tristezza, tensioni e guerre. Le letture dell’8 dicembre però fanno risuonare anche il valore contrario. Il Vangelo scrive: «Benedetta tu… benedetta tu tra le donne!» (Lc 1, 42). Questa parola rivolta dall’angelo a Maria indica il meglio di noi stessi: chiamati non a maledire, ma a benedire l’esistenza nostra e degli altri, la vita e il futuro. L’Immacolata è segno di questo, del bene straordinario presente in ciascuno di noi.
don Gianni
Un check-in del tutto particolare è quello che traspare oggi dalle letture che la liturgia ci propone. E del checkin c’è tutta l’aria, in effetti. Anche se uno è un incallito viaggiatore e salta abitualmente da un aereo all’altro, al momento del controllo bagagli vive sempre un pizzico di apprensione: una forbicina per unghie o il flacone del dopobarba trattenuti per sbaglio nel bagaglio a mano innescano un guazzabuglio che intralcia le normali operazioni; le valigie intanto sono già state imbarcate e non puoi rimediare, se non lasciando giù quanto ti viene contestato. Se poi non sei un esperto, allora rimugini sul peso dei tuoi colli, sulle loro misure e sulla regolarità dei documenti, finché l’iter non è completato. E tutto sommato in questi disguidi non è questione di vita o di morte, ma di ciò che si parla nel Vangelo di oggi sì. Vi ricordate quando due domeniche fa si diceva che al momento di entrare nell’altra vita il bagaglio che ci saremmo portati appresso avrebbe deciso la nostra sorte? Ebbene, oggi ci viene chiarito esattamente qual è, in termini quantitativi (la famosa resa dei talenti cui si accennava la scorsa settimana) e qualitativi. A fare le pulci a tutto e a decidere chi passa e chi no nel Regno è nientemeno che il Re in persona, che sancisce proprio con questa operazione la sua qualifica; quel Re che oggi appunto celebriamo nella figura di Gesù che torna nella sua gloria. Quello stesso Gesù che dovremmo aver notato in ogni aspetto del nostro prossimo, specie se diseredato, povero ed emarginato. Un Gesù che ci spetta di promuovere in ogni angolo della terra, affinché tutti i popoli siano ricondotti a Lui e perché solo così la sua regalità diventa piena e solo così la sua missione di salvezza acquista un senso. Certo, la missionarietà è una grossa responsabilità che ci è stata affidata e per assolverla fino in fondo non possiamo centellinare né disponibilità né talenti. Il peggior modo di rispondere sarebbe quello dell’elusione o del “rinvio tanto c’è tempo” e sarebbe la nostra fine, come quella delle vergini rimaste senz’olio. I comandamenti e i precetti osservati, quindi, potranno giovarci ben poco se avremo trascurato le opere di misericordia corporale e spirituale, apprese fin da piccoli dal catechismo. E allora termino parafrasando la domanda con la quale ho concluso la volta scorsa: in questo momento saremmo pronti a fare il check-in col nostro bagaglio?
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 26/11/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Al Germoglio i genitori apprezzano il lavoro delle educatrici, la qualità della mensa interna, la flessibilità degli orari, la stabilità del servizio: mai un giorno di chiusura in tanti anni di lavoro. C’è il laboratorio di lingua straniera, di sport, danza, musica e altro ancora. L’ambiente è sereno, sicuro, stimolante, ordinario, efficiente e senza fronzoli. Si fa presto a parlare, ma la prova del valore viene dalle liste di attesa mai così lunghe.
La scuola pubblica, invece, pur ricca dei fondi statali, è debole nella credibilità: nonostante la passione delle educatrici, vi sono dissidi interni, mal funzionamento nelle mense e scioperi improvvisi.
Merito dunque al Germoglio, a chi ne ha posto le basi (la straordinaria Lina Tavolin), alle educatrici e al personale di questi anni, a Fiorella Vanin, l’attuale direttrice che merita applausi.
Tanta professionalità non viene evidentemente riconosciuta dalle autorità pubbliche che non sopportano i privati, quando denunciano con i fatti gli sperperi di governo: da prima il Comune ci ha ridotto i contributi del 15% (7.780 euro all’anno) poi ha aumentato le tasse (4.200 euro all’anno) e infine, su spinta della FISM e della Curia, ha voluto ridistribuire i fondi togliendoci di fatto altri 12.000 euro all’anno. Anche la Regione ha fatto la sua parte e ha ridotto del 14,5% i suoi contributi facendoli scendere prima di 3.000 e ora di 6.000 euro l’anno.
L’Italia non ha mai premiato né l’iniziativa né l’impegno, si sa, e concede contributi a chi vive sulle spalle altrui. Ma esiste anche gente che non molla e, con sereno coraggio, trova soluzioni alternative.
Sabato e domenica prossimi (25-26 novembre) ci sarà il mercatino di Natale e Carpenedo potrà dare una mano alla sua storica scuola. Confidiamo che al posto dei grandi centri commerciali, qualche regalo di Natale possa trovare qui le sue radici.
don Gianni
La vita va investita. Nel percorso escatologico di cui si parlava domenica scorsa, non poteva mancare l’arcinota parabola dei talenti, che stimola il plauso per i due che hanno saputo raddoppiare il capitale loro affidato e la disistima per il tapino che ha sotterrato l’unico talento per paura di perderlo o che gli fosse trafugato. E se ai bravi fosse andata male e con investimenti sbagliati si fossero mangiati il capitale? Cambierebbe il nostro giudizio nei confronti del più cauto? Forse no: siamo tutti convinti che se si vogliono raggiungere buoni profitti od obiettivi ambiti occorre saper rischiare, nel poco e nel molto, anche se ci rendiamo conto che può andar male. Chiaro che rischiare non è sinonimo di agire in modo avventato. Il padrone stesso, descritto da Gesù, non rimprovera il servo infingardo per non aver rischiato, bensì per non aver nemmeno affidato il denaro ai banchieri affinché fruttasse almeno gli interessi. Andiamo piano, comunque, a sorridere con una certa sufficienza di quest’ultimo: gratta gratta, se analizziamo bene la stragrande maggioranza dei nostri comportamenti, non siamo tanto diversi. Tendiamo, infatti, a ricercare tutti gli elementi che ci possono far condurre una vita tranquilla, senza eccessivi pensieri, evitando per quanto possibile fattori di contrasto o di preoccupazione. Chi investe e rischia, poi, non può fermarsi là, deve difendere i risultati e i capitali solo continuando a rischiare e a investire. E che vita è? Anche se s’investe sul sociale ci devi rimettere la faccia e il tempo, non contando che ti riempi di rogne senza ottenere in cambio alcun compenso. Lottare per migliorare, ammesso poi che ci si riesca, è stressante. Rispondere positivamente a certi appelli? Attenti, gli dai una mano e ti prendono un braccio! E così via. Per questo, tra l’altro, se c’è bisogno di qualcuno, risponderà più facilmente quello che ha già mille impegni, piuttosto di colui che non ha niente da fare. Ecco la terra sotto la quale sotterriamo il nostro “talento” e magari saremmo anche capaci di borbottare che pure il nostro Maestro sposa la tesi che “i schei va dai schei”, visto che alla fine premia chi ha già tanto e a chi ha poco toglie anche quel poco che ha. Leggiamola in proiezione e supponiamo per un attimo di essere chiamati ora a oltrepassare la soglia: potremmo in tutta sincerità dire di aver usato la vita che ci è stata affidata in modo corretto? Per quanto mi riguarda, ho dei profondi dubbi.
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 19/11/2017. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Fin dal 1631 la Serenissima Repubblica di Venezia ha celebrato un pellegrinaggio alla Madonna della Salute per ringraziare il Signore del dono della vita, dopo la celebre peste che decimò la popolazione (quella dei promessi Sposi, per intendersi).
Il pellegrinaggio alla basilica ha luogo il 21 novembre e ancor oggi si celebra spontaneamente non solo in città, ma anche a Trieste e in numerosi paesi dell’antica Repubblica: nell’Italia, in Istria, in Dalmazia e perfino in alcune isole greche.
La Serenissima, infatti, per permettere alle popolazioni distanti dalla Capitale di osservare l’impegno promesso, favorì la costruzione in tutto il territorio di santuari dedicati alla Madonna della Salute, che ancor oggi, come a Venezia, sono meta di pellegrinaggi.
Anche in questa chiesa di Carpenedo viene allestito un altare con l’icona della Vergine davanti alla quale è possibile rendere grazie per la salute ricevuta e supplicare il Signore perché ci aiuti a farne dono ai fratelli, finché non sia compiuto il tempo del nostro pellegrinaggio. È questa la vera salute, per tutta la persona, a livello fisico e spirituale.
don Gianni
I Santi, i morti, novembre: tutti elementi che inducono a distogliere anche il più agnostico dei miscredenti dalle sue incombenze di routine e dalle sue attenzioni “terra terra”, per elevare la mente almeno al concetto della caducità della vita. Il semplice cader di foglie è un richiamo alla temporaneità del nostro passaggio in questa natura, dove tutto è destinato a finire, universo compreso, sebbene il processo preveda un continuo rigenerarsi e nascere, ma non rinascere: infatti ogni nascita attinge linfa da ciò che c’era ed offre elementi di continuità, ma avrà comunque come meta a sua volta la morte. Anche per noi credenti, non meno di altri dediti a voli radenti attorno alla nostra quotidianità, questo periodo serve ad alzare la testa e ad elevare lo spirito, proteso oltre il limite della vita terrena. La liturgia di queste ultime tre domeniche ci aiuta molto allo scopo, in quanto pregna di richiami escatologici; ed è un bene che sia così, perché in genere ci è poco congeniale ricordare quella parte di catechismo che riguarda “I Novissimi”: morte, giudizio (particolare e universale), inferno e paradiso. È importante invece far su essi mente locale, perché ribaltano i concetti con i quali siamo vissuti (e sennò che “altra vita” sarebbe!?). La nota parabola delle dieci vergini, cinque sagge e cinque stolte, che attendono lo sposo, per esempio, se rivolta alla nostra realtà sembra quasi un’apologia della grettezza: le stolte saranno state anche delle sprovvedute a rimanere senz’olio, ma le sagge, che non se ne privano di una goccia per paura che poi venga a mancar loro, che esempio di solidarietà danno? E lo sposo che sbatte la porta in faccia alle prime, corse a rifornirsi e quindi giunte in ritardo, che richiamo alla misericordia è? C’è contrasto con la parabola della vigna, quando il padrone dà la stessa paga giornaliera pure a chi ha lavorato solo un’ora! Ecco il punto: il padrone non è andato a distribuire soldi in piazza a chi non ha lavorato. La Misericordia divina soccorre fino all’ultimo istante, poi subentra la Giustizia infinita. L’odierna parabola delle vergini a quel momento si riferisce. Chi oltrepassa la soglia impreparato, viene preso col bagaglio che ha e non può tornare indietro a recuperare alcunché. Fra un paio di domeniche vedremo in che cosa dovrà consistere questo bagaglio. Oggi, intanto, becchiamoci il richiamo del nostro Maestro: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.
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