Inserito il 27 Novembre 2019 alle ore 20:48 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 1°/12/2019. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Ricordiamo che in coda al foglio vengono pubblicate le pagine dedicate alla parrocchia della Ss. Trinità di via Terraglio 74/C (Mestre – VE) guidata da mons. Fabio Longoni.
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Inserito il 27 Novembre 2019 alle ore 20:41 da Don Gianni Antoniazzi
L’Avvento è il tempo di preparazione alla nascita del Signore, festa oramai soffocata da un incredibile ciarpame di spese, regali, pranzi e auguri. Chi è di Cristo risalti in queste settimane il dono della fede.
Inutile cercare parole raffinate: il Natale è diventato un pretesto per alimentare l’economia, rivestito di sentimenti dolciastri fino alla nausea. Per fortuna, quest’anno, in Italia è cresciuta come un uragano la febbre del Black Friday, che di fatto anticipa di un mese la corsa ai regali. E tuttavia resta faticoso riportare il Natale nei binari del Vangelo. Pensiamo alla Pentecoste: in quel caso c’è da combattere la superficialità degli occidentali per sottrarre la Festa alla noncuranza. Per il Natale vale il rovescio: è importante liberarlo dall’attenzione mediatica che lo rende un appuntamento pagano.
Purtroppo, la nascita del Signore non è l’unica ad essere strumentalizzata. Qualcosa di analogo sta succedendo quando nascono i nostri figli. Si festeggia in modo sproporzionato. Già in anticipo ci sono ritrovi di amiche e parenti. Seguono valanghe di auguri alla nascita e feste e festicciole al compimento del mese, dei sei mesi e dell’anno. Sono sovrapposizioni che tolgono attenzione al bambino e al suo futuro.
L’Avvento è il cammino per vivere il Natale liberi dagli orpelli del mondo. Dio ha preso dimora fra noi e si compromette con la storia umana: da quel momento ogni fatica e sofferenza è salvata dalla sua presenza.
don Gianni
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Inserito il 24 Novembre 2019 alle ore 10:00 da Plinio Borghi
Governare non è facile. Già comandare è difficoltoso, perché richiede una certa attitudine. Figurarsi il regnare! Che di norma parte da uno dei due presupposti: o per lignaggio o per usurpazione (dittatura), comunque senza il consenso del popolo. Infatti, il re è detto anche “sovrano”, proprio perché sta sopra di tutti come figura incombente. Eppure fra tutte le qualifiche che Gesù avrebbe potuto attribuirsi ha scelto per sé quella di Re. E, a scanso di equivoci, ha sempre parlato di Regno dei cieli, di annuncio del Regno, di Re che tornerà nella sua gloria quando tutte le dominazioni gli saranno state sottoposte; perfino Paolo parla di “principati” e “potestà”. Ci tiene il nostro Salvatore a questo titolo, tant’è vero che da Pilato fa scena muta, salvo irrompere con veemenza proprio per affermare questa sua regalità: “Tu l’hai detto, io sono Re!”. Al punto che lo stesso governatore, travisando, imporrà sulla croce una scritta limitativa, ma in ogni caso significativa: “Gesù Nazareno Re dei Giudei”. Qualche pignolo potrebbe obiettare che quelli erano tempi diversi, quando prevalevano troni e titoli nobiliari, che la democrazia era tutta da inventare, ecc. Vero, a parte che la cultura greca aveva ben introdotto i concetti delle varie forme di governo, ma come mai anche al giorno d’oggi, nel nostro piccolo, ci ritroviamo ad usare le stesse terminologie quando vogliamo sublimare persone, ruoli e ambienti? Uno si “veste come un principe”, quando sta bene a casa si sente “nel suo regno”, la donna di casa è ancora “la regina del focolare”, chi ti conquista con l’amore diventa “re (o regina) del mio cuore” e così via. Ci sono ancora un paio di “effetti speciali” nella proposta del nostro divin Maestro: il “trono” è rappresentato dalla croce sulla quale viene elevato e i “sudditi” in sua presenza non devono chinare la testa, bensì alzarla e guardarlo fisso come segno di speranza. Non è per niente un’improvvisazione, ma un progetto stabilito dal Padre; infatti, l’aveva detto molto prima che, allorché fosse stato innalzato, tutti avrebbero guardato a lui, unica porta per la nostra eterna salvezza. E in quel “tutti” c’è l’obiettivo che ci guida da qui fino alla fine dei secoli: la riconsegna dell’umanità intera, redenta e finalmente salvata, a Chi ha affidato al Figlio dell’Uomo lo “scettro” come segno della sua mission. Noi siamo al suo fianco? Nemmeno un re può essere tale senza un seguito. E sulla nostra adesione si basa il successo di tutta l’operazione. È una bella responsabilità.
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Inserito il 20 Novembre 2019 alle ore 19:28 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 24/11/2019. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Ricordiamo che in coda al foglio vengono pubblicate le pagine dedicate alla parrocchia della Ss. Trinità di via Terraglio 74/C (Mestre – VE) guidata da mons. Fabio Longoni.
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Inserito il 20 Novembre 2019 alle ore 19:09 da Don Gianni Antoniazzi
Le difficoltà per le maree hanno messo tutti a dura prova: abbiamo il dovere di sostenere la nostra città Anche papa Francesco chiede ai discepoli di Cristo la piena responsabilità per le sorti della vita civile
Il Centro e le Isole di Venezia hanno sofferto a lungo l’acqua alta. Siamo partecipi del dramma: in laguna abbiamo parenti, affetti e memorie; molti fra noi vi lavorano regolarmente. Ai danni va unita la sfiducia che porterà altri residenti a lasciare le isole.
Per solito sono prudente nei complimenti. Questa volta li esprimo con convinzione. Prima al Sindaco. Brugnaro è sempre stato ripreso e fotografato in mezzo all’acqua, con stivali alti. Lavora con passione per la città. Serve una figura come questa, concreta e capace di organizzare gli interventi. Oltre ad essere Commissario, forse sarebbe la persona adatta a completare il Mose.
Un plauso ai veneziani: intervistati sui media hanno sempre ribadito la voglia di rialzarsi. Anche il Patriarca e i sacerdoti del centro lavorano senza sosta. È un onore sentire tanta energia. E poi grazie ai tanti, tantissimi volontari che, anche dalla parrocchia, hanno dato una mano come potevano. È un segno di fraternità prezioso che scalda più del sole.
Nei giorni scorsi abbiamo sperimentato la fragilità. Insieme ai drammi abbiamo visto anche segni di speranza che non saranno dimenticati.
don Gianni
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Inserito il 17 Novembre 2019 alle ore 10:00 da Plinio Borghi
Un carattere distintivo del nostro essere cristiani è o dovrebbe essere proprio il modo con il quale affrontiamo la vita, nel bene e nel male, in ogni sua fase, compresa la morte, che ne fa parte integrante ed essenziale. Noi dovremmo muoverci sempre con un occhio rivolto al fine ultimo, che è il “dopo”, e da quello assumere tutti gli atteggiamenti e le direzioni conseguenti. Un po’ come fa l’artigliere che, per sparare verso un obiettivo, deve crearsi il cosiddetto “falso scopo” sul quale costruire le coordinate. La settimana scorsa abbiamo ragionato sull’essere testimoni di speranza, ma ciò non può limitarsi a una dichiarazione di principio, pronti a cadere nella disperazione più plateale non appena sentiamo puzza di bruciato. Dobbiamo muoverci di conseguenza, dimostrando nei fatti che la nostra speranza è vera, convinta e solida. Se tutto va bene non è molto difficile, ma se le cose si mettono male, se incontriamo difficoltà nella gestione del quotidiano, nel lavoro, nella salute, nella presenza di grave pericolo, fosse anche quello di morire, scatta la prova del nove. Il che non significa non avere paura né di non manifestarla, fa parte della nostra debolezza umana ed è una buona arma di salvaguardia, ma occorre essere pronti a correggere il tiro e ad aggrapparci all’ancora della nostra fede, affrontando le cose nella consapevolezza che in ogni caso siamo diretti altrove e quindi con calma e determinazione. D’altra parte, il quadretto “edificante” che ci fa Gesù sul vangelo di oggi circa le disgrazie che investiranno l’umanità non lascia spazio a nulla di peggio. Di più, ci mette anche in guardia dai falsi profeti che si spacceranno per Lui, che in ogni circostanza vorranno indicarci altre strade da percorrere per uscirne indenni. E se li snobbiamo, ci combatteranno e ci provocheranno per metterci alla prova e allora la nostra forza trarrà linfa da quella fede che ci ha forgiato e da quella speranza proclamata come certezza. Eh, si dirà, lo spirito sarà anche forte, ma è la carne che continua ad essere debole! Come saremo in grado di reggere alle controversie? Ancora una volta il nostro Maestro (e futuro Giudice) ci rassicura: “Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere”. E conclude: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. Qui purtroppo c’è da superare la mina vagante della pigrizia. Sappiamoci regolare.
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Inserito il 14 Novembre 2019 alle ore 11:02 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 17/11/2019. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
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Inserito il 14 Novembre 2019 alle ore 10:02 da Don Gianni Antoniazzi
Registriamo segni di fragilità anche in parrocchia, nel territorio, a livello sociale e civile. Pregare Dio per la salute significa guardare con occhi diversi la realtà e trasformare le fragilità in punti di forza.
Certo: esistono debolezze fisiche e limiti umani, fragilità nella comunità cristiana, nell’ambiente di lavoro, della vita sociale e politica. Possiamo spaventarci per queste fatiche e cercare di nasconderle. La paura, però, somiglia a un cane: se scappi ti morde.
Non sempre è possibile e necessario eliminare le fragilità. Per esempio: ci sono genitori dispiaciuti se il figlio è timido. Si spera che il temperamento cambi. Ma chi ha detto che la timidezza sia una povertà o un peso? Di solito i timidi sono più sensibili. La timidezza allora diventa anche una risorsa. Così, ciò che consideriamo fragile spesso è un trampolino per crescere.
La Bibbia scrive: “La pietra scartata è diventata pietra angolare”. Le debolezze affrontate e superate diventano alla fine ricchezze personali. Il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. Mentre supplichiamo il Signore per la salute, chiediamo che cambi il nostro sguardo sulle fragilità che ci circondano.
don Gianni
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Inserito il 10 Novembre 2019 alle ore 10:00 da Plinio Borghi
Essere testimoni di speranza. In queste domeniche che vanno dalla festa dei Santi e commemorazione dei defunti alla chiusura dell’anno liturgico si vive più del solito il clima escatologico, permeato da un argomento preminente: la speranza. Nessuno sa cosa ci aspetti dopo la morte e in tutti i tempi non è mai mancato chi vi abbia filosofato per dritto e per storto. La nostra fede ci fornisce alcune risposte, ma nemmeno Gesù ha voluto essere esaustivo in merito, giustificando che non saremmo in grado di capire: basti sapere che godremo della completa felicità in Dio, un Dio che ci vuole tutti salvi, che ci aspetta anche quando lo rifiutiamo e siamo lontani da Lui, perché, come riporta l’ultima frase del vangelo di oggi, “Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. I Sadducei descritti all’inizio del brano, rimestando motivazioni speciose e situazioni surreali (per nulla diversi dai detrattori di sempre), fanno sbilanciare un po’ il Maestro con l’affermazione che, in quanto risorti e figli di Dio, “saremo uguali agli angeli”, ma, siccome non sappiamo nemmeno come siano gli angeli, non rosicchiamo nulla di più. Ci resta la speranza, quella stessa che ha animato e incoraggiato anche i sette fratelli e la madre, descritti nella prima lettura, dal libro dei Maccabei, fino al punto di scegliere la morte piuttosto che rinunciare alla propria fede, nella certezza della resurrezione alla vita eterna. Una speranza, quindi, che è certezza. È un motivo conduttore che ritroviamo, oltre che in questo periodo, anche in ogni occasione della liturgia del commiato. Qualcuno può insinuare che si tratta di una panacea, la solita fiaba per far stare tranquilli i bambini agitati. Costui trascura che la speranza è uno dei sentimenti più “laici” che ci caratterizza nelle nostre performance della vita, sempre che vogliamo in qualche modo viverla alla grande. A partire dalle attività sportive, dove ognuno si cimenta per ottenere il meglio, e proseguendo per quelle di studio, lavorative e politiche, fino alla ricerca e alla cultura, la spinta è sempre una speranza che vuol essere certezza, altrimenti non si arriva da alcuna parte. A sostenerla, poi, ci sono allenatori, promotori, trainer, testimonial, talvolta anche imbonitori, ma lo scopo è sempre quello di stimolo. Nella fede non è diverso. Nei Santi e nei martiri li abbiamo avuti tutti, ma c’è un riferimento eccellente e rassicurante: Gesù Cristo stesso. A noi spetta il compito di essere testimoni della vera speranza.
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Inserito il 9 Novembre 2019 alle ore 18:20 da Redazione Carpinetum
Abbiamo inserito nel sito lettera aperta del 10/11/2019. Aspettiamo i vostri commenti in email o direttamente sul blog.
Ci scusiamo per il ritardo nella pubblicazione sul web di questo numero, stampato e diffuso nel territorio parrocchiale come al solito mercoledì.
Da alcune settimane in coda al foglio vengono pubblicate le pagine dedicate alla parrocchia della Ss. Trinità di via Terraglio 74/C (Mestre – VE), ora guidata da mons. Fabio Longoni.
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