Il blog di Carpenedo

Il blog di Carpenedo
La vita della Comunità parrocchiale dei Ss. Gervasio e Protasio di Carpenedo

Settimana ricca di riferimenti

Inserito il 3 Ottobre 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

Settimana ricca di riferimenti quella che stiamo attraversando: mercoledì 29 i tre Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, il primo anche patrono di Mestre; giovedì 30 San Girolamo, dottore della Chiesa, un pezzo da 90 e co-patrono di Mestre, al quale è dedicata la nostra chiesa più vecchia; l’1 ottobre Santa Teresa di Gesù Bambino, altro dottore della Chiesa e patrona delle missioni, senza mai essersi mossa dal convento; il 2 i Santi Angeli custodi e quindi festa dei nonni, il 4 san Francesco d’Assisi, patrono d?Italia; il 5 Santa Faustina Kowalska, tanto cara a Giovanni Paolo II; il 7 la Beata Vergine del Rosario. Non c’è che dire, un bel florilegio di esempi di come i disegni del Padre si muovano in direzioni ben diverse dalle nostre e dalla nostra logica. Ciò che accomuna la vita di tutti i santi, comunque, è l’umiltà e l’accettazione “a scatola chiusa” del progetto di Dio su di noi, come Maria, in primis, ha dimostrato. Non a caso il nostro Maestro insiste da qualche settimana, e anche oggi, nel mettere in primo piano i bambini come parametro: se non diventeremo come loro il Regno dei cieli ce lo sogniamo. Anche la comprensione della lieta novella è riservata ai piccoli, non tanto con riferimento all’età, quanto alla capacità di “farsi” tabula rasa, sulla quale scrivere. Ciò non significa che non si debba porsi delle domande, che ogni dubbio sia fugato. Anche la fanciulla di Nazaret ne ha manifestato al Nunzio, ma, ottenutane risposta, ha accolto il tutto senza soluzione di continuità. E questo è l’altro aspetto della liturgia di oggi, che in quasi tutti i matrimoni ci siamo sciroppati: l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto. Il per sempre ha solo un significato: la risposta al progetto di Dio non ha termini di scadenza e non la si può dare a rate. Qualcuno potrebbe obiettare che pure la Chiesa ha sciolto voti e legami, ma è fin troppo semplice ricordargli che il potere le è stato conferito direttamente da Cristo. Certo, la nostra fallacità è scontata e tradimenti, separazioni e divorzi sono all’ordine del giorno, ma a nessuno è dato di giudicare in che modo e perché si siano scelte strade improbabili per mettere in discussione l’accoglienza dell’altro e la continuità. Spetterà solo al Giudice supremo entrare nel merito. Anche Gesù giustifica il ripudio introdotto da Mosè per la durezza di cuore di chi lo interrogava. Ecco, a noi spetta far breccia sui cervelli impenetrabili testimoniando la verità. Anche e soprattutto con l’esempio.

E pensar ch’el va tanto in ciesa!

Inserito il 26 Settembre 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

E pensar ch’el va tanto in ciesa! Quante volte avremo esclamato questa frase in presenza di un comportamento poco edificante di qualcuno! O quante volte ce la saremo sentita rivolgere a fronte delle nostre incoerenze! Io da piccolo, quando facevo il quarantotto, me la sentivo continuamente gridare da mia madre esasperata, ma le occasioni non sono mancate anche da più grandicello e da adulto e, ovviamente, non più dalla mamma. Il richiamo non è peregrino e non è detto che l’autore sia sempre persona irreprensibile, anzi, ma mette il dito nella piaga circa quello che ci si aspetta “almeno” da un cristiano praticante. Il brutto è poi se il buon esempio ci arriva da coloro che praticano poco o sono addirittura non credenti e spiace dover constatare quanto parecchie volte costoro prendano le distanze da noi. Volendo allargarsi potremmo fare l’esempio di Gandhi, ma il discorso vale anche per il vicino di casa. Se poi scivoliamo addirittura nello scandalo, allora è meglio che ci prendiamo in mano la seconda lettura di oggi, dalla lettera di San Giacomo apostolo, e ci facciamo un bell’esame di coscienza. Dopo di che passiamo ai suggerimenti che Gesù ci invia dal vangelo, e cioè di tagliare tutto ciò che ci induce a dare scandalo, e avremo compiuto una bella opera di pulizia. Arriveremo alla resa dei conti un po’ storpi e malconci, ma salvi. Al qual proposito, proprio in premessa il nostro Maestro, invertendo ancora una volta la logica delle cose, sembra fare più spazio a chi opera bene nei fatti, prima ancora che ai propri seguaci, magari un po’ pettegoli ed esclusivisti. Questi infatti protestavano perché taluni “che non erano dei loro” si stavano comportando forse meglio. Il motto “chi non è con noi è contro di noi” col Messia non regge: nessuno può scacciare demoni se appartiene al demonio o fare del bene se non è per il bene. Quindi eccolo con la novità: “Chi non è contro di noi è per noi”. All inclusive, altro che distinguo! Stiamo attenti piuttosto a non essere noi a trovarci spiazzati. C’è stato un analogo precedente anche con Mosè, riportato nella prima lettura. Egli redarguisce il figlio di Nun, suo servitore, chiedendogli se agisca per gelosia e aggiunge: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore riporre su di loro il suo spirito!”. La morale è scontata: massima apertura per chi opera bene e preghiamo semmai perché siano gratificati del valore aggiunto, che è la fede.

“Serve chi serve, chi non serve non serve”

Inserito il 19 Settembre 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

“Serve chi serve, chi non serve non serve” è la massima coniata dal compianto don Franco De Pieri, mancato nel 2015 e che nell’ultimo anno della sua vita ha tenuto parecchi incontri anche nella nostra parrocchia. Penso che l’abbia attinta dall’odierno brano del Vangelo, dove Gesù raccomanda: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Non è la prima occasione in cui il richiamo che gli ultimi saranno i primi e viceversa risuona fra le labbra del Maestro, ma stavolta “definisce” come si è ultimi e come si arriva ad essere primi: servendo. Ne consegue che se uno non assume questo ruolo nei confronti degli altri, non conta niente, non serve a nulla. È il primo passo verso la carità vera, così ben definita da San Paolo nelle sue lettere. Sarà poi Gesù stesso di lì a poco a fornire un esempio simbolico, quando s’inginocchierà a lavare i piedi agli apostoli prima dell’ultima cena. Pietro, in quella circostanza, accenna a rifiutare cotanta umiliazione e si beccherà ancora un avvertimento: se non ti lascerai lavare i piedi, non avrai parte con me. L’insegnamento è diretto anche a chi deve lasciarsi servire. Oggi la faccenda è ancor più delicata, perché cade a ridosso di una debolezza che il Messia ha colto fra i suoi: la discussione fra chi fosse il più importante fra loro. Non è per niente una questioncella di lana caprina, anzi, è l’incipit di una delle devianze più consistenti dei nostri comportamenti, che innesca la gelosia, l’invidia, l’arrivismo, la contrapposizione e quant’altro, insomma la negazione delle norme più elementari per esercitare la carità stessa. Il tutto parte dalla sopravvalutazione di noi stessi, che non siamo per niente portati, nel confrontarci con gli altri, a sentirci un tantino inferiori. Se poi siamo costretti a prenderne atto, apriti cielo: non esiste sana concorrenza, ma solo boicottamento e aggressività. Qui siamo alla negazione anche di quel pizzico di umiltà, che dovrebbe essere il segno distintivo dei cristiani, cioè dei seguaci di Cristo. Se poi veniamo ripresi, neghiamo anche l’evidenza; geloso io?, ma quando mai!; invidioso io?, ma che dici, io non ho nulla da invidiare a nessuno! E questa frase diventa la prova del nove della nostra fallacità. Diamoci una ridimensionata, partendo dal principio che dagli altri abbiamo sempre qualcosa da imparare. A metro di paragone Gesù chiama ancora una volta un bambino: dobbiamo diventare plasmabili come lui, se vogliamo servire alla causa.

Ritagliarsi un’immagine di Gesù a proprio uso e consumo…

Inserito il 12 Settembre 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

Ritagliarsi un’immagine di Gesù a proprio uso e consumo o secondo un personale concetto di sequela è cosa abbastanza diffusa e non solo in campo laico. D’altronde non sarebbe che il prologo del relativismo così tanto stigmatizzato dal Papa emerito prima e dallo stesso Francesco oggi. È anche vero che la figura poliedrica del Messia si presta facilmente a questa operazione, tant’è vero che nel vangelo di oggi si chiede anche lui che cosa dicano gli altri della sua persona e la risposta riporta le più svariate ipotesi. Il fatto è che allora non era ancora maturo il tempo per una rivelazione completa, intuita per grazia di Dio solo da Pietro e dagli apostoli, ai quali appunto raccomanda di non farne parola con alcuno, almeno per il momento. Oggi siamo stati ampiamente affrancati da questo vincolo e anzi impegnati a conclamare che Lui era l’unto dal Signore, il Cristo redentore del mondo. Eppure, se il Maestro dovesse chiedermi ancora: “Tu chi dici che io sia?”, sarei in forte imbarazzo a rispondere, perché sarei tentato di mettere bene in risalto alcuni aspetti che mi quagliano meglio, a scapito di altri che fatico ancora a introiettare. In buona sostanza noi siamo portati a trattare il Salvatore come ci rapportiamo fra noi: quando una persona ci fa comodo, ne minimizziamo gli aspetti negativi ed enfatizziamo quelli positivi, anche se sono pochi; al contrario, se non ci va, quelli negativi diventano macigni. E questo succede a tutti i livelli, politico, scientifico, culturale e financo educativo, dai quali dovremmo invece trarre insegnamento e in questo periodo il ventaglio degli esempi è nutrito. Verso Gesù, l?atteggiamento di trattarlo come uno di noi sarebbe anche positivo, se però non scivolassimo negli stessi termini e non prendessimo la buona novella (il Vangelo) come un canovaccio. Ci ha provato anche il buon Pietro, applicando la logica umana, che avrebbe portato alla compromissione del progetto divino, e s’è preso del “satana”. Al Signore non vanno bene le mezze misure: seguirlo significa letteralmente “stargli dietro”, mettere in pratica la sua parola, rinnegare sé stessi e quindi il nostro modo di vedere e discriminare, prendere anche noi la nostra croce, che in ogni caso la vita ci ha posto sulle spalle. Qui non c’è spazio per l’elusione, per tentativi di dimensionamento della croce: Gesù ci ha assicurato che il suo giogo è leggero e quindi adatto a chiunque. Conta saperlo tenere in toto e con coerenza, altrimenti avremo solo perso tempo. E la vita.

La riprovazione di Mattarella

Inserito il 5 Settembre 2021 alle ore 10:02 da Plinio Borghi

La riprovazione di Mattarella rivolta gli Stati europei che a parole reclamano la difesa dei diritti degli afghani, con particolare attenzione alla condizione delle donne e dei bambini, destinati a prospettive poco allettanti, ma poi nei fatti poco o nulla fanno per la loro accoglienza, anzi la ostacolano, ci inorgoglisce e cade a fagiolo col vangelo di domenica scorsa, quando Gesù citava Isaia con “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. In queste circostanze, purtroppo, tornano alla ribalta tutti gli errori che si sono compiuti nel processo di costituzione dell’Unione Europea, a partire da uno statuto non agganciato fermamente ai principi che stanno alla base della nostra identità e a finire col guardarsi bene dal rinunciare a qualche prerogativa propria di uno Stato sovrano, come la politica estera e la difesa. Siamo un’unione di facciata, le cui vergogne abbiamo tentato di nascondere dietro la minuta foglia di fico dell’Euro e di qualche intesa economica, senza apprezzabile successo, vista la fuga di pezzi da 90 come l’Inghilterra. Un’analisi estranea potrebbe tranquillamente decretare che non abbiamo fatto per niente bene ogni cosa, al contrario di quello che i suoi contemporanei dicono del Messia nella pericope in lettura oggi: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”. Egli realizza il progetto di salvezza di Dio, profetizzato sempre da Isaia. Perché i nostri modesti profeti, fautori di quest’Europa, non si sono tosto preoccupati di un modello decente da porre come obiettivo, prima di attrezzarsi come dilettanti allo sbaraglio? Avremmo almeno avuto un termine di paragone per sapere se ogni cosa era stata fatta secondo i criteri corrispondenti al progetto. Macché. E così oggi stiamo rincorrendo il contingente, come abbiamo fatto con i vaccini, aggrappandoci a dichiarazioni che puzzano più di fasullo che di buone intenzioni. Gesù continua invano a miracolare sempre i deboli, gli emarginati, gli indegni agli occhi dei benpensanti, per far passare il senso della buona novella, che, ovvio, ha mire più elevate, che però non possono prescindere dall’attenzione al corpo e alle persone, specie se diseredate, come sono oggi gli afghani. La nostra dignità di cristiani non passa per l’occhio di riguardo al potentato economico, come ci avverte San Paolo, bensì per come ci atteggeremo verso i nuovi arrivi. Inutile aggiungere che ogni cosa che faremo a ognuno di loro, sarà come fatta a Cristo: lo sappiamo molto bene.

Anche Gesù coi no-Covid?

Inserito il 29 Agosto 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

Anche Gesù coi no-Covid? Se prendiamo alla lettera le sue parole nel vangelo di oggi, dopo che alcuni scribi e farisei volevano mettere in mora gli apostoli perché non si lavavano le mani prima di mangiare e non facevano le abluzioni, sembrerebbe di sì: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possano renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”. Tenuto conto che a quei tempi ogni malattia costituiva un segnale di impurità (l’esempio più estremo era l’atteggiamento verso i lebbrosi) e che il veicolo più scontato erano le mani e la bocca, si potrebbe attribuire al Maestro una certa leggerezza e, se fossi un no-Covid, ne farei una bandiera. Ma sarei parimenti uno sprovveduto, perché non terrei conto di due fattori del contesto: gli interlocutori, infidi e subdoli, sono più attenti alle formalità che alla sostanza e. di conseguenza, l’atteggiamento di Gesù è teso più a screditarli che a difendere per partito preso i discepoli per quanto contestabili. A sistemare i primi non c’è voluto molto: è bastato chiamare in causa Isaia, che ha profetato redarguendo gli ipocriti con “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. In poche parole una condanna a chi si limita alla ritualità, al culto delle formalità, senza coinvolgimento di amore. È sufficiente pensare a quanti orpelli si sono intessuti e si intessono per l’osservanza dei precetti mentre Gesù si è limitato a riassumerli in due direttive essenziali: ama Dio e il prossimo con tutto te stesso. Non significa che la lode, il contegno o la solennità nel farlo siano elementi negativi, purché non diventino fine a sé stessi e, purtroppo, è un problema che ancor oggi la nostra coscienza dovrebbe porsi, specie se la nostra partecipazione tende a diventare di routine o è legata più ad esigenze “fisiche” che spirituali, magari alle tradizioni piuttosto che ai motivi che le hanno innescate. Gesù prosegue poi il suo discorso più rivolto ai suoi che ai provocatori, elencando tutte le impurità, quelle vere, che escono invece dall’intimo degli uomini e sono altamente inquinanti, per sé stessi e per gli altri, a partire dalla stoltezza, che Lui elenca per ultima, ma che di fatto è poi la madre delle scelte sbagliate che facciamo. Chiaro che, se il mondo assorbe queste iniquità, pure dal mondo possiamo restare contaminati. Qui subentra il nostro senso di responsabilità, che anche San Paolo ci richiama nella seconda lettura: mettere in pratica la Parola e non limitarsi ad ascoltarla.

“Tu hai parole di vita eterna”

Inserito il 22 Agosto 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

“Tu hai parole di vita eterna” ribattono gli apostoli al Maestro, dopo l’ennesimo episodio di sconforto per la durezza della sua predicazione. Succede spesso in qualsiasi compagine che le regole o i metodi adottati per applicarle siano giudicati troppo rigidi o troppo pesanti. Ai primi moti d’insofferenza, tende a subentrare lo sconforto, a causa di un senso di incapacità o, peggio, per il dubbio di aver compiuto scelte improprie o troppo impegnative. Poi va a finire che si subisce e ci si adegua per stato di necessità oppure si abbandona il campo. È quanto sta accadendo pure nel gruppo dei discepoli del vangelo di oggi. Più di qualcuno si sfila e Gesù non solo non li ferma, ma, dopo una breve sfuriata sulla miscredenza che serpeggia, conclude con un invito ai suoi più intimi: “Volete andarvene anche voi?”. La situazione non è nuova. Anche Giosuè in quel di Sichem rivolge la stessa domanda ai rappresentanti di Israele, come racconta la prima lettura e analoga è la risposta: quali altri dèi ci possono dare lo stesso aiuto del nostro Dio? In realtà non sono veri atti di fede ma nascono da un’esigenza atavica nell’uomo: avere risposte confortanti, valide e autorevoli sulle principali questioni della sua esistenza. Purtroppo quasi sempre quelle che si trovano strada facendo non bastano, in quanto il più delle volte hanno una gittata limitata, presto si rivelano inconsistenti e fasulle, senza contare gli interessi che nascondono quelli che si ergono a profeti del momento. Ne abbiamo avuto un buon assaggio durante l’evoluzione di questa pandemia, quando l’incertezza e la confusione sono stati talmente favoriti da improvvisazioni, sia in campo scientifico che politico, da produrre quanto meno consistenti dosi di diffidenza nei più, che tuttavia poi se ne sono fatti una ragione e si sono assoggettati alle disposizioni, ma generando anche grosse sacche di prese di posizione convinte e variamente motivate, tali da compromettere obiettivi e risultati non solo per la comunità nazionale, ma per l’umanità tutta. D’altronde, è illusorio pensare che sia facile incontrare maestri di vita così seri, profondi e disinteressati da catturare la fiducia incondizionata di ognuno. Ce ne sono stati, specie fra chi si è rifatto a ideologie di un certo spessore, ma, purtroppo, hanno dovuto fare i conti con la debolezza umana loro e altrui. Anche Gesù paga ancora in certo modo un prezzo, laddove l’insufficienza della fede non spinge a capire che solo da tale fonte abbiamo parole di vita eterna.

L’ipoteca come forma di garanzia

Inserito il 15 Agosto 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

L’ipoteca come forma di garanzia è l’istituto giuridico cui si ricorre più comunemente, perché è legata a qualcosa di solido, un bene immobile definito e individuabile. Anche la fideiussione alla fine è accettata più di buon grado se chi la rilascia è coperto da proprietà. Perché tutte queste precauzioni per chiedere un prestito? Perché a forza di tirarci tiri mancini si è fatta strada la diffidenza, diventata connaturata alla nostra condizione umana. Ormai anche dove non si tratti di soldi pretendiamo di essere tutelati da norme in caso d’inganno e qui la stura a leggi e disposizioni è stata conseguente: dalla qualità del prodotto alla data di scadenza di quelli alimentari non c’è regola che non intervenga, senza contare accordi internazionali e controversie su marchi e clonazioni indebite. Simile atteggiamento si è consolidato pure fuori dal settore acquisti, coinvolgendo la scienza, la cultura, l’informazione e tutti i rapporti sociali, all’insegna del “fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio” e ne abbiamo prova anche dalle posizioni differenziate assunte prima nei confronti del Covid-19 e della sua genesi, poi dei provvedimenti adottati in merito, poi addirittura dei vaccini e infine persino sul green pass. Poteva salvarsi l’ambito della fede? Certo che no anzi, se volessimo compiere una retrospettiva, ci accorgeremmo che proprio qui la miscredenza ha lavorato da più tempo e più a fondo. Gesù lo sapeva e ci ha fornito tutti gli strumenti per fugare ogni dubbio, pur non intaccando la nostra discrezionalità e il nostro “ruolo” di credenti. Di più, ci ha fornito garanzie per non accampare scuse e oggi stiamo festeggiando quella che costituisce il sigillo della presenza del Regno già qui, ora, ma che si compirà un giorno lassù: l’assunzione di Maria con il suo corpo in cielo, prospettiva e garanzia della nostra definitiva condizione. Mi è molto cara questa festa, perché esprime il massimo dell’amore figliale del Risorto, unico a essere asceso col suo corpo glorioso; stato che ha voluto condividere con sua Madre. A suggello di tale gesto sublime, Maria sarà coronata Regina degli Angeli e dei Santi, festa che si celebra fra una settimana, e come tale diventa la nostra “avvocata” presso Dio. In sostanza è Lei la nostra “ipoteca” di garanzia.

I momenti di scoramento

Inserito il 8 Agosto 2021 alle ore 10:01 da Plinio Borghi

I momenti di scoramento sono sensazioni che tutti abbiamo provato, chi più e chi meno e per i motivi più disparati: incomprensioni nella coppia, incomunicabilità con i figli, dissidi o poca considerazione nel lavoro, incapacità di trovare il bandolo della matassa nel groviglio di problemi, calo di tensione nei rapporti sociali, poca voglia di continuare a vivere e via di questo passo. Di norma sono stati d’animo ai quali si reagisce, ma talvolta rischiano di rappresentare l’anticamera della depressione, specie per i più fragili o demotivati. Subentra allora il bisogno di aggrapparsi a qualcuno o a qualcosa che ti tolga dalle peste, non per forza un professionista, meglio se ci si è premuniti di una riserva di risorse utili alla bisogna. Tranquilli, è successo anche al profeta Elia della prima lettura di oggi: stanco della vita, desideroso di morire, si accascia e invoca il Signore perché gliela faccia finire. Per riprendersi, però, lui ha avuto veramente bisogno del “professionista” nella veste di un angelo che per ben due volte lo rifocillò e lo rincuorò, fino a fargli continuare il cammino al monte Oreb e per ben 40 giorni. Evidentemente quell’acqua e quella focaccia cotta su pietre roventi hanno avuto poteri taumaturgici. Ebbene, anche nel campo spirituale possiamo andare incontro a crisi, a momenti di scoramento che attenuano la passione, a volte fino a provocare vere e proprie devianze. Sfido chiunque a non averne avuti. Qui la nostra risorsa va oltre: abbiamo un Amico disposto a dare la vita per noi e pronto a parlarci attraverso il Vangelo, non solo, ma a farsi Lui stesso cibo e bevanda, come si va dicendo queste domeniche, ma non alimenti qualsiasi per un lenimento temporaneo, bensì nutrimento che sfama e disseta per sempre. Di più: mentre gli altri funzionano per un tempo limitato alla vita terrena, questo punta a quella eterna, che ci viene così garantita. Rinunciarvi è letteralmente da masochisti. Senza contare i vari benefici che derivano da questo rapporto, primo fra i quali quello di vedere da subito il Padre misericordioso proprio attraverso la conoscenza intima del Figlio. Guai quindi arrendersi a causa delle nostre debolezze e addurre pretesti per non mantenere con costanza il ricorso all’Eucarestia: ci toglieremmo il sostegno proprio nei momenti di maggior bisogno. Solo il rifiuto aprioristico di Dio e di Cristo, il cosiddetto peccato mortale, è alternativo: tutto il resto è sanabile e non ci deve indurre a tradire lo Spirito, come ci dice oggi San Paolo.

Non di solo pane vive l’uomo

Inserito il 1 Agosto 2021 alle ore 10:00 da Plinio Borghi

Non di solo pane vive l’uomo. L’ha detto Gesù al diavolo che lo tentava durante il digiuno nel deserto. Ed è incontestabile, anche se poi, come dicevamo la settimana scorsa, è il cibo che monopolizza la maggior parte della nostra attenzione. D’altronde anche il nostro Maestro, quando l’ha detto, si stava sottoponendo a una dura prova per rinunciarvi. Ciò non toglie che la nostra mente non deve essere obnubilata solo dalla preoccupazione a senso unico. Provate a immaginare una vita impostata unicamente sul ciclo vizioso della sopravvivenza: da suicidio. Nemmeno nel mondo animale si può ipotizzare una cosa simile: quanto meno uno spazio alla riproduzione ci vuole e ci sta. L’uomo va oltre: ha bisogno di spiritualità, di nutrizione della mente, di ricerca della verità, di risposte ai problemi esistenziali, di giocosità, di evasione e avanti di questo passo. Ovviamente “in corpore sano” e non a caso Dio ha mandato agli israeliti che vagavano nel deserto in condizioni precarie una buona dose di manna e di quaglie affinché si saziassero e la smettessero una buona volta di borbottare che “si stava meglio quando si stava peggio”, come ci riferisce la prima lettura di oggi. Se poi leggiamo la pericope del Vangelo, dopo ha fatto ben di più: ha inviato il suo stesso Figlio vuoi per riscattarci dal peccato, come aveva promesso, vuoi per fornire al nostro spirito, alla nostra anima, quel nutrimento necessario per ottenere riscontro a tutte le domande che ci assillano, siano esse di natura metafisica che materiale. Sì, perché la lieta novella che il Messia è venuto a consegnarci assolve il duplice scopo, con una “leggera” differenza: ciò che ottennero i nostri padri nel deserto non li preservò dalla morte mentre il cibo che ci fornisce il Salvatore ci garantirà la vita eterna e se ne mangeremo non avremo più fame. Lo dice Egli stesso alla folla che lo inseguiva solo perché saziata miracolosamente: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”. E alla fine, dato il disorientamento generale, è più esplicito: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!” Quindi non si riferisce solo a sé stesso come Eucarestia, ma anche come Parola di vita, il Verbo di Dio appunto che si è fatto carne. Qui non c’è molto da tergiversare né ci sono distinguo da fare: se desideriamo saziarci sotto ogni aspetto, dobbiamo attingere alla fonte giusta.

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